Il Messaggero 04/04/2005, Luigi Vaccari, 4 aprile 2005
Io e mia madre - Alberto Sughi. Il Messaggero 04/04/2005. Alberto Sughi, pittore del realismo esistenziale, dice che parlare della madre, Dina Magnani, e vale per qualsiasi altra persona a cui si è voluto molto bene, è forse la cosa più difficile
Io e mia madre - Alberto Sughi. Il Messaggero 04/04/2005. Alberto Sughi, pittore del realismo esistenziale, dice che parlare della madre, Dina Magnani, e vale per qualsiasi altra persona a cui si è voluto molto bene, è forse la cosa più difficile. <Può accadere di non trovare il tono giusto: ho paura di farne una esaltazione che finirebbe per tradire qualcosa di più segreto che rimane sospeso dentro di me>, spiega. <Ho fatto due ritratti di mio padre, Marino; non sono stato capace di farne uno di mia madre>. Perché? <Mi pare che, quando parlo di lei, finisco per parlare troppo di me. E non perché pensi a una sorta di identificazione. Ma la sua presenza è stata così importante che ho la netta sensazione di appropriarmi in una maniera diminutiva della sua personalità>. Cioè? <Quando a una persona che amiamo diciamo: ”Ti voglio bene”, e lei risponde: ”Anch’io ti voglio bene”, pensiamo che quelle parole abbiano lo stesso significato per tutti e due, mentre possono animare pensieri profondamente diversi. Qualche volta ho il sospetto di aver costruito un’immagine di mia madre sulla base delle mie necessità: certamente a sua somiglianza, ma formata per me, per crescere fino a quello che sono diventato. Solo troppo tardi ho cercato di capire la sua identità di donna, le motivazioni diverse dalle mie per vivere, il suo mistero, la sua sofferenza. E siccome ne ho un grande rispetto e la considero forse la persona più significativa della mia biografia, non mi riesce facile parlarne>. Sughi, che è nato a Cesena, ma vive a Roma, e si avvia a compiere 76 anni, ricorda quando, in un’altra conversazione, gli avevo chiesto quale fosse stato l’incontro che aveva cambiato la sua vita. <Avrei risposto più agevolmente se mi avesse domandato quale frase mi ha fatto rientrare nella mia vita. Da bambino, disegnavo. Mia madre, che era dotata di un forte intuito, probabilmente aveva immaginato di realizzare, attraverso suo figlio, il sogno segreto che si portava dentro: essere lei stessa un’artista>. Quali studi aveva fatto? <Le magistrali. Dopo il matrimonio (crepatosi immediatamente), a 17 anni, era stata sul punto di diventare maestra elementare. Ma era portata a crescere... era bellissima e colta... Mi pare di comprendere che, essendole state negate altre opportunità, avesse pensato che l’unico modo per affrancarsi dalla fatica del vivere fosse quello di amare l’arte e la cultura. Ricordo che mise nella sua borsetta di pelle il mio primo disegno. Io continuavo a dipingere tutti i giorni, per ore e ore: spesso nel tinello. Lei mi sbirciava da una finestra della camera da letto, arrivava all’improvviso e cercava di darmi dei consigli. Poi, crescendo, cominciai a pensare ad altro: agli amici, alla bicicletta, alle ragazzine. E la passione si attenuò fino a dileguarsi del tutto. Una sera, ecco la frase, mi disse: ”Ho capito, Alberto: è finito il mio sogno. Comincia la tua vita”>. E lei? Ha replicato? <Ho percepito profondamente la forza del suo stimolo. Da quel momento, avevo 16 anni, ho ripreso a disegnare. E non ho più smesso. La sua è stata una presenza forte che sostiene ancora la mia vita, così diversa e più fortunata. Non ho mai interrotto il dialogo con mia madre: mi sembra di sentire quello che avrebbe da dirmi su un quadro che sto facendo, su un’azione che commetto, su come sto in casa...>. Anche perché suo padre andava e veniva? <Era assente: travolto da una serie di disastri e di fallimenti, nella rincorsa di un successo che non è mai arrivato. Non si faceva carico della crescita e dell’educazione dei figli: ci ha pensato lei>. C’è un insegnamento che, più di altri, ha accompagnato il suo percorso di artista e di uomo? <Mia madre era nata in una famiglia mazziniana, con profonde regole morali: Dio, Patria e Famiglia erano quasi una religione. Insegnava, alle mie sorelle e a me, una sorta di fierezza: la fatica del vivere non va mostrata a nessuno; si deve anche fingere di non aver bisogno di aiuto. Mi ha trasmesso l’orgoglio e la passione per le cose che si amano; l’amore per la lettura e lo studio: leggeva i grandi romanzi francesi e russi; spronava risoluta le inclinazioni dei figli. A 80 anni, imparava ancora a memoria le poesie, e veniva a trovarmi per leggere e commentare Paul Eluard, Eugenio Montale...