9 gennaio 2006
FIENGO Raffaele.
FIENGO Raffaele. Sindacalista. Del ”Corriere della Sera”. «[...] ”IO so”, l’articolo di Pier Paolo Pasolini sul colpo di Stato, attese 40 giorni prima di essere pubblicato. Il direttore del Corriere della Sera, Piero Ottone, soppesò a lungo le righe contro i ”responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpe istituitasi a sistema di protezione del potere)”. Senza far nomi (’So i nomi, ma non ho le prove”), Pasolini descriveva lo scenario delle ”due opposte fasi della tensione: una prima anticomunista (Milano 1969) e una seconda antifascista (Brescia e Bologna 1974)”. Raffaele Fiengo, 30 anni da sindacalista al Corriere, alla vigilia dell’addio al giornale, racconta il retroscena: ”Lavoravo per la Terza pagina, che ospitava gli ’Scritti Corsari’ di Pasolini, più volte sollecitai la Direzione a dare il via all’articolo. Ottone alla fine mi disse: ’Lo pubblicheremo con un’opinione di pari peso, per esempio di Giuseppe Prezzolini’. Prezzolini era in esilio volontario in Svizzera, da anni silenzioso. Insistendo, lo convinsi e i due pezzi (’Io so’ e ’Io credo’) uscirono uno sopra l’altro il 14 novembre 1974, poco prima del quinto anniversario della strage di piazza Fontana”. Con redattori innamorati del mestiere i fatti escono. ”Un giornale deve pubblicare tutto quanto è di interesse pubblico”: per Fiengo è la semplice ricetta della qualità del prodotto, ”che è una garanzia per la democrazia”. Cita gli esempi delle crisi (non solo editoriali) statunitensi e inglesi di fronte a insabbiamenti e informazione addomesticata sulla guerra in Iraq. Missione? Professione. Fin da giovane, Fiengo ha vocazione: si laureò in Giurisprudenza con la tesi La libertà di stampa in Italia e nei paesi anglosassoni. Aveva 22 anni, un’infanzia a Cambridge, in Massachusetts, dov’è nato. [...] Sindacalista a vita: lo è stato fino a 65 anni. [...] Giornalista libero per i suoi estimatori, rompiballe per editori e direttori, censore comunista stile Minculpop, eskimo in redazione per i suoi detrattori. Il Borghese (1997) lo irrise come ”un giornalista che non ha mai scritto un rigo in vita sua”. Sindacalista per non lavorare? Fiengo querelò e vinse la causa elencando inchieste assai scomode: su Montedison (1967), sulle tangenti al crocevia Rai del colore Pal o Secam (1972). Con l’intervento del fratello Giuseppe, dell’avvocatura di Stato, ottenne il decreto (1972) sul libero accesso a tutte le spiagge italiane. Da redattore alla Tribuna Illustrata di Alfredo Pigna risistemò i primi scritti di un giovane Bruno Vespa. Per certi poteri era meglio che Fiengo non scavasse. ”Per certi poteri era meglio che io non facessi niente - corregge lui -. Entrai nel sindacato per difendere l’informazione. E molti direttori capirono la funzione costruttiva del ruolo’. Con un Corriere sempre nelle mire di cordate, spesso occulte, ebbe tante, troppe, battaglie. La P2 tra gli anni ’70 e ’80: ”Biagi ci lasciò, piansi”, ”Mi rifugiai in una casa senza telefono a Pavia: non volevo fare accordi con Tassan Din”, ”Fui relatore (376 pagine) per la Commissione parlamentare di Tina Anselmi”. Nell’84 una lunga telefonata con Craxi: ”Mi disse che sapeva che noi del Corsera eravamo democratici, ma fu durissimo nell’annunciarmi che avevano un progetto per modernizzare il Paese e che, essendo loro una piccola minoranza, nei giornali avevano bisogno solo di esecutori”. All’isolamento preferì il rapporto editoria-scuola: ”Non partecipai a un Comitato di redazione nel nome della piena lottizzazione (un Dc, un Psi e un Pci)”. La parentesi con Piero Ostellino (84-87) fu delicata. ”Sicuramente - dice Fiengo -, la redazione del Corsera tenne la schiena dritta con Alberto Cavallari (81-84) e Ugo Stille (87-92)”. Ma per Enzo Bettiza, che aveva lasciato il Corriere nel ’74 contestando la linea di Ottone, Fiengo voleva trasformare il giornale in ”una specie di ministero dell’educazione civile”. Eugenio Montale, giornalista più anziano del Corriere, definì il cdr ”soviet”. Anche Indro Montanelli sbattè la porta di Ottone (la riaprì dopo il divorzio da Berlusconi, ’95). La ferita più profonda e dolorosa fu la perdita di Walter Tobagi ucciso nell’80 da pazzi con ambizioni brigatiste: ”Un’esecuzione mai chiarita fino in fondo, Tobagi stava facendo bene per l’informazione e aiutava a contenere le rigidità di un consiglio di fabbrica marchiato Pci. A conclusione della P2, tolsi io le bandiere rosse dalle finestre”. Con la Seconda Repubblica e la scesa in politica di Sua Emittenza Silvio Berlusconi, Fiengo è rieletto nel cdr (’94). A tutela di ”Via Solferino” aveva creato ”la Società dei redattori”, aveva scritto lo ”Statuto” per garantirsi da proprietà con interessi oscuri, ora il leader sindacale (direttore Paolo Mieli, 92-97) intravede il rischio del monopolio nel mixer di poteri economia-politica- informazione. Il cdr acquista azioni per parlare all’assemblea Gemina che controlla Rcs, e lì, nel maggio 2002, Fiengo avverte Romiti e soci: ”Vi chiedo che la libertà del Corriere non sia intaccata. Si dice che il patto di sindacato si aprirà a uomini vicini al presidente del Consiglio. Anche voi avete doveri che vanno oltre i semplici interessi monetari e non siete estranei alla minaccia della libertà di informazione». Le pressioni dell’entourage del Cavaliere si spostano sulla direzione, portano alle dimissioni di Ferruccio De Bortoli (1997-02), sostituito da Stefano Folli. Poi il Mieli 2, la scalata dei Ricucci, e l’ennesimo allarme suonato dal ”comunista” Fiengo (visto da destra) o ”agente Cia” (visto da sinistra). ”Io - dice - mi ritengo un liberal-bostoniano. Contro Berlusconi e contro D’Alema, come ho fatto, quando si minaccia l’indipendenza dei giornali”. [...]» (Luciano Borghesan, ”La Stampa” 7/1/2006).