Note: [1] Luciano Caglioti, Il Messaggero 3/1; [2] Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 3/1; [3] Paolo Mastrolilli, La Stampa 3/1; [4] Maurizio Ricci, la Repubblica 3/1; [5] Franco Venturini, Corriere della Sera 5/1; [6] Vittorio E. Parsi, Avvenire 3/1;, 2 gennaio 2006
”La prima guerra del 21° secolo”: così la settimana scorsa ”Le Monde” titolava un’editoriale sullo scontro tra Russia ed Ucraina
”La prima guerra del 21° secolo”: così la settimana scorsa ”Le Monde” titolava un’editoriale sullo scontro tra Russia ed Ucraina. [1] Era successo che Kiev non accettava il fortissimo aumento del prezzo del gas (da 50 a 230 dollari per mille metri cubi) chiesto da Mosca, la quale aveva perciò ridotto la pressione nei gasdotti, lasciando passare solo la quantità destinata all’Europa. L’Ucraina, però, aveva continuato a prelevare gas, riducendo le quantità dirette in vari Paesi tra i quali l’Italia. [2] Fortunatamente, la crisi è stata risolta in appena 48 ore. Richard Pipes, forse il più famoso studioso americano della Russia, l’avevo previsto da subito: «Putin sarà costretto a fare marcia indietro, per vari motivi. Primo, la pressione che subirà dall’Europa e dagli Stati Uniti. La sua decisione ha un impatto diretto sulle forniture di gas alla Polonia, ma anche alla Germania e alla Francia, che non gli consentiranno di proseguire su questa stada. La sua tattica, inoltre, è poco efficace sul piano pratico. Mosca accusa Kiev di rubare il suo gas, ma non può impedirle di continuare a farlo, perché l’80% delle forniture destinate all’Europa passa sul suo territorio». [3] L’80 per cento del gas russo da esportazione si infila nell’imbuto ucraino. Maurizio Ricci: « il rovello che agita, da tempo, il Cremlino e che ha spinto Gazprom a darsi, secondo molti osservatori, la priorità strategica di evitare il pedaggio di paesi terzi nella consegna del gas. Si spiega così la decisione di varare, nonostante il costo sia fuori mercato, un gasdotto attraverso il Baltico per raggiungere la Germania». [4] Nell’attesa, per molti Paesi europei (Italia in testa) esiste la necessità di diversificare le forniture. Franco Venturini: «Facile a dirsi quanto difficile a farsi, come certamente Putin non ignora. L’Algeria, per dirne una, non è molto più rassicurante della Russia. E il gas liquefatto, trasportabile con navi-cisterna, comporta costi e attrezzature idonee. Restano l’eterno sogno delle energie rinnovabili e il ritorno di dibattito sul nucleare. Ma nel futuro prevedibile la Russia continuerà ad essere un cruciale fornitore energetico dell’Europa. E noi, c’è da giurarci, dovremo tornare ad occuparci di quel gasdotto che passa da Kiev». [5] Nel 1904, in un articolo dal titolo ”The Geographical Pivot of History” (Il perno geografico della storia) pubblicato sul ”Geographical Journal”, Halford Mackinder, padre della geopolitica anglosassone, osservava: «Chi controlla il cuore della massa continentale eurasiatica (heartland) controlla il mondo». Vittorio E. Parsi: «A distanza di più d’un secolo, ancora una volta e sia pure con modalità molto diverse, il teatro di quello che Rudyard Kipling avrebbe definito ”il grande gioco” torna ad assumere il suo ruolo di perno dell’equilibrio tra Est e Ovest». [6] Alberto Indelicato: «A tutta prima i comportamenti del governo russo sono stati interpretati come dei residui del comunismo o peggio come una ricaduta nei vecchi dèmoni. In realtà la Russia cercava una sua via, divergente e talvolta contrastante con quelle degli euro-americani, una via che d’altronde si ricollega ad una antica tradizione, quella di Pietro il Grande, che dall’Occidente prendeva quanto potesse giovare al potenziamento ed al progresso tecnico e economico del suo Paese senza però fargli perdere la sua originalità». [7] Sullo