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 2005  marzo 26 Sabato calendario

Io e mia madre - Renzo Arbore. Il Messaggero 26/03/2005. La madre, si chiamava Giuseppina, era una Cafiero: <E’ il cognome di una famiglia rivoluzionaria, sempre controcorrente e in controtendenza, di cui sono molto fiero>, dice Renzo Arbore

Io e mia madre - Renzo Arbore. Il Messaggero 26/03/2005. La madre, si chiamava Giuseppina, era una Cafiero: <E’ il cognome di una famiglia rivoluzionaria, sempre controcorrente e in controtendenza, di cui sono molto fiero>, dice Renzo Arbore. <Mio nonno, Lorenzo, era lontano parente di Carlo Cafiero. Mamma, da repubblicana, era diventata monarchica per amore di papà, Giulio>. Qual è il primo ricordo che le viene in mente? <Una donna anziana, dolcissima e religiosa. La sue fede era sempre stata molto forte e io sono stato educato nel rispetto dei comandamenti. E’ morta a 81 anni, nel 1985, a febbraio, prima che io facessi Quelli della notte. Negli ultimi tempi, sapendo di darle una grande gioia, le chiedevo la benedizione: ”Oggi ho un incontro importante per la mia carriera (o per la mia vita). Mi benedici?”. E lei mi benediva>. Arbore non può parlarne senza sottolineare che era nata lo stesso anno del marito, il 1904: <Abitavano nello stesso palazzo; da bambini giocavano nello stesso cortile; si sono ”fidanzati” nel 1911 o nel 1912; sono rimasti sempre insieme. Mamma ha certamente avuto soltanto lui e ha voluto che si scrivesse sulla lapide di papà che gli era stata fedele per tutta la vita>. In famiglia il padre rappresentava l’autorità, ricorda. La madre sbrigava le pratiche quotidiane ed era petulantissima con l’educazione: <’Renzo, ringrazia”, ”Renzo, saluta”, ”Si fa un sorriso, quando si conosce una persona”, ”Mangia composto”, ”Non parlare col boccone in bocca”, ”Stai dritto”, ”Tagliati i capelli”... Un’ossessione. Adesso che ho 68 anni apprezzo quella sua petulanza, che ha testimoniato con il culto dei proverbi sino alla fine: ”Chi troppo in alto sale, cade sovente”, ”Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, ”Chi va piano va sano e va lontano”. Diceva i proverbi saggi: – Chi troppo vuole nulla stringe”, ”Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”, ”La farina del diavolo va tutta in crusca”... Noi la prendevamo in giro e mamma ci ammoniva: ”Quando sarò morta, vi accorgerete che sono la saggezza dei popoli”. E’ così: non sono luoghi comuni>. Era una risparmiatrice, come molte madri di una volta, o una spendacciona? <Una grande risparmiatrice>. Aveva delle vanità? Si truccava?... <Si truccava e noi bambini la imitavamo perché, dicevamo, ”faceva le facce”. Era anche molto elegante, vestiva con la seta: apparteneva alla borghesia meridionale che teneva al decoro. Teneva anche al giudizio della gente, che rispettava. Abitavamo in una casa importante, la stessa dove alloggio quando vado a Foggia, ma affacciava sui vicoli. D’estate, a pranzo, noi figli volevamo aprire la finestra. Mamma diceva: ”No, perché gli altri ci vedono”. Erano gli anni durissimi del dopoguerra, tutti abbiamo tirato le cinghie. Ma, per pudore, non voleva che chi stava peggio vedesse che noi mangiavamo>. Che cosa apprezzava di lei e che cosa non le piaceva? <Apprezzavo moltissimo la bontà, la dolcezza che trasferiva sui figli. Non mi piaceva il gusto del pettegolezzo: voleva essere informata di quello che accadeva in città>. Parlavate molto o poco? <Molto. Le raccontavo anche le mie storie sentimentali. Dopo essermi laureato in giurisprudenza, a Napoli, sono tornato a Foggia dove, per un anno e mezzo, non ho avuto un lavoro. Papà, che era medico dentista, non concepiva il mio nervosismo. Mamma mi ha aiutato tanto>. L’ha seguita negli studi? <Le premeva che studiassi, quando ero al ginnasio e al liceo. Ma non mi ha vessato. Né ha ostacolato la mia passione per la musica. In famiglia si respirava musica: lei suonava le canzoni napoletane al pianoforte; mio padre era appassionato di melodramma; mio fratello voleva fare il concertista e suonava il piano; una delle due mie sorelle era soprano...