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 2005  dicembre 30 Venerdì calendario

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/3. Banca degli intrighi globali. Il Sole 24 Ore 30/12/2005

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/3. Banca degli intrighi globali. Il Sole 24 Ore 30/12/2005. Chi volesse confortarsi dalle tristi vicende bancarie di casa nostra cercando tragici precedenti in giro per il mondo, non ha che da ricordare una data: 5 luglio 1991. Quel giorno, la Banca d’Inghilterra pose i sigilli alle attività britanniche della Bank of Credit and Commerce International, più nota come Bcci. La mossa segnò la fine, dopo 19 anni, di una banca globale ante-litteram, presente in 73 Paesi con 400 sedi e una clientela assai particolare. Una banca davvero d’eccezione, considerando che fu il massimo crocevia planetario tra finanza, crimine e politica. Il Wall Street Journal definì la vicenda &la più grande rapina della storia". La Bcci svanì in un buco di 17 miliardi di dollari (23 miliardi ai valori di oggi) - ridotti a 10 miliardi al netto delle partite infra gruppo -; costò il posto di lavoro a 16mila persone; colpì un milione di clienti, riducendo sul lastrico 120mila depositanti in Gran Bretagna, in massima parte musulmani di origine asiatica, che persero circa 5 miliardi di dollari. Dalle inchieste in Gran Bretagna e Stati Uniti emersero legami sorprendenti, a conferma che il danaro è l’unica forza, nella commedia umana, capace di conciliare le contraddizioni più insanabili. La banca crebbe infatti senza controlli, ed era forse fallita già dal 1977, quando operava in una quarantina di Paesi. Sfuggì continuamente, malgrado godesse di pessima reputazione, a una seria inchiesta fino al 1990. Una banca sommersa in acque torbide, con una struttura ramificata a piovra sotto diverse holding in diversi Paesi, con una proprietà mai del tutto chiarita, anche se, alla fine della vicenda, in gran parte controllata da capitali di Abu Dhabi. Una banca con una clientela che vantava, tra gli altri, il dittatore panamense Manuel Noriega e il colonnello americano Oliver North dell’intrigo Iran-Contra, ma anche, sul versante opposto, il terrorista Abu Nidal. Un crocevia di affari sporchi utilizzato dalla Cia dai tempi in cui il capo era George Bush padre, su cui si inserivano il Mossad israeliano, i servizi pakistani e, forse, britannici. Un mostro finanziario autoreferenziale dove l’unico capace di tenere il bandolo della matassa era il fondatore, Agha Hasan Abedi. Il quale, ironia della sorte, uscì di scena un anno prima del crack, ritirandosi nel natio Pakistan dopo un infarto che lo costrinse all’inattività fino alla morte, a Karachi, il 5 agosto 1995. Abedi era un finanziere fatto e finito. Formatosi alla Habib Bank prima ancora dell’indipendenza del Pakistan, si rivelò un pioniere, applicando tecniche bancarie moderne quando fondò, nel 1959, la United Bank of Pakistan (Ubp). La banca crebbe vigorosamente, diventando il secondo istituto del Paese. Nel 1971, il giovane Governo di Alì Bhutto diede un fiero colpo alla Ubp, nazionalizzandola. Abedi apprese la lezione, fondando l’anno successivo una nuova banca internazionale, tale da non dover rispondere più ad alcun Governo. Braccio destro di Abedi, dal debutto dell’avventura, celebrato al Phoenicia Hotel di Beirut, fu Swaleh Naqvi, l’uomo che alla fine pagò più di tutti, con una condanna a 11 anni di carcere negli Usa. La struttura manageriale della banca era peraltro singolare: al picco d’espansione, negli anni 80, sotto la diarchia di Abedi e Naqvi c’erano 250 dirigenti di uguale livello, con minimi contatti tra loro. Altro tratto distintivo: il personale era all’80% pakistano. Negli anni d’oro, la banca, che finanziava enti caritatevoli islamici, era venerata dalla comunità musulmana, che con essa si identificava e a essa affidava i sudati risparmi. All’atto di nascita di Bcci, Abedi ottenne l’appoggio di capitali sauditi e delle grandi famiglie degli Emirati (principalmente Abu Dhabi, dove regnava lo sceicco Zayed bin al Nahayan), oltre a una sostanziosa partecipazione della Bank of America. L’investimento americano, unito a persistenti voci secondo cui la Cia avrebbe avuto nell’istituto forti interessi, alimentò la teoria secondo cui la Bcci sarebbe nata con la missione di finanziare la guerra al comunismo usando l’integralismo islamico, salvo poi colpire quest’ultimo quando diventava ingombrante, come prova la collusione con il traffico d’armi verso l’Irak di Saddam Hussein per sostenere la guerra contro l’Iran khomeinista. Ma la Bcci apparve ovunque, dal coinvolgimento nello scandalo Iran-contra con Oliver North e il finanziere saudita Adnan Kashoggi allo stretto legame con il narcotraffico di Noriega finché fu comodo agli Usa, ai fondi neri creati dal traffico di droga in Afghanistan per finanziare i mujaheddin (il cognato di Osama bin Laden, Khalid bin Mahfouz, pare avesse una quota rilevante nella Bcci). E reticenze e coperture politiche permisero alla Bcci di prosperare fino al ritiro russo dall’Afghanistan (1989) e all’inizio del crollo dell’impero sovietico. Le