Varie, 5 gennaio 2006
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Colasanti Donatella
• 12 maggio 1958, Roma 30 dicembre 2005 • «Per tren’anni non ha mai smesso di chiedere giustizia per le terribili violenze subite in quella villa degli orrori al Circeo. Anche poche ore prima di morire ha ripetuto al suo legale ”dobbiamo batterci per la verità”. [...]Angelo Izzo, uno dei tre ”pariolini” che il 29 settembre 1975 dopo terribili sevizie l’avevano ridotta in fin vita e ucciso la sua amica Maria Rosaria Lopez in una villetta del Circeo [...]» (Federica Angeli, Marino Bisso, ”la Repubblica” 5/1/2006). «Non avrebbe mai potuto, dopo tanto orrore, togliersi dal cuore l’angoscia, la sofferenza e la rabbia che l’avevano annichilita [...] Non aveva mai trovato davvero la pace Donatella Colasanti, annientata dalla brutalità e dal dolore una notte d’autunno del ’75. Quando, terrorizzata, si era dovuta fingere morta per sopravvivere; quando era stata rinchiusa nel bagagliaio della Fiat 127 dei suoi massacratori insieme al cadavere della sua amica, Rosaria Lopez, assassinata e violata. Era stata salvata per caso: un vigile notturno, passando per via Pola, la strada di Roma dove gli assassini avevano lasciato le loro vittime prima di andare a mangiare una pizza, l’uomo aveva sentito i lamenti della ragazzina provenire da quell’abitacolo di morte. Donatella era stata liberata, ma subito flash impietosi l’avevano ritratta con la sua maschera indimenticabile d’angoscia e d’orrore. Seminuda, coperta appena da un plaid a quadri, invasa dal sangue e dagli ematomi. E poi ancora, una volta soccorsa, con la testa fasciata, un camice bianco e gli occhi sbarrati. Segnata dai lividi, con la paura stampata nello sguardo, ma soprattutto ferita nell’anima. Senza rimedio e senza pace. [...] Quando i suoi tre aguzzini Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido uccisero Rosaria e a lei tolsero per sempre speranze e illusioni, di anni ne aveva appena diciassette. Eppure, al processo per stupro per la strage del Circeo celebrato poco tempo dopo, aveva testimoniato implacabile, con coraggio e lucidità. Ma non le era piaciuto essere usata (così aveva spesso ripetuto) come una bandiera dal movimento femminista. Si era lamentata di essere stata strumentalizzata e aveva detto basta. ”A tutti, alla destra e alla sinistra”. E anche a quella foto che la ritraeva con gli occhi di pietra e di ghiaccio. Lei voleva soltanto giustizia. Al processo di primo grado, Izzo, Guido e Ghira era stati condannati all’ergastolo; i primi due erano entrati in carcere. Evasi, erano stati riacciuffati. Ghira invece era scomparso nel nulla e la sua eterna latitanza sarebbe stata tra gli ultimi tormenti della ragazza sopravvissuta. [...] ”Era il suo incubo, pensava persino di poterlo incontrare sotto casa” aveva raccontato in una [...] intervista il suo legale, Mauro Cimino. [...] Era arrivata a chiedere la pena di morte per quei massacratori. Non poteva sopportare l’idea che Andrea Ghira (la ”mente”, il regista del terzetto che le aveva strappato la vita) non avesse fatto neanche un giorno di carcere. [...]» (Silvana Mazzocchi, ”la Repubblica” 5/1/2006). «[...] la verità è che basta andare dentro la sua di storia per rendersi conto che lei non aveva mai più ripreso a vivere da quel 29 settembre 1975, un lunedì. Aveva diciassette anni Donatella, quel giorno. Quel giorno piovvero fiumi d’inchiostro, impazzirono i flash e i telegiornali non sapevano più dove trovare le parole per descrivere un orrore che turbò sonni e pasti degli italiani: erano tutti ragazzini i protagonisti di quel Massacro del Circeo, partito come una innocua gita al mare. Da quel giorno Donatella divenne la Sopravvissuta. [...] Tina Lagostena Bassi, l’avvocato che per prima si prese cura della sua disgrazia, non esita a ripetere: ”Delle due ragazze la più fortunata è stata sicuramente Rosaria Lopez che è morta subito”. durata trent’anni l’agonia di Donatella. [...] nel 1992, si era inventata un nome d’arte e nell’arte aveva cercato di resuscitare: Donatella Del Greco, cantautrice, attrice. Incise un cd e si scrisse una pièce teatrale: Cadono parole, si intitolava. Ma tutto questo non le servì per scrollarsi il passato di dosso: ”Per forza devo recitare”, disse ai giornalisti che erano venuti lì ad intervistarla. E spiegò: ”Proprio quel giorno che mi chiusero in quel bagagliaio misi drammaticamente alla prova le mie capacità d’attrice. Occhi chiusi, trattenni il respiro e i tre si convinsero