sfondo di una sempre più evidente scarsità relativa delle fonti di energia, legata anche all’incredibile crescita da parte dell’economia cinese, la Russia di Putin sembra ripercorrere le strade di quella zarista, giocando fino in fondo le carte che la geografia mette a sua disposizione. Parsi: «Per quanto egli discenda dalle più segrete gerarchie dei custodi del potere sovietico (il Kgb), è difficile trovare qualcuno che meglio di Vladimir Putin incarni la discontinuità tra la politica estera dell’Urss e quella della nuova Russia. Se per svolgere la propria azione internazionale (e ”internazionalista”) l’Unione Sovietica faceva affidamento soprattutto su poderose risorse ideologiche e militari, la Russia odierna sembra ben più consapevole che il comparto economico è altrettanto decisivo per nutrire le proprie aspirazioni politiche: tanto più quando gli strumenti ideologici e militari sono così arruginiti». [6] Nelle intenzioni di Putin sta rinascendo la superpotenza Russia. Venturini: «Con il gas e il petrolio nel ruolo che fu degli arsenali nucleari. Con l’equilibrio dei bisogni al posto dell’equilibrio del terrore. Con la selezione flessibile di amici e nemici là dove c’era il confronto tra i blocchi». [8] Fosse un Paese, Gazprom sarebbe superata per produzione energetica solo dall’Arabia saudita e dall’Iran. Roberto Livi: «Dunque un gigante; non solo del gas (di cui controlla quasi tutta la produzione russa), ma anche del greggio: la Yukos, ”rapinata” all’ex oligarca Khodorkovsky, e la Sibneft, ”ceduta” da Abramovich dopo aver scelto di ”emigrare” a Londra e dedicarsi all’amato Chelsea, sono stati infatti inglobati dal Gazprom. Il tutto, poi, coordinato con Transneft, azienda dello Stato che ha il monopolio del trasporto di gas e petrolio sul territorio della Federazione russa». [9] Gazprom è nata nel 1993. In una dozzina di anni è diventata una sorta di ”ottava sorella”. Giancarlo Radice: «Produce circa 600 miliardi di metri cubi l’anno e i suoi giacimenti sono pari al 28% di tutte le riserve mondiali. Fattura oltre 30 miliardi di dollari e capitalizza (è quotata su 4 Borse russe, ma anche a Londra) circa 160 miliardi di dollari». [10] Il gas naturale dovrebbe divenire entro il 2030 la seconda fonte energetica al mondo. In Europa, la quota di gas naturale nel consumo energetico totale è destinata a passare dall’attuale 23% al 32% (nel 1971 era l’8). [11] Gazprom conta di conquistare entro il 2010 anche il 10 per cento del mercato americano. [12] Ed è in costruzione il nuovo gasdotto che porterà alla Cina e (forse) al Giappone (con una possibile, futura diramazione a sud, verso l’India). [10] Si dice: Gazprom è «un ministero degli esteri ombra» che esercita la sua influenza con il gas, «la valuta del futuro». [12] Daniel Cohn-Bendit, leader dei verdi europei, dice che è «un’arma contro le democrazie in politica estera e contro la democrazia in politica interna». [13] Di certo è il perno della «Korporazija Kreml’» (la «Cremlino corporation»), lo strumento decisivo nei piani del presidente Putin per il riscatto russo. Radice: «Per capirlo, del resto, basta dare uno sguardo alle operazioni mandate in porto solo negli ultimi 3 mesi. A fine settembre Gazprom ha acquistato, per una cifra pari a 13 miliardi di dollari, la compagnia petrolifera Sibneft. Poco più di un mese dopo ha ”assunto” l’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schröder come presidente della North European Gas Pipeline (Negp), la società della Gazprom che dovrà costruire entro il 2010 un gasdotto da 4 miliardi di dollari per trasportare attraverso il Mar Baltico l’energia in Europa continentale, in Germania, Francia, Gran Bretagna e Olanda. E una settimana fa Putin ha annunciato il via libera all’apertura del capitale