Fonti varie, 2 gennaio 2006
Anno III - Novantanovesima settimanaDal 19 dicembre 2005 al 2 gennaio 2006Yemen. Cinque turisti italiani in vacanza nello Yemen, che a bordo di una jeep stavano attraversando il Marib per visitare la zona dei siti archeologici, si sono visti bloccare da banditi armati che hanno intimato loro di seguirli in una casa della zona
Anno III - Novantanovesima settimana
Dal 19 dicembre 2005 al 2 gennaio 2006
Yemen. Cinque turisti italiani in vacanza nello Yemen, che a bordo di una jeep stavano attraversando il Marib per visitare la zona dei siti archeologici, si sono visti bloccare da banditi armati che hanno intimato loro di seguirli in una casa della zona. I sequestratori volevano prendere solo i due uomini e non portarsi dietro le tre donne. Ma queste si sono ribellate: ”Se prendete loro, veniamo anche noi”. La storia ha fatto subito il giro del mondo. Mentre scriviamo (lunedì 2 gennaio, ore 10 del mattino), le trattative sono in corso e non sembrano esserci preoccupazioni particolari: il sequestro dei turisti è uno sport assai praticato in Yemen. Li tengono poche ore - con qualche scusa altisonante (stavolta: liberare 11 o 8 prigionieri) -, poi s’accontentano di qualche spicciolo e li rilasciano. I nomi dei nostri cinque compatrioti: Camilla Ruini, Maura Tonetto, Patrizia Rossi, Piergiorgio Gamba, Enzo Bottillo.
Gas. Potrebbero esserci problemi, tra qualche giorno, per le nostre forniture d’energia e quindi, ad esempio, per il riscaldamento delle case. Russi e ucraini stanno litigando sul prezzo del gas e al 31 dicembre le trattative si sono rotte: i russi della Gazprom, la ditta che ha appena assunto l’ex cancelliere Schröder, hanno perciò chiuso i rubinetti che portano il gas in Ucraina e lasciato aperti quelli che servono l’Europa. Ma anche le tubature dirette in Europa attraversano l’Ucraina e gli ucraini - sostenendo che in ogni caso un diritto di passaggio deve esser loro riconosciuto - hanno cominciato a prelevare sul loro territorio il 15 per cento del gas diretto agli europei. L’Italia dipende da Mosca per un quinto del suo fabbisogno e l’Eni garantisce che almeno per 15 giorni non ci sarà nessun problema, perché abbiamo scorte sufficienti. I commentatori vedono nella vicenda un tentativo di Putin di ribadire l’egemonia russa. In Ucraina, dopo la rivoluzione arancione, il partito filorusso di Yanukovich è stato rovesciato e il paese è ora in mano dell’antirusso banchiere Yuschenko, divenuto famoso per essere stato sfigurato col veleno probabilmente da emissari dello stesso Putin.
Il nuovo governatore. Il nuovo governatore della Banca d’Italia si chiama Mario Draghi, ha 58 anni, due figli e una moglie di nome Serena discendente della Bianca Cappello che fu sposa di Francesco de’ Medici (XVI secolo). Era fino a questo momento vicepresidente della Goldman Sachs - una delle più importanti banche d’affari del mondo - e aveva casa a Londra, non lontano da Harrod’s, anche se il suo mestiere lo portava a cambiar città tutte le notti. Si insedierà non prima del 16 gennaio. Per nominarlo il governo ha dato prova di una rapidità davvero rara: passata in via definitiva al Senato il 23 dicembre, la Legge sul risparmio, che conteneva tra le altre le nuove norme relative alla nomina del governatore, è stata sottoposta a Bruxelles e ha ricevuto un’approvazione immediata. Ciampi l’ha firmata il 28 e la Gazzetta l’ha pubblicata il 29. In quello stesso giorno si riunivano il Consiglio dei ministri e il Consiglio superiore della Banca d’Italia. Il Consiglio dei ministri proponeva alle 9.30 del mattino, il Consiglio superiore approvava verso le 11, e a mezzogiorno Ciampi emetteva il decreto di nomina. La mattina successiva (30 dicembre), ecco il nuovo governatore - un bell’uomo che sa sorridere - arrivare al Quirinale per salutare il Presidente. Nugolo di fotografi e scatto di un’immagine che finisce su tutte le prime pagine: il vecchio Ciampi, già governatore dal 1979 al 1993, che accarezza ridendo la guancia del suo giovane successore. Il fatto davvero eccezionale avviene subito dopo: Draghi va a piedi (e sottolineo: a piedi) dal Quirinale alla Banca d’Italia. Sono un centinaio di metri, ma non esiste uomo pubblico in Italia che non avrebbe percorso quel centinaio di metri con auto blu, scorta e sirene spiegate. Infatti, gli uscieri di Bankitalia, pochi minuti dopo aver visto Draghi passare normalmente per la portineria, vedono arrivare il vecchio governatore Fazio, per l’appunto con l’auto blu e la scorta. I due non si sono incontrati. E, a pensarci, come avrebbero potuto? Riapparso in via Nazionale dopo un’oretta, Draghi ha fatto una passeggiata per il centro di Roma - che è la sua città, ma dove negli ultimi anni è venuto assai poco - e, giunto al Tritone, ha salutato le decine di giornalisti che lo seguivano speranzosi e a cui aveva dedicato solo dei grandi sorrisi, ha fermato un taxi e, come un uomo qualunque, è tornato a casa.