>, risponde Arbore, di cui è appena uscito l’ultimo cd Vintage!... Ma non li dimostra. Ovvero Renzo Arbore e i suoi Arborigeni. Immaginava un futuro preciso per lei? <Desiderava che rimanessi a Foggia: il distacco le faceva paura. Quando sono venuto a Roma, dopo aver vinto il concorso alla radio di regista programmatore di musica, ha tenuto per sé la delusione. La cosa suprema era il bene dei figli. Da bambino mi aveva dato un sopranome, ”il figlietto”, che mi ha accompagnato a lungo. ”Lasciatelo stare quel figlietto”: dovevo essere libero di fare. Io la mettevo a parte delle gioie; delle sconfitte non tanto. Qualche amore. I miei genitori avevano una grande stima di Mariangela Melato: l’avevano conosciuta quando Mariangela aveva frequentato un po’ la casa di Foggia. Quando ci siamo lasciati, mamma ha sofferto. Mi aveva messo nel portafoglio, e ce l’ho ancora, tutti i documenti che occorrevano per il matrimonio. Voleva vedermi sistemato. Ma non è intervenuta>. Arbore confessa che aveva per la madre una predilezione: <C’era un’alleanza stretta anche gastronomica; e mangiare, dalle nostre parti, la tavola, attorno alla quale si riunisce tutta la famiglia, è importante. Papà, mio fratello, le mie sorelle snobbavano i piatti popolari che piacevano a noi due. Mia madre mangiava anche gli avanzi di due giorni prima, perché non si doveva buttare niente; anch’io mangiavo piatti di orecchiette riscaldate nel padellino oppure i turcinielli, che sono involtini di budella. La sera mi dava i soldi: ”Vacci a comprare la pizza con la cipolla” oppure ”Vacci a comprare i turcinielli”, che mio padre ripudiava>. I suoi insegnamenti erano di fatti o di parole? <Di fatti e di parole. I fatti erano il suo comportamento. Innanzitutto l’educazione, il rispetto per le persone anziane, saper ascoltare. L’onestà. I 10 comandamenti, che sono un codice meraviglioso: ”Ama il prossimo tuo come te stesso”, ”Non desiderare la roba d’altri” insegnano a vivere>. Quando è venuto a Roma era sempre il suo ”bambino”? <Sempre>. ’Ti sei messo la maglia di lana?”... <Una costante: la maglia di lana, della salute... ”Non correre con la macchina”. Una volta me lo ha detto perfino con l’aereo. ”Mamma, vado in America”. ”Come vai?”. ”In aereo”. ”Non correre”>, sorride Arbore. Veniva ai suoi concerti? <E’ venuta a qualche premiazione, a Foggia. Le ho fatto il regalo, bellissimo, del programma dedicato ai 60 anni della radio Cari amici vicini e lontani (che ha preceduto Quelli della notte): ha ricevuto talmente tante congratulazioni, per me, dalle sue amiche, pochi mesi prima che morisse... Mi diceva: ”Ha telefonato la signora Gentili, la signora..., la signora..., tutte entusiaste, perché fai sentire...”. Trasmettevo le canzoni della loro epoca: dischi che avevo trovato a casa ed erano stati comprati da mio padre e da lei>. Accettava i guasti dell’età? <No. Aveva una grande dignità. Stracciava le fotografie nelle quali non veniva bene. E negli ultimi anni non ha voluto più essere fotografata: ”Ricordatemi com’ero”. Non voleva neppure farsi vedere troppo in giro: anche la gente doveva ricordarla com’era. Purtroppo, dopo la morte di papà, a 73 anni, mamma ha cominciato a deperire velocemente e io mi sono rassegnato all’idea che dovesse finire... Il dolore terribile della mia vita, era il primo, è stata la morte di mio padre: di cancro, un decorso lunghissimo, e a quei tempi il paziente non veniva informato, era addirittura ingannato... anch’io ho taciuto... Ho lottato disperatamente perché ce la facesse... Meno male che c’eravamo noi quattro figli accanto a mamma>. Di che cosa è morta? <Di un male silenzioso, ma inesorabile, che fa invecchiare velocemente: in un anno ne bruciava tre o quattro, le cadevano i capelli, era diventata una vecchietta, quasi una bambina, faceva tenerezza. La sua tiroide si era annullata. Non l’hanno capito neanche i medici: la curavano con poco sale, come si fa con i vecchi. Invece avrebbe dovuto mangiare salato>. Ha pregato perché guarisse? <Eeeh, figuriamoci. Essendo cattolico, ho fatto tutto quello che...>, confessa Arbore, dolorosamente. <Nel momento del trapasso, a San Giovanni Rotondo, dove l’avevamo ricoverata, le era vicino mio fratello. Ci davamo il cambio. Ma stavo a Foggia e sono corso>. Quali pensieri si sono affollati nella sua mente? <Il senso della perdita è stato fortissimo: si spezzava il cordone ombelicale. Naturalmente ho pianto, perché vederla ridotta in quello stato...>, Arbore cede alla commozione. <Pensi: quando è morto mio padre, nel 1977, immediatamente dopo è scoppiato il successo de L’altra domenica. Quando è morta mia madre, nel 1985, due mesi dopo, ad aprile, ho avuto il successo più grande della mia storia con Quelli della notte. Per farle compagnia, mentre la malattia la consumava, sono rimasto due mesi a Foggia, dove, per cercare di non pensare al dramma che vivevo, mi inventavo quel programma. E quando mamma è finita, in un solo mese l’ho preparato ed è decollato dalla prima serata: quasi che ci fosse un aiuto ultraterreno, un disegno divino, tutti i pezzi andavo a posto come in un puzzle>. Ha sensi di colpa? <Nessuno. Ho fatto il mio dovere...>, Arbore cede ancora alla commozione. <Mio nonno mi ha insegnato una frase, che è entrata nel mio Dna: ”Fa l’uomo”. E io cerco di farlo sempre>. Luigi Vaccari