La Stampa 08/01/2006, pag.16 Mario Deaglio, 8 gennaio 2006
L’Italia ha un nuovo grande deficit: di simpatia. La Stampa 08/01/2006. «Come può l’Europa competere a livello mondiale con una squadra che comprende paesi come l’Italia, la cui competitività è allo stesso livello del Botswuana? L’Italia non si cura dei parametri del Patto di Stabilità e neppure di altre regole europee»
L’Italia ha un nuovo grande deficit: di simpatia. La Stampa 08/01/2006. «Come può l’Europa competere a livello mondiale con una squadra che comprende paesi come l’Italia, la cui competitività è allo stesso livello del Botswuana? L’Italia non si cura dei parametri del Patto di Stabilità e neppure di altre regole europee». A scriverlo è Juha Akkanen, opinionista del quotidiano Helsingin Sanomat, il più diffuso della Finlandia, in un articolo recente. E ancora, osservando che in Italia c’è qualcuno che vuole uscire dall’euro e tornare alla Lira: «Benissimo: così non saremo noi finlandesi a pagare il conto di un’Italia che vive al di sopra dei propri mezzi». Dopo la diagnosi negativa di The Economist sul futuro prossimo dell’Italia, si potrebbe ritenere irrilevante questa opinione, un po’ stridula e arrogante, che proviene da un Paese piccolo e lontano. Il rimprovero che arriva da Helsinki, però, mostra non solo il rapido esaurimento delle riserve di simpatia accumulate dall’Italia in Europa negli ultimi decenni, ma anche l’emergere di una sottile forma di fastidio, se non di aperta ostilità nei confronti dell’Italia, di cui gli italiani normalmente non si rendono conto. Già durante la vertenza con la Cina per l’assalto dei prodotti tessili cinesi ai mercati europei, l’Europa si è mossa solo molto lentamente a protezione degli interessi italiani (in pratica, ha adottato provvedimenti solo quando li hanno chiesti i francesi). E la considerevole riduzione nelle presenze di turisti europei che passano le vacanze in Italia potrebbe esser dovuta non solo a prezzi in crescita ma anche a interesse in calo. Gli italiani continuano ad essere convinti che il loro Paese sia benvoluto, apprezzato, amato nel mondo; occorre dire francamente che questo non è più universalmente vero. Certo, a un articolo che afferma che la Finlandia - a seguito del forte aumento del contributo al bilancio europeo che le è stato richiesto - deve pagare per le «mollezze» dei Paesi «meridionali» (non si risparmiano critiche neppure tra Francia e Germania) le risposte non mancano: va ricordato ai finlandesi che l’Europa li ha accolti dopo la caduta dell’Unione Sovietica, di cui erano il principale cliente fornitore occidentale, facendoli così uscire da una crisi economico-finanziaria molto grave e regalando loro un grande mercato sul quale competere. Non è però il caso di illudersi. Altri nuovi membri dell’Unione Europea la pensano più o meno allo stesso modo: i baltici e i polacchi, gli ungheresi e i ceki non se ne staranno come bravi scolaretti compunti a imparare il verbo europeo dai loro fratelli maggiori tedeschi, francesi e anche italiani. Un’Europa allargata sarà anche un’Europa diversa; e per rimanervi dentro l’Italia dovrà ricordare che l’essere uno dei Paesi fondatori non garantisce alcuna forma di privilegio. E che è già iniziata una nuova dialettica su come deve essere fatta l’Europa che ha detto «no» al progetto di Costituzione, dialettica alla quale l’Italia non sembra partecipare. Il prossimo governo, quale che sia il suo colore politico, dovrà affrontare non solo il problema del disamore crescente di molti italiani per l’Unione Europea ma anche quello del disamore crescente di buona parte dell’Unione Europea per l’Italia. Questo atteggiamento potrebbe innescare una reazione a catena nettamente negativa: dalla perdita di peso politico dell’Italia a Bruxelles, potrebbero emergere costi economici non indifferenti. E questo non solo perché le politiche commerciali e industriali europee non saranno particolarmente favorevoli ai nostri prodotti ma anche perché il «rischio Italia» potrebbe riemergere in maniera sensibile sui mercati finanziari e rendere più caro per il Tesoro l’accesso al credito con un pericoloso appesantimento delle prospettive finanziarie. Infine, se dovesse rispuntare l’idea dell’«Europa a due velocità», l’Italia potrebbe non venire coinvolta in iniziative future di integrazione economica e politica. Da chi vuole il loro voto alle prossime elezioni, gli italiani possono quindi giustamente attendersi l’indicazione di una politica europea dell’Italia che vada oltre le tradizionali buone parole di circostanza e che indichi una strategia da seguire in una comunità di Paesi che si prepara ad affrontare la competizione globale e non è molto tenera con chi perde in competitività. Mario Deaglio