Uomo qualunque. Come si sarà capito, il nuovo governatore non è affatto un uomo qualunque. Intanto per il curriculum eccezionale: ha preso un Ph.D in Economia negli Stati Uniti, impresa che prima di lui era riuscita solo a Giorgio Basevi nel 1965, è stato allievo prima di Federico Caffè a Roma e poi di Franco Modigliani al Mit, direttore esecutivo della Banca mondiale a Washington (a 39 anni), presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione europea, docente a Harvard. Poi c’è il curriculum italiano che si sostanzia soprattutto nei dieci anni di direzione generale al Ministero del Tesoro. Chiamato da Andreotti nel 1991 e confermato poi da tutti i governi successivi: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, di nuovo Amato, di nuovo Berlusconi. Nei dieci anni, fino al 2001, è prima di tutto l’uomo delle privatizzazioni: in silenzio, senza fare dichiarazioni o rilasciare interviste, piazza sul mercato Iri, Telecom, Eni, Enel, Comit, Credit e decine di altre aziende possedute o partecipate dallo Stato. Licenzia i vecchi boiardi democristiani, fa infuriare gli statalisti più accesi (Nerio Nesi, banchiere rifondarolo, nel 1997, quando fu messa in vendita Finmeccanica e licenziato Fabiano Fabiani: ”è gravissimo che tutto venga deciso da un funzionario del Tesoro come questo Draghi, assolutamente non idoneo a decidere in questioni industriali”). Nel 1992, prima di dare inizio alla vendita delle società pubbliche, incontra sul panfilo Britannia della regina Elisabetta la comunità finanziaria. Questo scatena una ridda di voci, ben vive anche oggi, secondo le quali Draghi non è altri che l’uomo assai ben pagato dei poteri forti internazionali incaricato di svendere il patrimonio italiano. Però i risultati finali dei dieci anni di privatizzazioni non sembrano quelli di una svendita: 182 mila miliardi di lire, che fanno scendere il debito pubblico dal 125 per cento sul Pil del 1991 al 115 del 2001, cifre inferiori solo alle privatizzazioni inglesi. Draghi vara poi la nuova legge sul diritto societario, quella che regola le Opa (e che stabilische che chi sale al 30 per cento deve poi lanciare un’Opa su tutto) e che si chiama, appunto, ”legge Draghi”. Infine, Ciampi lo incarica di fare il giro delle capitali europee per convincere i nostri partner che l’Italia è affidabile e può essere ammessa nell’area euro. Draghi ci riesce e anche questa, per qualcuno, è una colpa.
