Il Messaggero 02/01/2006, pag.16 Roberto Gervaso, 2 gennaio 2006
”Il grande spettacolo del West”. Il Messaggero 02/01/2006. vero che Buffalo Bill, dopo aver fatto tanto parlare di sé scotennando indiani e battendosi, durante la guerra di secessione americana, contro i sudisti, e dopo tante altre imprese, si scoprì attore e, in questa veste, ebbe grande successo e guadagnò un mucchio di dollari? Giuseppina Licata - Palermo Sì
”Il grande spettacolo del West”. Il Messaggero 02/01/2006. vero che Buffalo Bill, dopo aver fatto tanto parlare di sé scotennando indiani e battendosi, durante la guerra di secessione americana, contro i sudisti, e dopo tante altre imprese, si scoprì attore e, in questa veste, ebbe grande successo e guadagnò un mucchio di dollari? Giuseppina Licata - Palermo Sì. Il suo debutto avvenne il 13 maggio 1883 (aveva trentasette anni) a Omaha, nel Nebraska. Alla prima del "Grande spettacolo del West" assistettero i critici dei più importanti giornali americani. La rappresentazione ebbe un enorme successo, anche se gli attori avevano recitato da cani. Il colonnello Cody, il vero nome di Buffalo Bill, decise di riproporre lo show nella stagione successiva, e anche stavolta fu un trionfo. Grazie ai cento indiani e al loro capo "Toro Seduto" che l’ex pony dell’Iowa aveva scritturato insieme con alcuni orsi e un branco di alci. Un impresario inglese invitò Bill a Londra, dove gli vennero tributate accoglienze degne di un sovrano. Il sindaco lo invitò a pranzo e Oscar Wilde volle conoscerlo. Il principe di Galles e la Regina Vittoria, dopo lo spettacolo, si complimentarono con lui. La compagnia tornò in America e, l’anno dopo, rieccola in Europa. Prima a Parigi, poi a Roma, dove il colonnello Cody fu ricevuto dal Papa Leone XIII. Nell’Urbe il "Grande spettacolo" fu l’avvenimento dell’anno. Vi assistettero anche molti butteri, i domatori di cavalli dell’Agro romano, richiamati dalla sfida che Bill e i suoi cow-boy gli avevano lanciato. La gara si svolse al cospetto dei quiriti nella zona dei Prati di Castello, vicino alla città del Vaticano, dove la compagnia s’era acquartierata. Bill fece condurre in pista un focoso puledro e annunciò che i suoi cow-boy lo avrebbero domato in cinque minuti. Ma, montati in sella, furono disarcionati tra i lazzi e gli sberleffi del pubblico. Fu poi la volta del buttero Ferrazza, che non ebbe miglior fortuna. Scese allora in pista il celebre domatore Augusto Imperiali che si avventò sul puledro, lo afferrò per la criniera e con un’acrobatica piroetta gli montò in groppa. Il pubblico applaudì fragorosamente e Buffalo Bill sturò in onore del rivale una bottiglia di champagne. La compagnia si esibì anche a Firenze, a Bologna, a Milano, dove il colonnello Cody a cavallo sfidò il corridore Romolo Bruni in bicicletta, in una "tre giorni" che si svolse al motovelodromo Trotter. Vinse l’americano che ogni mille metri cambiava destriero. Bill diventò ricchissimo: si vestiva dai migliori sarti, frequentava gli alberghi più lussuosi e i ristoranti più esclusivi, in compagnia di signore dell’alta società. Viveva come un nababbo, dava grandi feste, finanziava chiese e ospedali, aiutava tutti, e tutti gli spillavano quattrini. Acquistò case, alberghi, ranch e, nel 1900, fondò una città che chiamò umilmente Cody, con albergo e piscina per cow-boy. Ma la maggior parte degli investimenti si rivelò disastrosa e in pochi anni il colonnello perse tutto quel che aveva guadagnato. Pieno di debiti, si mise a bere e si guastarono anche i rapporti con la moglie, che lui accusò di aver tentato di avvelenarlo con salmone in scatola. Le malelingue insinuarono che Bill volesse mandarla in galera per impalmare una giovane attrice di cui s’era invaghito. Ci fu un processo e l’ex pony ne uscì malconcio. La stampa prese le difese di Luisa, il mito dell’eroe cominciò a vacillare e il pubblico gli voltò le spalle. Nell’illusione di un impossibile rilancio, Cody tornò in Europa, ma la tournée fu un fiasco. Bill non aveva ancora sessant’anni, ma ne dimostrava dieci di più. Soffriva d’ipertrofia prostatica e di reumatismi e la vista gli si era indebolita. Vederlo salire e scendere da cavallo era una pena. Quando imbracciava la carabina, la mano gli tremava e l’occhio falliva la mira. Un amico gli propose di usare speciali bersagli che esplodevano appena il proiettile li sfiorava, ma Bill rifiutò: «Ho iniziato la carriera come bravo tiratore. Non posso finirla da baro». I vecchi amici o erano morti o si erano dimenticati di lui. Solo Luisa, da cui viveva separato, gli era rimasta fedele e gli scriveva lunghe lettere per consolarlo. Alla fine, si riconciliarono. Una mattina i giornali pubblicarono la notizia che il "Grande spettacolo" era stato sospeso per ordine dello sceriffo di Denver e che i beni della compagnia erano stati confiscati e messi all’asta. Bill trovò altre scritture con impresari minori, retrocesso dal ruolo di protagonista a quello di comprimario. L’11 novembre 1916 si presentò per l’ultima volta in pubblico. Entrò in scena a cavallo, pallido, emaciato, gli occhi assenti e sbarrati come quelli di un automa. Fece un giro dell’arena e, dietro una tenda, fu disarcionato come un manichino. Nel dicembre, Luisa lo fece condurre a Denver, in casa della sorella. Il 9 gennaio, entrò in coma e l’indomani spirò. Con lui si chiudeva uno dei capitoli più epici della storia americana: quello della frontiera, dei pionieri, dei cercatori d’oro, della conquista dell’Ovest. Roberto Gervaso