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 2005  dicembre 27 Martedì calendario

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/2. I segreti sepolti con il Titanic bancario. Il Sole 24 Ore 27/12/2005

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/2. I segreti sepolti con il Titanic bancario. Il Sole 24 Ore 27/12/2005. il 5 maggio del 1996, una domenica. Una data infausta per il Crédit Lyonnais. Quel giorno la sede di Boulevard des Italiens viene completamente distrutta da un incendio di natura dolosa. Il rogo è da considerare come l’atto finale di quello che è stato lo scandalo bancario più importante dello scorso secolo, accaduto agli inizi degli anni 90 e conseguenza di una gestione a dir poco spregiudicata, di controlli inesistenti, di ingerenze politiche e quindi di pressioni, che hanno pochi paragoni in Francia. Nell’incendio, che dura oltre dieci ore, non finiscono in fumo solo gli uffici della banca, ma anche l’archivio e quindi una parte della storia e dei tanti segreti della banca. Già, perché la banca del "leone" di segreti nella sua storia più che centenaria - è stata fondata nel 1863 - ne ha nascosti tanti e ne nascondeva ancora molti, essendo stata una sorta di regina della "finanza allegra" nei primi anni 90. Un’epoca che a posteriori possiamo definire quanto meno scellerata, in cui sono stati buttati al vento dalla banca centinaia di miliardi di franchi in investimenti arrischiati, tali da produrre un crack stimato oggi tra i 15 e i 20 miliardi di euro. Una voragine ricaduta sulle spalle del contribuente francese e che ha fatto del Lyonnais il più grosso scandalo bancario internazionale dell’epoca moderna. Una vicenda che ha avuto varie diramazioni contemporaneamente e che, a distanza di oltre dieci anni, non è ancora legalmente conclusa, nonostante il Lyonnais sia stato privatizzato nel ’99 e sia successivamente passato (nel 2003) sotto il controllo del Crédit Agricole. Gli ingredienti che hanno portato, attorno al 1994, il Lyonnais a una situazione di senza ritorno, sono quelli classici: la connivenza tra potere politico e potere finanziario-imprenditoriale, oltre a un presidente, Jean-Yves Haberer, non solo ambizioso, ma soprattutto afflitto da megalomania. Basti pensare che la sua potente automobile era targata con le sigle del suo nome. Il Lyonnais ha corso per alcuni anni incontrollato su una specie di ottovolante, in cui i finanziamenti alla clientela e gli investimenti subivano delle accelerazioni improvvise e per sempre maggiori importi. Una banca dove erano saltati tutti controlli (interni, ma anche istituzionali), dove i ratio internazionali erano volutamente artefatti per dissimulare la situazione di pericolo e infine dove il rischio era all’ordine del giorno. Del resto il sogno di Haberer era di creare una grande banca europea e internazionale, su modello di quelle tedesche, al servizio dell’industria. Mentre il motto del Lyonnais era diventato "Il potere di dire sì". Come a dire che la banca era affetta da una sorta di delirio di grandeur che l’aveva spinta a entrare in un vortice di liaisons dangereuses. Il bello è che tutto questo è avvenuto per così dire alla luce del sole: con l’avallo del Tesoro - alla sua direzione c’era un certo Jean-Claude Trichet, diventato successivamente Governatore della Banca di Francia e poi presidente della Banca centrale europea - vale a dire del principale azionista della banca, allora a capitale a maggioranza pubblico e del ministro delle Finanze, Pierre Bérégovoy, che considerava il Lyonnais come il braccio armato del Paese per sostenere le sue imprese. Lo stesso Bérégovoy morirà suicida il 1° maggio 1993. Haberer, un ispettore delle finanze di 61 anni, passato da importanti incarichi ai ministeri dell’Economia, degli Esteri e della Difesa, oltre che dal Tesoro, è il regista del disastro. lui che prende in mano il Lyonnais agli inizi degli anni 90 con la missione di aiutare gli imprenditori francesi a svilupparsi. lui che ordina ai suoi di investire. Il settore, il tipo d’impresa e la salute finanziaria della preda non contano. L’importante è investire. Di questa politica espansionista della banca hanno goduto patron affermati come François Pinault (oggi a capo di Gucci), come Bernard Arnault (Lvmh), come Vincent Bolloré (uno dei principali soci di Mediobanca). Ma anche "figure chiacchierate" come Giancarlo Parretti, Florio Fiorini, Robert Maxwell o Bernard Tapie. Nel breve arco di qualche mese, il Lyonnais ha aiutato o è entrato nel capitale di gruppi come Aérospatiale, Usinor, La Cinq, Cerus, Hachette, Edf e Tf1. Ma si è anche fortemente impegnato nel settore immobiliare. Basti pensare che tra il marzo ’94 e il settembre dello stesso anno, il rischio immobiliare del Lyonnais è passato da 14,4 a 20-24 miliardi di franchi. Il tutto mentre la bolla speculativa sul mattone stava per scoppiare e per produrre guasti irreparabili. Il castello di carte vacilla e nel ’94 il fallimento è alle porte. La banca è schiacciata da un deficit ufficiale di oltre 1,8 miliardi