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 2006  gennaio 03 Martedì calendario

Canta che ti passa All’Italia il record dei cori amatoriali. La Stampa 03/01/2006. Senza troppi pudori; senza paura di sbagliare, senza timore di venire presi in giro in famiglia e dagli amici, senza troppo preoccuparsi di ammettere che adesso, da adulti, hanno ricominciato, o magari iniziato per la prima volta, a fare musica, a cantarla, a suonarla

Canta che ti passa All’Italia il record dei cori amatoriali. La Stampa 03/01/2006. Senza troppi pudori; senza paura di sbagliare, senza timore di venire presi in giro in famiglia e dagli amici, senza troppo preoccuparsi di ammettere che adesso, da adulti, hanno ricominciato, o magari iniziato per la prima volta, a fare musica, a cantarla, a suonarla. Sono almeno mezzo milione le persone che nel nostro paese danno vita a una rete di migliaia di cori e bande amatoriali diffusa ovunque. «Ci troviamo dal 1988 ogni lunedì sera, per un paio d’ore. Ci lega il piacere di costruire qualcosa, la possibilità di fare delle nuove amicizie, di tenerne insieme altre», racconta Lucio Nardi, napoletano, da venticinque anni giudice a Milano, fondatore della Corale Polifonica Nazariana. «Sono riuscito a realizzare il sogno che avevo da piccolo: cantare». Sono settanta adulti, due terzi donne, un terzo uomini, rispettando così la percentuale consueta: le donne dimostrano, anche per questo aspetto, di avere meno inibizioni nel mettersi alla prova, nel cominciare un’esperienza nuova. Tutti pagano una quota associativa di 35 euro all’anno, qualche sponsorizzazione arriva, e poi ci si ingegna per organizzare scambi con altri cori, cantando, viaggiando e divertendosi. «Nove su dieci non conoscono la musica - dice Nardi - Però hanno orecchio. Ci vuole pazienza, provare e riprovare, e il risultato arriva, anche con musiche difficili». In questo periodo stanno lavorando sodo, nella Chiesa di San Nazaro a Porta Romana; a gennaio li attendono due appuntamenti gratificanti: il concerto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e un nuovo spettacolo dedicato a Mozart, per celebrare i 250 anni dalla sua nascita. «Abbiamo introdotto la musica nel Palazzo di Giustizia e spero che questa diventi un’abitudine consolidata. Fa bene a tutti». La prima volta, è stata per ricordare due colleghi uccisi negli anni di piombo, Guido Galli ed Emilio Alessandrini; venne eseguito il Requiem op. 168 di Robert Schumann: «Eravamo commossi ed orgogliosi, perché sapevamo di aver realizzato un progetto che all’inizio ci sembrava al di là della nostra portata». «La cultura diffusa nei paese mediterranei ha separato da secoli l’istruzione musicale per futuri musicisti da una più modesta educazione musicale e non ha certo incoraggiato il diffondersi della pratica amatoriale, tanto meno se approcciata in età adulta», scrive Annibale Rebaudengo, uno dei più attenti studiosi della didattica musicale nel nostro paese. Rebaudengo ha curato «Gli adulti e la musica - Luoghi e funzioni della pratica amatoriale», un utilissimo libro (lo pubblica la EDT) che permette di scoprire quanto questa realtà dilettantesca - ma capace anche di esiti artistici tutt’altro che banali o volgari - sia diffusa e amata. Ha una grande audience, fatta di persone che vivono questa esperienza in modo attivo; un’audience vera, quantificabile, non immaginifica, commercializzata e tutta da verificare come quella televisiva; però non esibita, tenuta segreta, e per questo vissuta come ancora più preziosa. I cori che aderiscono alla principale federazione italiana, la Feniarco, sono 3415, per una media di 40 persone a coro. A questi si aggiungono circa 3000 cori parrocchiali, scolastici, altri non esattamente censiti, ma attivi in modo stabile. Sono diffusi soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro, e - in proporzione agli abitanti - più in Sardegna che in Sicilia e naturalmente nei luoghi di montagna, dove fa ancora più piacere sentire il calore di una simile esperienza di amicizia e condivisione. Spesso, per imparare a cantare o suonare, gli adulti studiano assieme ai figli, rovesciando quindi il tradizionale rapporto educativo, perché in queste occasioni sono in genere i ragazzi ad insegnare ai genitori come intonare la voce, come prendere in mano uno strumento, come diventare musicisti attivi. Ed é evidente che in questo caso entrano in gioco molte dinamiche relazionali, affettive, cognitive. «Età adulta» viene definita quella che inizia verso i vent’anni, per poi raggiungere, attorno ai trenta, «l’età generativa» e proseguire nel «lungo cammino iniziatico» della maturità. Nei cori tutte le varie fasi dell’essere, diventare e mantenersi adulti convivono - la studentessa sta a fianco della nonna - così come le identità professionali si incrociano e si confondono, magari soltanto per il tempo delle prove e del concerto. «Quando abbiamo cominciato sono venuti in centodieci: taxisti, artigiani, insegnanti, medici, commercianti, avvocati, studenti, dai venti ai sessant’anni e oltre», ricorda Fabio Lombardo che nel 1987 ha creato, raccogliendo un’idea del maestro Piero Farulli, il fondatore della Scuola di Musica di Fiesole, il coro Francesco Landini. In questi anni hanno affrontato partiture meravigliose e complesse, dalle Cantate di Bach alla prima esecuzione del settecentesco «David» di Conti. Si incontrano all’Auditorium della Scuola due sere a settimana e c’è chi, per arrivare, deve scollinare per quaranta chilometri. «La motivazione, così forte da superare ostacoli di tutti i tipi e da rimanere costante, è semplicemente il piacere di fare musica assieme: un desiderio diffuso e frustrato, perché la tendenza culturale prevalente, e a mio avviso veramente deprecabile, è che la musica bisogna farla benissimo, oppure è meglio lasciar perdere», riprende Lombardo. A sentirli provare la «Missa Sacra» di Schumann, in programma al Festival di Arezzo, quando ormai sono giunti alla vigilia del debutto, si percepisce la felicità di aver creato qualcosa insieme, di essere riusciti a dare un senso a delle note che, prive della loro voce, rimanevano scritte, e ancora senza vita. «Cantare in un coro non dà fama, successo, denaro. Regala qualcos’altro, di molto più profondo e appagante». Sandro Cappelletto