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 2006  gennaio 10 Martedì calendario

Storie di caffe’ di Antonio Armano, Genteviaggi, settembre 2004 Mai più neanche un caffè con Bossi disse Fini ai tempi del «Ribaltone»

Storie di caffe’ di Antonio Armano, Genteviaggi, settembre 2004 Mai più neanche un caffè con Bossi disse Fini ai tempi del «Ribaltone». Ma il caffè è bevanda così innocente? Si presta, con il suo gusto amaro, a nascondere sostanze pericolose. Sindona, famigerato faccendiere, fu avvelenato con il caffè. Churchill, che non meritava il Nobel per la letteratura ma per le battute, a una lady che gli disse: «Se fossi sua moglie le metterei il veleno nel caffè», rispose: «Se fossi suo marito lo berrei». In Abruzzo, terra di streghe, fino a non molti anni fa i ragazzi non ancora maritati erano invitati dalle madri a non bere caffè a casa di altri. Poteva contenere mestruazioni di qualche giovane in cerca di marito. La vampiresca «correzione» era considerata un potente filtro amoroso. Al Wahhab, riformatore islamico che propugnava il ritorno al credo più puro, condannava il caffè, bevanda chiamata dagli europei «vino degli islamici». A scoprirla fu un pastore arabo che notò grande eccitazione nei capi del gregge che avevano mangiato le rosse bacche. Questo aneddoto rientra in una storiografia leggendaria sulla genesi di una bevanda che sembra abbia origine nella regione etiope di Kaffa. Diffusa in seguito in Arabia, Egitto e Yemen, nel 1500 arriva in Europa, via Venezia, dove nacquero le prime caffetterie, poi aperte a Marsiglia, Londra, Amsterdam. Causa tasse di importazione, la pianta fu trapiantata dagli occidentali nelle colonie, Brasile in primis, ora principale produttore. Ne esiste una varietà arabica, e poi una liberica, una excelsa e una robusta. La città cui questa bevanda si lega in modo più stretto è Napoli. Dove esiste persino un editore, Coffee Break, intitolato al caffè. Suo il libro Le pose del caffè, del fotografo napoletano Salvatore Sparavigna, dove artisti e intellettuali partenopei sono ritratti con la tazzina in mano. Per il napoletano, il caffè come si fa nella sua città non si fa in nessun altro luogo. Immancabile la storiella dell’immigrato a Milano che si fa mandare la miscela, poi l’acqua e infine conclude che per riprodurre il caffè napoletano ci vuole anche l’aria. Trieste ha un numero record di torrefazioni e modi di servire il caffè (gocciato, macchiato, in tazza, in vetro) su cui è stata anche fatta una maglietta. Tornando alla valenza simbolica, nei Balcani si chiama lo stesso caffè con nomi nazionalistici, turco greco, serbo. Indicano il caffè che bisogna lasciar sedimentare prima di bere. Meno veloce dell’espresso, permette in cambio di leggere i fondi. Ma è in fase di declino. Per una volta, la globalizzazione è italiana.