di Gazprom ai grandi investitori internazionali. Potranno acquistare fino al 49% del gruppo, il cui 51% resta comunque saldamente nelle mani dello Stato». [10] Quando, nel luglio 2003, la Procura generale russa cominciò l’attacco alla Yukos, le ipotesi per spiegare le tensioni erano più numerose dei mandati di cattura. Anna Zafesova: «Gli ottimisti ritenevano che Vladimir Putin avesse finalmente cominciato le purghe degli oligarchi, ponendo fine allo strapotere dei magnati e imponendo alla caotica modernizzazione della Russia una regola. I pessimisti denunciavano la vendetta contro Khodorkovsky, miliardario giovane e liberale attorno ai petroldollari del quale si formava un polo politico-mediatico d’opposizione. I cinici - era anche la versione di alcune gole profonde del Cremlino - tranquillizzavano: solo un mero gioco di potere tra diverse fazioni, il giusto ridimensionamento di un riccone troppo ambizioso politicamente e troppo amico degli americani. Tutti avevano in parte ragione, e tutti avevano torto». [14] La novità del 2006 è la ricomparsa della Russia sulla mappa delle minacce del mondo. Zafesova: « cambiato solo lo strumento: al posto delle testate nucleari e del movimento comunista internazionale oggi c’è il rubinetto del gas». La fedele Bielorussia, che Bush definisce l’«ultima dittatura d’Europa», paga 46,68 dollari per mille metri cubi di metano; l’antipatica Polonia che ha polemizzato un po’ troppo con il Cremlino, è passata da 120 a 190; i Paesi Baltici, che hanno osato rimproverare a Mosca l’annessione all’Urss, sono passati da 80 a 120; la Georgia filoamericana, che ha preferito far risolvere il suo conflitto interno in Ossezia del Sud in sede internazionale e non dalle truppe russe, è passata da 60 a 110; la Moldova, che ha risposto ”no, grazie” a Mosca nei negoziati sui secessionisti del Dniestr, si è vista raddoppiare il prezzo a 160. [14] C’era una volta l’Unione Sovietica con i suoi satelliti intruppati nel Patto di Varsavia, i suoi pugnaci amici comunisti sparsi per il mondo e il suo deterrente nucleare puntato sull’Europa occidentale. Enzo Bettiza: «Oggi, al posto di quella temibile superpotenza regolare, nitidamente schierata con armi e bagagli ideologici contro l’Occidente, c’è una superpotenza irregolare e per molti aspetti indefinibile: la Russia postsovietica del Gazprom. Né totalitaria né democratica, né alleata né avversaria dell’Occidente, questa Russia spregiudicata e sfuggente come l’uomo del Kgb che la guida ha assegnato al suo straordinario potenziale energetico una valenza politica assoluta e, al tempo stesso, ha coniato nell’irregolarità e nell’ambiguità il suo marchio di fabbrica internazionale. Per la Kremlin Corporation, organizzata da Vladimir Putin attorno al colosso Gazprom, il capitalismo di Stato non è più una fumosa metafora ideologica come ai tempi di Lenin e del primo Stalin. una realtà che va presa alla lettera». [15] C’è anche chi la vede in modo diverso. Astrit Dakli: «Se non fosse una questione estremamente seria, che investe in pieno la politica energetica mondiale - anzi, la politica tout court, quella con la P maiuscola, chiamata a preparare un futuro migliore per i cittadini - ci sarebbe davvero da ridere: i governi dell’Occidente capitalista chiedono al governo russo (che accusano sempre di coltivare nostalgie socialiste) di essere ”un fornitore di energia responsabile”; dunque di non toccare le forniture di gas destinate all’Ucraina e di ignorare il trascurabile fatto che Kiev non vuole pagarle. Buffo davvero, detto da governi che hanno sempre usato con disinvoltura l’arma del blocco commerciale (includente beni vitali come cibo e medicine) contro paesi ”antipatici”; e che peraltro vedono come fumo negli occhi qualunque ingerenza statale (altrui) nel ”libero gioco del mercato”». [16] Marcello Foa: «Putin ha imparato a muoversi. E ad argomentare le proprie decisioni. Quando chiede all’Ucraina il pagamento del gas ai prezzi correnti, avanza una pretesa che gli Stati Uniti, nel merito, non possono contestare: non sono loro, da sempre, a sostenere le virtù di una libera economia di mercato?». [17] Kiev obietta che in Europa il prezzo è calcolato sulla media dei costi delle altre fonti di energia. Fabrizio Dragosei: «E queste sono molto più economiche in Ucraina (anche i redditi, naturalmente, sono estremamente più bassi). Se in Germania un litro di benzina costa 1,20 euro in Ucraina il prezzo è di 0,55. Così Yushchenko chiede che al suo Paese si applichino tariffe adeguate». [18] Venturini: «Mentre sostiene di voler eliminare i prezzi sovvenzionati a tutto beneficio delle regole di mercato, Putin fa intendere a chi deve intendere che le regole del gioco sono del tutto diverse: la fedele Bielorussia riceve gas a prezzi di superfavore, molto più dure sono le condizioni per chi fa la fronda (Georgia, Moldavia) o per chi è già passato dall’altra parte (i Baltici, la Polonia). E durissima, oltre che molto pubblicizzata, è la linea di Mosca nei confronti dell’Ucraina. Perché la ferita della ”Rivoluzione arancione” del 2004 non si è mai rimarginata, e perché le elezioni legislative di marzo potrebbero essere il primo passo per riprendere il sopravvento a Kiev». [8] Nadia Arbatova, direttore dell’Istituto di Studi Politici Europei all’Accademia delle Scienze di Mosca: «La Russia è preoccupata dell’allargamento della Nato a paesi tradizionalmente sotto la sua sfera di influenza e soprattutto ha paura di rimanere esclusa dalle grandi alleanze. Inutile negare che Mosca ha interessi speciali nelle ex repubbliche sovietiche - e questo non è certo un delitto - ma la mia impressione è che le democrazie occidentali si rifiutino di accettare questa realtà come un dato geopolitico acquisito». [19] Gli SS-20 sono stati sostituiti dal listino prezzi Gazprom. Zafesova: « E se questo non piacerà all’Europa, c’è sempre la Cina con la sua fame insaziabile di energia, pronta a pagare in contanti e priva degli inutili scrupoli che vincolano il club delle democrazie». [14] Gianni Riotta: «Putin è disposto a trattare l’Ue come Kiev, non appena la Cina sarà cliente più avida. Seguite gli itinerari tortuosi degli oleodotti e dei gasdotti, dalla Russia all’Adriatico, passando per Kabul, l’India e l’Africa, lungo le mappe del bel volume La bussola del cambiamento (a cura del Centro Einaudi). Sono le arterie del mondo nuovo, possono darci vita o morte». [20] Drogato dal gas della Gazprom, l’Occidente chiude gli occhi sulla condotta del Cremlino. Riotta: «Non vediamo la guerra in Cecenia, regione ”dove comandano gli sciacalli” scrive Thomas de Waal sulla London Review of Books. Fingiamo di ignorare la messa al bando delle associazioni internazionali Ngo, che adesso devono sottostare alla censura del Servizio di Registro federale, che può bandirle a piacimento». [20] Venturini: «Il Cremlino è sincero quando afferma di voler mantenere con l’Ovest i migliori rapporti possibili. Ma il messaggio urlato all’Ucraina vale anche, implicitamente, per gli europei: avete visto cosa posso fare con il mio nuovo petropotere? Vi ricordate che sono il primo produttore mondiale di gas e il secondo di petrolio? Quello che abbiamo chiamato ”equilibrio dei bisogni” obbedisce esattamente alla stessa regola del fu ”equilibrio del terrore”: la deterrenza. La Russia ha bisogno dell’Ovest, perché senza di lui non potrebbe integrarsi pienamente nell’economia globalizzata. L’Ovest ha bisogno della Russia, perché senza i prodotti del suo sottosuolo andrebbe in crisi energetica. Risultato, nessuno spari per primo». [8]