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 2006  gennaio 04 Mercoledì calendario

COLOMBO

COLOMBO Lanfranco Milano 1924 • «Diciamolo subito. Questo Paese deve essere grato a Lanfranco Colombo perché Lanfranco Colombo in Italia è la fotografia. Quando nel ’67 nel cuore di Milano, al numero dieci di via Brera si inaugura una delle prime gallerie al mondo dedicata esclusivamente alla fotografia, una ventata di aria fresca spazza via tutte le convinzioni sull’idea dell’immagine. Non c’era identità culturale e politica, solo una gran confusione. Il ’68 avrebbe fatto il resto. Nasce così, con questi fremiti rivoluzionari, in una dolce sera d’aprile, ”Il Diaframma”, un’utopia che trova la forma concreta di una sala circolare con una sinuosa scala a chiocciola e una specie di cantina con i mattoni a vista. Lì, cominciano a dialogare, quasi fossero dei carbonari, un mondo di fotografi, scrittori, grafici, intellettuali che si ritrovano insieme, tutti uniti da un ideale culturale ed etico: scardinare le regole del gioco e considerare la fotografia come una vera forma d’arte. Al di là del mercato. Senza sovrastrutture culturali e pregiudizi, oltre le stigmate dell’endemica rivalità degli autori. [...] La sua straordinaria collezione è stata divisa in dodici donazioni. Resta però nitido il giudizio storico di quell’avventura. [...] Ne ha viste di tutti i colori, dalla lotta partigiana alle esperienze di manager per un’impresa siderurgica. passato per il giornalismo per approdare infine alla fotografia, sincera avventura della vita. [...] Una cosa è certa: Lanfranco Colombo non è attaccato al denaro. Nella sua vita ha regalato tutto. La generosità è il suo modo d’essere: ”Ho sempre speso. Ho sempre dato. Senza aspettarmi niente”. Detto, fatto. Colombo aveva un’imponente collezione di fotografie. Ha regalato tutto a fondazioni, musei, istituzioni in tutta Italia. Tra queste, la Regione Lombardia: 36 mila foto e 8500 libri che sono serviti a dare il via al museo della fotografia di Cinisello Balsamo. [...] Philippe Daverio scrive che ”Colombo usa il garbo come arma, le sue inclinazioni alle relazioni personali come servizio di intelligence”. Un ritratto fulminante. [...] ”Il mercato della fotografia? qualcosa di ridicolo. Con storie anche divertenti: il mio amico fotografo Eliott Erwitt un giorno mi dice: ’Lanfranco, mi ridaresti le foto vintage che ti ho regalato? Te ne do altre, stampate adesso. Con quelle riesco a mantenere le mie donne’. Tutti cercano di avere l’idea feticistica dell’oggetto unico. Ma è la negazione della fotografia. Io sono contento quando un’immagine raggiunge tutti, quando viene stampata in milioni di copie, se tocca le coscienze o l’emotività di più persone possibili. Allora si rende omaggio davvero all’invenzione della fotografia [...] Sono sempre stato innamorato di Diane Arbus. La sua visione è una metafora, un simbolo del Novecento. I giornali di oggi trattano il dolore come spettacolarizzazione. C’è una pornografia del dolore, si fanno vedere pezzi di carne squarciati dalle bombe, corpi sofferenti ostentati agli occhi dei lettori voyeur. E non c’è il coraggio, invece, di raccontare con profondità il dramma del piccolo dolore quotidiano, di una umanità che vive normalmente, che deve fare i conti con l’emarginazione se non sei bello e ricco. Dov’è il ruolo etico dell’informazione?” [...]» (Gianluigi Colin, ”Corriere della Sera” 31/12/2005).