[1] Giampaolo Visetti, ཿla Repubblica 6/7/2004; [2] Angelo Benessia, ཿLa Stampa 11/7/2004; [3] Fulvio Scaglione, ཿAvvenire 7/7/2004; [4] Anna Zafesova, ཿLa Stampa 23/7/2004; [5] Alberto Stabile, ཿla Repubblica 5/7/2003; [6] Fabrizio Dragosei, ཿCorrie, 6 luglio 2004
Riformare la Russia non è un pranzo di gala. Il caso Yukos. «Il più grande stupro societario della storia russa»: così Viktor Gherashenko, ex governatore della Banca centrale e ora presidente del Cda di Yukos [1], ha descritto quel che sta succedendo alla seconda compagnia petrolifera del Paese, ormai sull’orlo della bancarotta
Riformare la Russia non è un pranzo di gala. Il caso Yukos. «Il più grande stupro societario della storia russa»: così Viktor Gherashenko, ex governatore della Banca centrale e ora presidente del Cda di Yukos [1], ha descritto quel che sta succedendo alla seconda compagnia petrolifera del Paese, ormai sull’orlo della bancarotta. [2] La Yukos è la quarta compagnia petrolifera del mondo (pompa più petrolio del Kuwait). Una dote accertata di 20 miliardi di barili, 110 mila dipendenti, era arrivata a capitalizzare 40 miliardi di dollari [3]. Adesso lo Stato pretende l’immediato pagamento di un debito pari a 99,3 miliardi di rubli (3,4 miliardi di dollari). Cosa impossibile, visto che i conti e gli attivi della società sono sotto sequestro. [4] Come tutti i drammi russi, anche questo è gigantesco e venato di grottesco. Fulvio Scaglione: «Yukos tutti vogliono distruggerla ma nessuno vuol vederla fallire. Almeno così dicono gli alti burocrati del Cremlino». [3] Non potrebbe essere altrimenti: con la scomparsa della compagnia lo Stato perderebbe 500 milioni di dollari al mese tra tasse e imposte. [4] Fino a meno di un anno fa Yukos era comandata da Mikhail Khodorkovskij (classe ’63), l’uomo più ricco del Paese. Stabile: «Nato in una famiglia moscovita di ingegneri votati all’industria di Stato, cresciuto sotto gli stendardi della Gioventù comunista di cui è stato dirigente, ha mosso i primi passi nel mondo del business privato ai tempi della perestrojka, riuscendo a trasformare le piccole strutture economiche pubbliche di cui aveva il controllo in strumenti al servizio della sua personale inventiva». [5] Nel 1995 Khodorkovskij pagò Yukos 350 milioni di dollari. Una cifra ridicola, visto che valeva almeno 20 miliardi. In cambio, Eltsin ricevette i soldi che nel ’96 gli avrebbero garantito la rielezione. [6] Stabile: «Secondo il giudizio prevalente, a perdere Khodorsvskij non è stato tanto il disegno di creare il maggior gruppo energetico del paese [...] quanto le sue dichiarate intenzioni di avere un ruolo in politica, rompendo così il compromesso che Putin aveva offerto agli oligarchi, e questi avevano accettato, all’inizio del suo mandato. Compromesso che si può riassumere nella formula: ”siete liberi di fare i vostri affari ma tenetevi lontano dalla politica” o, più realisticamente, da una politica contraria agli interessi del Cremlino. Khodorkovskij ha invece apertamente ammesso di finanziare la campagna elettorale della destra liberale e della sinistra comunista, nel chiaro tentativo di rafforzare le opposizioni». [5] La sua corsa è finita il 25 ottobre, quando è stato arrestato all’aeroporto di Novosibirsk per truffa e evasione fiscale. [7] L’offensiva contro la Yukos è presentata come una battaglia nella guerra alla corruzione. [8] Franco Venturini: «Sulla carta, un episodio analogo potrebbe verificarsi in molti altri Paesi. Ma come dimenticare che se lo stesso trattamento fosse riservato a tutti gli ”oligarchi” beneficiati dalle privatizzazioni facili degli anni Novanta le carceri russe si rivelerebbero troppo strette?». [9] L’Ocse accusa Mosca di aver utilizzato «un’applicazione della legge altamente selettiva». [10] Per l’Oecd, «le corti sono spesso asservite dall’esecutivo, mentre i servizi di sicurezza, i pubblici ministeri e la polizia restano altamente politicizzati». [2] Qualcuno propone un parallelo ricordando quando Stalin prese il potere. Francesco Bigazzi: «E teme che gli oligarchi russi possano fare la fine dei ”nepman”, i nuovi ricchi che avevano approfittato con straordinario tempismo della Nep, la Nuova politica economica voluta da Lenin. Passata l’emergenza, vinta la fame che aveva devastato il primo stato dei soviet, Stalin, succeduto a Lenin, diede loro il benservito facendo scomparire la nuova classe imprenditoriale nei gulag siberiani». [11] Putin ridistribuisce le carte dell’economia russa. Scaglione: «Puniti i sospetti e i ribelli, che perdono le aziende e qualche volta la libertà; premiati i fedeli, che incamerano le spoglie degli sconfitti e relative quote di mercato; rafforzato il potere del Cremlino. una tattica che Putin padroneggia grazie al periodo trascorso a San Pietroburgo come vice del sindaco Anatolyj Sobciak, addetto in particolare ai rapporti economici della seconda città della Russia». una tattica pericolosa: l’idea che le relazioni industriali siano esposte all’arbitrio dello Stato spinge i russi a portare i loro soldi nelle piazze off shore sparse per il mondo, e frena le intenzioni di coloro che, dagli Usa o dall’Europa, vorrebbero