di avermi ucciso. Fu la mia capacità di recitare a salvarmi”. Ma non servì a farla resuscitare: lo sapeva anche Donatella che i giornalisti la intervistavano perché lei era la Sopravvissuta del Circeo. Quattro anni dopo nella sua vita arriverà la politica. Ma fu una meteora e fu anche molto devastante: era fuggita dalle femministe e dai movimenti di liberazione Donatella ma, a dispetto della sua cascata di riccioli neri, a tutti i processi non era riuscita a scacciar via dalla mente degli italiani l’immagine del suo volto tumefatto e dei suoi capelli impiastricciati di sangue. Inutilmente cercò rifugio dentro Alleanza nazionale. Era sembrato l’uovo di Colombo: lei, la Sopravvissuta di borgata vittima di aguzzini neo-fascisti che rinasce tra le file di un partito rinato dal fascismo. Sarebbe stata una favola bella.Ma non lo è stata. E la vita di Donatella è ricominciata da Mauro Cimino, avvocato di provincia, della provincia di Ascoli Piceno. Penalista e civilista insieme, come soltanto in provincia può succedere, Mauro Cimino diventa presto anche il suo più prezioso supporto emotivo. [...] Non aveva amici Donatella. Non aveva mai più avuto un fidanzato o un flirt da quel 29 settembre 1975. Viveva in casa con i suoi genitori e suo fratello più grande Roberto e l’unico svago che si concedeva era una sera ogni tanto un ballo in un locale periferico di Roma. [...]» (Alessandra Arachi, ”Corriere della Sera” 5/1/2006; «[...] detestava essere dipinta come una donna a cui avevano strappato l’anima, una zombi incapace di premere il tasto replay nella sua mente e tornare all’orrore di quella notte del massacro al Circeo, [...] Lei era sopravvissuta, rivendicava, insieme, il diritto all’esistenza piena, sogni compresi, e il diritto ad avere giustizia, a non essere considerata una pazza per questa sua determinazione a ottenerla. Anche in nome della sua amica Rosaria Lopez, morta per le sevizie. ”Me lo sento, nel prossimo anno mi farò una famiglia tutta mia”, diceva in una delle ultime interviste. E se le chiedevi se era felice, rispondeva così: ”Come potrei non esserlo, sono una miracolata e ogni giorno devo ringraziare Dio per avermi salvata. Quelli come me hanno il dovere di essere felici”. [...]Animale ferito Quando la guardavi vedevi gli occhi di un animale ferito. Ma lei ti spiegava che non era così. Erano rabbia, diffidenza, odio a renderli guardinghi, mobili e luminosi come fulmini. [...] Di Izzo raccontò che appena incontrato sembrava il classico bravo ragazzo della Roma bene. ”Parlava di musica classica per farci buona impressione. Io e Rosaria avevamo solo 17 e 19 anni. Ci ha invitati a una festa da ballo, dicendo che ci sarebbero stati compagni e compagne della scuola”. Poi si rivelò la belva che tutti sappiamo, che ”godeva nel vederci soffrire”. Non era lui che infieriva con la spranga sulla testa di Donatella, era Guido. ”Ma Izzo si esaltava nel dare ordini”, ha ricordato la Colasanti. Quando aveva letto delle due donne uccise a Campobasso da Izzo mentre era in regime di semilibertà (madre e figlia, Maria Carmela Liciano, 57 anni, e Valentina Majorano, 14 anni) a Donatella sembrava impossibile. ”Non sapevo che avessero concesso la semilibertà a Izzo. Come è stato possibile, visto che nel ’93 era anche evaso?”. E poi nel luglio 2003 al ministero di Grazia e Giustizia le avevano assicurato che sarebbe stato informata se avessero concesso a Izzo permessi premio. Invece, come sempre, il silenzio. [...] impazziva di rabbia quando sentiva di essere considerata una ”povera” Cassandra, accecata dall’odio. Impazziva quando solo sospettava di venire usata da qualcuno. E fu questo il motivo della rottura con le femministe che la sostennero durante il processo di Latina. Impazziva quando le chiedevano perché non fosse capace di perdonare almeno i genitori di Angelo Izzo che, dopo il delitto di Campobasso, hanno dichiarato di non volerne più sapere di lui. ”Troppo tardi - aveva spiegato - dovevano farlo prima e invece l’hanno sempre riempito di soldi, rendendolo sicuro, con le spalle coperte”. Voleva solo la verità Non era facile intervistare Donatella Colasanti: non voleva un’interpretazione della sua personalità, non voleva che si scavasse nella sue mente e nella sua anima. Voleva solo che venissero riportate le sue parole, precisamente, senza sbavature. Se questo non avveniva alzava il telefono e protestava. Un carattere indurito da una vita che è stata avara fino alla fine. [...]» (Maria Corbi, ”La Stampa” 5/1/2006).