di franchi, ma che in realtà è più che doppio. Oltre al fatto che a fronte di questo e dei rischi accumulati non sono state accantonate riserve sufficienti: si parla allora di un minimo di 3 miliardi di franchi per l’anno ’91 e di 3,75 miliardi per quello successivo. La situazione è disperata, tanto che allo Stato non resta che iniettare nella banca tra i 6 e gli 8 miliardi di franchi per tamponare la situazione. Ma come si è arrivati a tanto? Com’è stato possibile distruggere in così poco tempo una banca solida, dalle grandi tradizioni? Ricostruire la ragnatela dei finanziamenti non è stato facile (sono state 60 le inchieste istruite). Si sa solo che il Lyonnais ha agito attraverso delle filiali specializzate, tra cui una delle principali con sede in Olanda. Ed è proprio tramite questa che la banca di Boulevard des Italiens si è invaghita di personaggi come Giancarlo Parretti, il re di Hollywood e degli studios Mgm, ma anche di Florio Fiorini e della sua holding svizzera Sasea. Ebbene, il finanziere di Orvieto, Parretti, che per anni ha avuto un ufficio nella sede del Ps francese in Rue de Solferino e il suo socio in affari, Fiorini, hanno lasciato in eredità al Lyonnais un buco di oltre 10 miliardi di franchi. Ma il paradosso di questo meccanismo diabolico è che a essere "miracolati" erano tutti quelli che entravano in affari con il Lyonnais. Nel senso che, grazie a una serie di montaggi finanziari e all’aiuto di società di comodo, si potevano concludere delle operazioni con i soldi della banca francese diventandone in qualche sorta anche creditori. Se il finanziamento alle imprese e l’espansione nell’immobiliare è stato il primo scellerato filone di sviluppo della banca, il secondo è stato quello, altamente speculativo, dei junk bonds. Si tratta della vicenda che oggi è conosciuta sotto il nome di Executive Life e che ha avuto come scenario la California e attori come il Lyonnais, ma soprattutto l’imprenditore François Pinault. Ancora una volta è la spregiudicatezza a spingere la banca parigina, tramite la Maaf, nel novembre del 1991 ad acquisire il portafoglio di Executive Life, società in fallimento. E Pinault nel ’95 a prenderne il controllo (non dopo aver acquisito nel ’93 una parte del portafoglio obbligazionario in mano al Lyonnais), ribattezzando la compagnia Aurora. Un’operazione che non solo ha infranto le ferree regole della California sul controllo delle società bancario-assicurative, ma che è costata ai contribuenti francesi qualche centinaio di milioni di dollari di multa. Il tutto mentre la causa giudiziaria è ancora in corso per quanto riguarda la posizione di François Pinault, condannato a versare circa 190 milioni di dollari di indennizzo agli ex azionisti di Executive Life e che ha chiesto recentemente uno sconto a 137,54 milioni. Il capitolo Crédit Lyonnais non è ancora completamente chiuso. E questo nonostante la banca sia stata brillantemente risanata da parte del presidente Jean Peyrélévade, sia stata privatizzata e una parte degli asset ceduti su obbligo della Commissione europea per controbilanciare gli aiuti di Stato ricevuti per far fronte alla crisi e sia ora sotto il controllo del Crédit Agricole. Al di là infatti degli ultimi asset del Lyonnais ancora da vendere e trasferiti nel 1994 al Cdr (Consorzio di realizzazione), una bad bank che si è accollata il portafoglio della banca e al di là della vicenda Executive Life ancora aperta negli Usa, resta da chiedersi come personaggi di spicco come l’attuale presidente della Bce, Jean-Claude Trichet (all’epoca dei fatti direttore del Tesoro) o l’ex Governatore della Banca di Francia, Jacques de Larosière, non siano intervenuti per fermare il Lyonnais. Durante il processo svoltosi nel 2003, che di fatto ha scagionato i potenti a capo delle principali istituzioni dello Stato e che ha invece condannato i manager operativi - compreso il presidente - è emerso che controllare la banca parigina era di fatto impossibile. I conti ufficiali che venivano presentati erano infatti abilmente artefatti, oltre che convalidati dalle società di revisione e dai sindaci. Tutto questo grazie a Jean-Yves Haberer e a un manipolo di suoi fedelissimi che gestivano ogni operazione in proprio, senza badare ai rischi e senza coprirsi le spalle con sufficienti accantonamenti alle apposite riserve. Come si diceva, a pagare il conto (salatissimo) di questo che è stato definito un "Titanic" bancario, non sono stati né i manager, né i politici, né i commis di Stato. Basti pensare che Trichet, completamente scagionato pur se indirettamente responsabile in qualità di direttore del Tesoro, siede oggi a Francoforte a capo della Bce. A pagare, e profumatamente, sono stati i risparmiatori, i contribuenti e la banca stessa, dimagrita rispetto agli anni d’oro e con un’immagine da ricostruire. L’Agricole ha fatto un ottimo lavoro: la banca di Boulevard des Italiens non è più il Lyonnais di un tempo. Si chiama semplicemente Lcl. Anche se nel suo cuore ruggisce sempre il leone grintoso di un tempo. Michele Calcaterra