Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  gennaio 09 Lunedì calendario

Lazzaro Urbano

• Quinto Vicentino (Vicenza) 4 novembre 1924, Vercelli 3 gennaio 2006. Partigiano • «Era la mattina del 27 aprile 1945 quando a Dongo, sul lago di Como, gli uomini della cinquantaduesima brigata Garibaldi fermarono un’autocolonna tedesca diretta in Svizzera. A bordo del quinto camion, i partigiani scorsero un uomo rannicchiato in un angolo, con l’elmetto in testa e addosso un cappotto militare ben abbottonato. “Camerata ubriaco, vino!” cercò di spiegare un soldato. Insospettito, uno dei partigiani avvertì il compagno “Bill”, il più alto in grado. Lui si avvicinò, osservò, capì: “Lo chiamai. Prima gli dissi: ‘Camerata!’. Niente, nessuna risposta. Allora feci: ‘Eccellenza!’. Ancora niente. Provai così: ‘Cavalier Benito Mussolini!’. Ebbe come una scossa elettrica. Saltai sul camion e, di fronte al suo stupore, gli dissi: ‘In nome del popolo italiano, io l’arresto’”. L’uomo che arrestò il Duce, il “Bill” di quei giorni di furore e di liberazione [...] Si chiamava Urbano Lazzaro [...] Dopo la fine della guerra era entrato nella società idroelettrica Sip. In veste di funzionario aveva girato il mondo, stabilendosi quindi a Rio de Janeiro. Ma i venti mesi di guerra partigiana, i misteri legati all’arresto e alla fucilazione di Mussolini e di Claretta Petacci, e soprattutto quelli riguardanti il famoso “oro di Dongo”, continuarono a segnare la sua esistenza. Erano ricordi pesanti, incancellabili, per chi era comunque entrato nella storia. E “Bill” cominciò a riversarli in libri di memorie e di polemiche, uno dei quali scritto con Pier Luigi Bellini delle Stelle, il “Pedro” che era stato al suo fianco nella primavera del ’45. Andando controcorrente, e forse anche contro la verità dei fatti, l’ex vice commissario politico della cinquantaduesima Garibaldi iniziò a sostenere la tesi che sarebbe diventata un suo cavallo di battaglia. Era quella che individuava in Luigi Longo, uno dei capi della Resistenza e del partito comunista clandestino, futuro segretario generale del Pci, l’uomo salito a Giulino di Mezzegra per giustiziare il Duce e la Petacci. Secondo Lazzaro, in sostanza, il vero comandante “Valerio”, il fucilatore di Mussolini, sarebbe stato “Gallo”, il nome di battaglia di Longo, e non Walter Audisio, come invece raccontarono e raccontano sempre le versioni ufficiali. Negli ultimi anni, Lazzaro aveva poi intrapreso un suo discusso processo di revisione del periodo partigiano, propugnando una sorta di “riconciliazione nazionale” con gli ex fascisti della Repubblica di Salò. Su posizioni di destra, come ormai lo consideravano i compagni della Resistenza, nel giugno del 1997 “Bill” volle stupire ancora una volta tutti e accettò di tenere una conferenza in un circolo di Alleanza Nazionale. Pur non pentendosi del suo passato (“rifarei quello che ho fatto allora, allo stesso modo, con lo stesso spirito di quei giorni”), nell’afosa Vercelli fu il protagonista di una serata a suo modo memorabile. Accolto da un senatore postfascista come “un galantuomo”, Lazzaro raccolse più di applauso affermando, tra l’altro, che Mussolini era stato ucciso senza un regolare processo e che la fucilazione, sebbene l’ordine di ammazzarlo fosse stato emanato da tutto il Comitato di Liberazione Nazionale, “fu arbitraria”. L’uomo che aveva contribuito in qualche modo alla fine del Duce, quella sera, volle ancora dire qualche parola sul “rispetto che egli ebbe per il prigioniero eccellentissimo”. I militanti di An parlarono infine di “serata storica”. Più di un ex partigiano preferì commentare, con amarezza, che iniziative di quel genere avrebbero condotto alla “fine della storia e delle sue differenze”» (Massimo Novelli, “la Repubblica” 5/1/2005).