omertà e i legami con la Cia emergono dagli atti dell’inchiesta di un sottocomitato del Congresso Usa guidato da John Kerry, futuro rivale alle presidenziali di George Bush figlio. Secondo gli atti, "dal 1985 la Cia sapeva più del Governo gli obiettivi e le intenzioni della Bcci... sapeva che la banca era un istituto corrotto e criminale e continuò a usarla, come pure la First American, sussidiaria segretamente controllata da Bcci, per le proprie operazioni". Dopodiché, a partire dal 1990, fu come se una gigantesca mano staccasse la spina, decretando la fine di quello che Chaim Kupferberg definì "il sistema cardiovascolare della criminalità globale". Della Bcci degli esordi non si sa molto, se non che aveva una gran fretta di crescere internazionalmente. Nel 1975 contava già 146 tra filiali e uffici di rappresentanza in 32 Paesi. Nel 1976 ci fu il primo passo importante: l’acquisto della ginevrina Banque de Commerce et Placements affidata all’uomo chiave Alfred Hartmann, che aveva legami con il Mossad oltre che con la Rothschild Bank Ag di Zurigo e la Nm Rothschild di Londra, nel cui consiglio sedeva. Hartmann salì le gerarchie fino a divenire presidente di Bcci Holdings, una delle finanziarie più importanti del gruppo. Le prime preoccupazioni delle autorità sulle attività di Bcci sono espresse dalla Fed americana nel 1978, dopo che la banca aveva avviato una strategia di presa di controllo strisciante di alcuni istituti Usa, tra cui la First American, avvalendosi dell’appoggio di personaggi come Bert Lance, consigliere del presidente Jimmy Carter, e dell’ex segretario alla Difesa Usa Clark Clifford. Nonostante le preoccupazioni condivise dalle autorità di vigilanza di vari Paesi, la Bank of England dà luce verde per l’apertura di una sede al dettaglio nel Regno Unito alla controllata della lussemburghese Bcci Sa nel 1980, anno in cui Bank of America riduce fortemente la propria partecipazione. All’apice, il ramo britannico di Bcci conterà oltre 50 sportelli, mirati alla clientela asiatica-musulmana. Nel 1985 suona il primo campanello d’allarme, con un rapporto della Cia da cui emerge che First American fa capo a Bcci, ma non viene presa alcuna misura. Due anni dopo le autorità lussemburghesi, a cui riferiva la stessa entità legale della Gran Bretagna, dubitano dell’adeguatezza di supervisione della banca. Le autorità ottengono che Price Waterhouse divenga l’unica società di certificazione. Nel 1988, a Tampa, in Florida, l’arresto di sette dipendenti Bcci con l’accusa di traffico di droga e riciclaggio non porta a un’azione più ampia, anche perché l’inchiesta non ottiene l’appoggio dei dipartimenti delle Dogane, della Giustizia e del Tesoro Usa che continuano a tenere la testa voltata. Il dipartimento della Giustizia non avviò alcuna azione contro la Bcci fino al 1991, quando la Fed e il procuratore di New York, Robert Morghentau, aprirono la propria inchiesta. Le colpe più manifeste furono però della Banca d’Inghilterra, come venne rilevato da un rapporto indipendente del giudice Bingham nel 1992. Nel 1990, infatti, Price Waterhouse rifiuta di firmare i conti della Bcci inglese dopo avere scoperto centinaia di milioni di dollari di perdite e avverte Bank of England. Si giunge a un compromesso: lo sceicco Zayed si fa carico delle perdite, portando la partecipazione di Abu Dhabi nel capitale del gruppo al 78 per cento. Allo stesso tempo la Banca centrale britannica accetta che Bcci si ristrutturi spostando il centro legale e amministrativo ad Abu Dhabi, dove confluiranno numerosi atti contabili che resteranno per sempre al di fuori delle inchieste internazionali. La Banca d’Inghilterra, almeno per l’ultimo anno (e secondo molti sapeva da lungo tempo addietro), tenne dunque all’oscuro i depositanti della gravità della situazione. Prima di decidere la chiusura di Bcci nel luglio 1991, peraltro, la Banca centrale dovette appaltare a Price Waterhouse una nuova inchiesta in marzo (con il codice " tempesta di sabbia") per scarsità di forze nella vigilanza. Il comportamento negligente della Banca d’Inghilterra le costò nel 1993 una causa dei liquidatori della società Deloitte per conto dei clienti che si è conclusa con un’assoluzione dell’istituto centrale il 2 novembre scorso, ultimo atto di una saga durata 14 anni. I giudici non hanno rilevato comportamenti "criminali" negli ex-governatori e funzionari della Banca centrale. Questa, si noti, non poteva essere perseguita per "negligenza". La punizione di Bank of England giunse dal Governo Blair nel 1997, quando le sottrasse la vigilanza a profitto del nuovo organo regolamentare, la Fsa. Deloitte riuscì dopo anni di battaglie a recuperare alla clientela circa l’80% del maltolto. Abedi non pagò dazio. Numerosi personaggi coinvolti nelle attività criminali di Bcci se la cavarono, anche se videro i loro nomi accostati a vicende poco edificanti. Alcune lezioni da parte delle autorità vennero tratte sui requisiti patrimoniali bancari e su un maggiore coordinamento delle autorità di sorveglianza. Anche se il crack della Barings del 1994 confermò la totale inadeguatezza di Bank of England. Marco Niada