Capitalismo popolare. Tra le realizzazioni meno conosciute del nuovo governatore c’è la ristrutturazione del debito italiano. In poche parole: Draghi sapeva che, a inflazione in picchiata, sarebbe finita l’abitudine italiana di mettere tutti i risparmi in Bot. Lui stesso voleva che si passasse dal capitalismo protetto dei Bot al capitalismo popolare dei fondi d’investimento e dei prodotti finanziari complessi. Ristrutturò quindi l’indebitamento pubblico: nel 1991 il 70 per cento del debito statale era a tasso variabile e a breve termine (i Bot, appunto). Nel 2001, quando Draghi lasciò il ministero, il 70 per cento del debito era a tasso fisso (quindi meno pericoloso) e a medio-lungo termine. Il declino dei Bot spinse gli italiani ad assaggiare quel che offriva il mercato propriamente detto, azioni, obbligazioni, bond. E perciò il fronte degli oppositori attuali di Draghi (capitanato da Bertinotti e Cirino Pomicino) potrebbe forse imputare anche alle scelte politiche dell’allora direttore generale i danni subiti dai risparmiatori per via dei grandi crac Cirio e Parmalat e per quelli che stanno emergendo adesso: Banca Popolare Italiana e, magari, Unipol.
Unipol. La vicenda Unipol è a questo punto: il presidente Giovanni Consorte e il suo vice Ivano Sacchetti si sono dimessi. I magistrati hanno aggiunto alle altre imputazioni quella di appropriazione indebita. Risulta che, all’epoca in cui si potevano far rientrare in Italia i capitali residenti all’estero pagando solo una piccola tassa e restando certi dell’impunità, Consorte abbia fatto tornare cinque milioni di euro, la cui origine non è chiara. Risulta anche che, su conti esteri, a partire dal 1999, Consorte abbia accumulato 50 milioni di euro, cioè 100 miliardi di lire, questi di origine ancora più misteriosa ma comunque pagati in gran parte proprio da Gnutti e Fiorani, i due protagonisti delle scalate estive ora abortite. Consorte ha detto che si tratta di consulenze, rilasciate a Gnutti in occasione della scalata a Telecom del 1999. Nel 1999 il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema. Massimo D’Alema definì Gnutti, Colaninno e gli altri della scalata ”capitani coraggiosi”. Il professor Guido Rossi, padre dell’Antitrust e primo presidente della Consob, un uomo attribuito senza dubbi alla sinistra, disse allora: ”L’unica merchant bank italiana dove non si parla inglese è Palazzo Chigi”. Questi pochi elementi non basterebbero a un magistrato, e neanche a un giornalista, per mettere in piedi un’inchiesta. Sono però bastati a Giuliano Ferrara per scrivere un articolo tremendo (’non ci piace essere presi per il culo”) in cui chiede conto a D’Alema dei 50 milioni di Consorte e fa cadere un sospetto grande così sul leader diessino. La risposta dei Ds, il giorno dopo, è stata talmente debole che Scalfari su Repubblica se n’è lamentato.
Berlusconi. Il Corriere della Sera ha rivelato in prima pagina e con grande clamore, nella sua edizione del 29 dicembre, che all’inizio di novembre Berlusconi ha ricevuto un avviso di garanzia in cui lo si accusa di aver dato 600 mila dollari all’avvocato inglese David Mills, affinché questi testimoniasse il falso in due processi che vedono il premier imputato. Oltre alle solite reazioni indignate, il fatto ha provocato il seguente discorso, fatto soprattutto dalla Casa delle Libertà (onorevole Bondi): il Corriere della Sera e il suo direttore Paolo Mieli hanno l’ambizione di determinare la politica italiana, scrivendo o non scrivendo a seconda di calcoli tutti loro; il Corriere della Sera e il suo direttore Paolo Mieli, attaccando astutamente ora Berlusconi ora D’Alema, si propongono di aprire la strada all’asse Prodi-Rutelli-Veltroni e di conceder loro, al momento della spartizione del bottino successiva alla prossima vittoria elettorale (Quirinale, Palazzo Chigi, eccetera), il massimo vantaggio possibile; maggioranza e opposizione - dice Bondi - facciano perciò fronte comune contro i poteri forti - quelli giornalistico-finanziari - che vogliono legare le mani alla politica. l’ennesima riproposizione del governo di unità nazionale, a cui il centro-destra, abbastanza sicuro di perdere, punta parecchio e che potrebbe anche risultare inevitabile in caso di un pareggio, reso possibile dalla nuova legge elettorale, magari al Senato. Da sinistra hanno risposto a una sola voce: no! Però chi può sapere come andrà a finire davvero? Il denaro finora sequestrato è quattro volte quello dell’intera Tangentopoli, la magistratura continua ad avanzare e quello che scopre non lascia tranquillo nessuno.
Anno III -