Giuseppe Guarino Corriere della Sera, 06/08/2004, 6 agosto 2004
Consigli al conducente: ridurre subito (e molto) il debito pubblico, Corriere della Sera, 06/08/2004 Dal 1992 ad oggi, sia pure con intensità variata negli anni e con tecniche in parte diverse, il Tesoro si è mosso seguendo un indirizzo sostanzialmente costante
Consigli al conducente: ridurre subito (e molto) il debito pubblico, Corriere della Sera, 06/08/2004 Dal 1992 ad oggi, sia pure con intensità variata negli anni e con tecniche in parte diverse, il Tesoro si è mosso seguendo un indirizzo sostanzialmente costante. Ha mirato a garantire nell’immediato il rispetto del parametro comunitario sull’indebitamento, curandosi del debito come obiettivo complementare e meno urgente. Nel periodo di maggior impegno, dal 1994 ad oggi, cioè da quando si era raggiunto il culmine del 124,3% del Pil, la media effettiva di riduzione annua del debito, ove si scorporino gli introiti da privatizzazione, si è aggirata sul 2%. Sembra questo anche l’obiettivo per i prossimi quattro anni della manovra finanziaria del governo. Dal 1992 ad oggi sono trascorsi dodici anni. Un tempo abbastanza lungo per trarre conclusioni attendibili, valutare i risultati, ricavare indicazioni. Non si può nascondere una amara delusione. Il debito pubblico che era pari al 100,6% del Pil (Prodotto interno lordo) nel 1991 è oggi del 106,5%. Anziché diminuire, è aumentato. In effetti il ribasso del 2% non modifica il peso complessivo del debito, destinato a gravare in misura pressoché identica nell’anno successivo. del debito quindi che bisogna occuparsi. La sua gestione nei dodici anni ha comportato per pagamento di interessi un esborso annuo medio del 3% del Pil in più di quanto sopportato dai nostri più diretti competitori tra i Paesi dell’Unione. In Francia ed in Germania il debito si aggira sul 60%, nella Spagna è del 54%, nel Regno Unito del 38,4%. Il 3% del Pil a valori attuali equivale a poco più di 40 miliardi di euro. Migliorando il rapporto debito-Pil alla media annua del 2% si dovrebbero attendere almeno 20 anni per raggiungere il traguardo del 60%. Man mano che si procedesse con il ritmo del 2%, il gravame diminuirebbe, e nelle previsioni il valore medio potrebbe ragionevolmente essere dimezzato. Ma non c’è da farsi molte illusioni. Abbiamo usufruito per anni di bassi tassi internazionali, che potrebbero riprendere a salire. Anche applicando il dimezzamento e quindi in una prospettiva ottimistica, il sistema italiano soggiacerebbe nei venti anni ad un carico complessivo per il debito che nel confronto con quello dei nostri competitori supererebbe gli 850 miliardi di euro. Una ricchezza sottratta al Pil. Gettata al vento. Una comparazione con la Francia può far comprendere in quale situazione l’Italia potrebbe trovarsi nel 2025. La Francia presenta livelli di spesa ed entrate prossimi ai nostri. Nel decennio trascorso in termini percentuali del Pil la Francia ci ha distaccato di punti 9,5 negli investimenti, 17,4 nella spesa pubblica per consumi individuali, 14,0 nella spesa pubblica per consumi collettivi. La quota francese nel commercio mondiale è cresciuta rispetto al 1990 di 7,3 punti, quella italiana è diminuita di 23 punti. Il Pil francese è passato da una percentuale dell’1,28 del 1995 a quella dell’1,33 del 2002 in rapporto a quello italiano. Tra dieci anni i divari potrebbero essere doppi, forse superiori. Se si aggiunge che la struttura produttiva e finanziaria del nostro Paese è più fragile, la prognosi non può che essere allarmante. Nel sistema comunitario gli Stati membri non sono tenuti ad aiutarsi reciprocamente. Sono legittimati a trarre profitto dalle difficoltà degli altri. In venti anni le nostre residue imprese maggiori e le migliori banche potrebbero passare sotto controllo estero. Un buon medico non si ferma agli effetti, ma risale alle cause. La causa cronica che debilita l’economia italiana è il debito. Con il suo volume rende difficile lo stesso contenimento dell’indebitamento. Non si può tardare a provvedere. Con un intervento massiccio ed immediato bisogna ridurre il debito di almeno 15 punti, portandolo ad un rapporto del 90% sul Pil. Andrebbero ceduti beni mobili ed immobili per un valore complessivo di 200 miliardi di euro dallo Stato ai contribuenti, persone fisiche ed imprese, con accorgimenti che non pregiudichino la capacità di spesa e non riducano né i consumi né le entrare fiscali. Una operazione delicata, ancora possibile. Non rinviabile. Siamo prossimi ad un punto di non ritorno. La manovra, quale concepita dal governo, brucerebbe buona parte delle risorse disponibili. Anziché insistere con il metodo di sottoporre ancora per anni la collettività a salassi annuali dell’ordine di 20-30 miliardi di euro, senza che si intravedano benefici, va valutato se non sia di maggior vantaggio incidere sul debito con tecniche che non comportino oneri né per i cittadini, né per le imprese, dovendo rimanere invariata la capacità di spesa. La collettività non affronterebbe sacrifici. La riduzione del debito al 90% accelererebbe all’opposto il ritmo discendente per gli anni successivi e costituirebbe un segnale forte. Il buon senso dovrebbe indurre quanto meno a verificare se l’ipotesi prospettata sia fattibile. Ma non sarà così. Quando tutti gridano e corrono in una certa direzione, chi cerca di fermarli rimane inascoltato. Rischia di essere travolto. Una operazione di massiccia riduzione del debito è attuabile, rispettando tempi necessariamente ristretti, solo se largamente condivisa e avvalendosi della cooperazione di tutti, maggioranza ed opposizione, imprese, sindacati. Sarebbe vano fare affidamento sulla forza delle sole maggioranze parlamentari. Se si rinunciasse all’obiettivo, non se ne trarrebbero vantaggi, nemmeno sul piano politico. Ogni mese od anno che passa, il deterioramento diviene più visibile. Alle elezioni chiunque si trovasse al governo, dovrebbe essere pronto ad essere scrutinato dagli elettori in modo molto severo. Giuseppe Guarino