>. Era una donna energica? <Dolcissima e insieme determinata ed energica>. Alzava le mani? <Le ha alzate una volta soltanto: frequentavo la quinta elementare e avevo fatto una birichinata abbastanza grave. Lo venne a sapere e non mi disse niente. Ma, quando scendemmo in giardino, prese un ramo da un pesco, gli tolse le foglie e me lo passò nelle gambe, lasciandomi dei segni, per farmi capire che avevo compiuto un’azione che non si doveva e non si poteva fare. E’ stata una lezione senza parole, unica, ma da ricordare per sempre. Mio zio diceva che le regole ferree bisogna farle rispettare quando il momento è giusto. Lei possedeva questa capacità>. Si concedeva delle vanità? <Quando camminava per le strade di Cesena sembrava un’aristocratica. Ha insegnato anche a me di comportarmi sempre in modo elegante, vestirmi con proprietà, e io, pur facendo il pittore, cerco di essere sempre in ordine, fin dentro il mio studio>. Nelle spese era moderata? <Addirittura parsimoniosa. Ma durante la guerra, non avevamo niente in casa, metteva cena per tutti: purché fossero persone giuste. Bravissima a far da mangiare, a rammendare, a tenere la casa con decoro. Quando ho fatto la prima mostra, a Roma, nel 1957, bisognava pagare l’affitto della galleria, le cornici, altre piccole cose. Andammo in banca a chiedere un prestito: firmammo una cambiale di 100 mila lire, ma il direttore ci chiese un avallo. Mia madre rimase malissimo. La garanzia la diede mio zio, che aveva un’azienda. La mostra andò molto bene, ne parlarono i giornali. Quando andai a ritirare la cambiale, il direttore mi disse: ”Non occorre che ci dia i soldi: ci può dare anche un quadro”. Ho risposto: ”Me lo dovevate dire prima”. Era stata lei a consigliarmelo. Aveva una grande abilità di gestire le difficoltà economiche: sembrava che non le avesse. Non è una cosa da niente, aiuta nei comportamenti>. Vive sensi di colpa? <Mia madre, l’ho accennato, ha avuto una vita molto più difficile della mia. Quando, negli Anni Ottanta, la Bruna e io prendemmo in affitto una bell’appartamento a Gaeta, venne a stare con noi. Qualche volta veniva nello studio che avevo a Roma in via del Circo Massimo. Arrivava con il tram, io stavo facendo quel grande quadro ”Il Teatro d’Italia”, voleva raccontarmi che cosa aveva letto la sera precedente. Le dicevo: ”Mamma, vengo subito. Devo finire...”. Invece continuavo a dipingere... Non ne sono capace se c’è gente attorno, ma con lei l’avevo fatto da bambino. Mia madre guardava: forse anche contenta. Si faceva mezzogiorno, doveva tornare a casa, l’accompagnavo al tram: ”Dài, mamma. Non abbiamo potuto parlare perché questo quadro mi fa impazzire”, ”Ti volevo dire che ieri sera ho letto...”, accennava. Poi lasciava stare, sopraggiungeva il tram... Ho capito più avanti che il quadro poteva aspettare. Spero che a Gaeta sia vissuta come probabilmente aveva sempre desiderato: la casa era frequentata da tanti amici; da scrittori, poeti, giornalisti; a lei piaceva il mare, si metteva elegante. Ma ormai era tardi: è morta di tumore nel 1985>. Dopo la sepoltura al Verano, passati 10 anni Sughi ha raccolto le ossa in una cassetta, le ha portate, con la sua automobile, a Ruffio, il paese vicino Cesena dove era nata, in un piccolo cimitero ordinato e fiorito, sulla lapide di travertino ha fatto scrivere: Dina Magnani Sughi. <Ogni tanto, insieme alla Bruna, andiamo a portarle qualche fiore. Vorrei dirle qualcosa, ma non mi viene in mente niente; guardo in giro, leggo sulle pietre sepolcrali i cognomi di persone con le quali, un giorno, lei magari avrà parlato. E rifletto: nella scelta di dipingere, in tutto quello che ho fatto, in quello che sono, c’è molto del suo insegnamento: le cose che si amano bisogna farle con un impegno assoluto. Mi auguro che, attraverso questa testimonianza, qualcosa di lei arrivi ai miei due figli>. Luigi Vaccari