investire in Russia: nei primi sei mesi del 2004 sono stati ritirati capitali privati per oltre 5 miliardi di dollari. [3] Putin vuol fare di Yukos uno ”spezzatino”. Fiona Maharg-Bravo: «Perché ha deciso di battere questa strada? Se l’obiettivo era strappare il controllo di Yukos all’azionista di maggioranza, l’oligarca Mikhail Khodorkovskij, la manovra è assai maldestra. Il Cremlino avrebbe potuto semplicemente accettare l’offerta di compensazione fra le tasse arretrate e il pacchetto azionario di Khodorkovskij. Ma il presidente russo è già rimasto scottato per aver stretto patti analoghi con altri oligarchi, come Vladimir Gusinskij o Boris Berezovskij». [12] Yuganskneftegaz, il cuore dell’impero Yukos, è in vendita: 30 miliardi di dollari di riserve di greggio in Siberia (produce più petrolio della Libia). Secondo le stime, vale tra 16 e 21 miliardi di dollari, ma il governo ne chiede 1,75. Zafesova: «La scommessa ora è indovinare il futuro fortunato proprietario della Yuganskneftegaz, che pagandola un decimo del suo valore diventerà automaticamente il più grosso produttore di petrolio russo. Tra i candidati, il supermonopolio statale Gazprom, la Rosneft, sempre statale, e la Surgutneftegaz, privata ma con ottimi agganci al Cremlino. Nei primi due casi si dovrebbe parlare di nazionalizzazione, nel terzo di un affare che riporta alla memoria le peggiori macchinazioni del potere russo degli anni ’90». [4] Maharg-Bravo: «Putin è sulla strada giusta per ottenere ciò che vuole, un’economia che dipenda interamente dallo Stato. Ma sarà dura centrare l’altro traguardo, il raddoppio del Pil entro il 2010. Per fare questo, occorrono investitori». [12] Nell’indice di stabilità di Deutsche Bank ed Eurasia Group, la Russia è stata appena declassata al livello delle Filippine per l’aumento dei rischi politici. [4] I giornali russi vicini agli oligarchi gridano al «colpo di stato». Lo stesso fa molta stampa occidentale. Enzo Bettiza: «Si tratta secondo me, che della Russia ho qualche esperienza, di esagerazioni moralistiche. Dopo secoli di retrograda autocrazia zarista, 70 anni e passa di atroci angherie comuniste, i fallimenti della velleitaria ”perestrojka” gorbacioviana, 13 d’infinita e corrotta transizione dall’anarchia truffaldina della pianificazione al caos selvaggio del mercato, dopo un simile lunghissimo e spesso sterile calvario storico dobbiamo spazientirci chiedendo alla società russa di assumere un volto ordinato e nitido come quello delle vicine democrazie scandinave?». [13] Abbiamo a che fare con un paese immenso. Bettiza: «A cavallo tra Europa e Asia, eroso ai confini dal fondamentalismo islamico, in difficile transizione verso forme di una democrazia centralizzata che difficilmente potrà assumere la pienezza liberale di tipo occidentale. Per intanto dobbiamo comprendere che quello che accade non è l’inizio di una crisi tra la casta degli oligarchi, potentissima ai tempi di Boris Eltsin, e il nuovo establishment presidenziale di Putin. Il momento critico del duello è stato superato da un pezzo con la cacciata in esilio dei due maggiori capifila dell’oligarchia classica, il banchiere Boris Berezhovskij e il miliardario multimediale Vladimir Gusinskij, che un tempo facevano e disfacevano a loro piacimento [...]. Quella fu la vera svolta». [13] La questione vera potrebbe essere un’altra. Scaglione: «Il Cremlino non poteva lasciare a Khodorkovskij il controllo del petrolio, la risorsa più preziosa della Russia. Con i proventi del greggio, esaltati da una congiuntura internazionale (forte domanda da Cina e India, problemi politici in Nigeria e Venezuela, terrorismo in Arabia Saudita e Iraq) che ha portato il prezzo del barile ai 40 dollari, Putin paga pensioni e salari, finanzia la riforma dell’Armata Rossa, sorregge la trasformazione industriale. Forte di tanto denaro fresco, è anche più libero all’estero». [3] Putin fronteggia la crisi più grave da quando ha preso il potere. Frank Brown: «Può non essere democratico. Ma è difficile negare che è un riformatore, determinato a ricostruire la Russia come una moderna economia di libero mercato. E proprio ora il Cremlino si sta imbarcando nella sua riforma più impopolare, lo smantellamento dei benefici sociali dell’Era sovietica che la maggior parte dei 145 milioni di cittadini russi considera garantiti. Pensionati e veterani di guerra non avranno più diritto a medicine e assistenza sanitaria gratis, gli studenti perderanno il diritto di viaggiare gratis su treni e metropolitane». La manovra ha fatto precipitare il consenso di Putin dal 70 per cento di marzo all’attuale 49. [14] I benefits sociali costano alla Russia il 21 per cento del pil: una percentuale insostenibile. Vendere Yuganskneftegaz a Gazprom significherebbe mettere le mani su ulteriori profitti del petrolio e tappare un bel po’ di buchi. Brown: «Giocando duro, Putin manda un messaggio inequivocabile: in passato la Yukos si oppose all’idea del Cremlino di tassare più pesantemente l’industria del petrolio per finanziare i programmi sociali; adesso ne paga le conseguenze. Non ci sono dubbi che i giganti dell’economia russa afferreranno il messaggio» [14].