Corriere della Sera 31/12/2005, pag.41 Sergio Romano, 31 dicembre 2005
Prezzolini, l’intellettuale che non voleva più «berla». Corriere della Sera 31/12/2005. Vorrei sapere qual è il suo giudizio sulle cause dell’oblio nel quale è caduto Giuseppe Prezzolini (personaggio che mi ha sempre affascinato sin dall’adolescenza), dopo la sua morte e anche molto prima
Prezzolini, l’intellettuale che non voleva più «berla». Corriere della Sera 31/12/2005. Vorrei sapere qual è il suo giudizio sulle cause dell’oblio nel quale è caduto Giuseppe Prezzolini (personaggio che mi ha sempre affascinato sin dall’adolescenza), dopo la sua morte e anche molto prima. Eppure è stato uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, o no? Mauro Maiali, Rieti Caro Maiali, non credo che Giuseppe Prezzolini sia «caduto nell’oblio». Il suo nome è ricordato in tutte le storie culturali del Novecento italiano e alcuni suoi libri, in questi ultimi anni, sono tornati in libreria. Ma se lei lo avesse definito, quando era vivo, «uno dei più grandi pensatori del secolo», penso che sarebbe stato il primo a sorriderne. Non fu un filosofo, ma, se mai, un «philosophe», nel senso che la parola ebbe nella Francia dei Lumi, vale a dire un intellettuale capace di cogliere al volo e proporre alla discussione le grandi idee della cultura europea agli inizi del Novecento: il nazionalismo, la filosofia dell’azione, il pragmatismo, l’idealismo crociano, l’attualismo di Giovanni Gentile, il modernismo, il sindacalismo rivoluzionario di Sorel. Grazie al suo straordinario talento di imprenditore culturale, La Voce (il settimanale che egli fondò a Firenze nel 1908 e diresse sino al 1914) divenne la locanda in cui alloggiarono, spesso con punti di vista diversi, tutti i grandi talenti della vita intellettuale europea di quegli anni. Aveva una forte ambizione, contribuire con la sua attività culturale alla rinascita dell’Italia, e credette che la Grande guerra sarebbe stata per la nazione l’equivalente di un esame di maturità. Fu tra i primi a scoprire il talento di Mussolini e gli commissionò un libro («Il Trentino visto da un italiano») che suscitò una certa curiosità. Diresse per un certo periodo l’ufficio romano del Popolo d’Italia e più tardi, quando si trasferì all’estero, approfittò dei suoi viaggi in patria per fare visita al vecchio amico nella sala del mappamondo a Palazzo Venezia. Ma non divenne mai fascista e fu amaramente deluso, dopo la fine della Grande guerra, da quella combinazione di massimalismo socialista, velleità rivoluzionarie, violenza civile e retorica patriottarda che esplose allora nella società nazionale. Anziché reagire rabbiosamente come un amante tradito, scrisse l’ironico manifesto del suo scetticismo: un articolo per Rivoluzione liberale, la rivista di Piero Gobetti, in cui propose la creazione di una Congregazione degli apoti, vale a dire di «coloro che non la bevono». Cominciò poco dopo un capitolo nuovo della sua vita. Andò a Parigi per assumere la direzione di un istituto culturale della Società delle nazioni che può considerarsi per certi aspetti un antenato dell’Unesco. E più tardi sbarcò a New York dove divenne responsabile della Casa italiana alla Columbia University, insegnò nella stessa università, si dedicò alla compilazione di un «Repertorio bibliografico della storia e della critica dalla letteratura italiana» dal 1902 al 1942 che apparve in quattro volumi fra il 1937 e il 1948. Scrisse saggi, articoli, biografie e dopo la fine della guerra ritrovò nel Borghese, di cui fu frequente collaboratore, un gruppo di amici che avevano sofferto, come lui, di nazionalismo deluso: Giovanni Ansaldo, Leo Longanesi e Indro Montanelli. Morì a Lugano, forse centenario (sull’anno della sua nascita vi sono alcuni dubbi), nel 1982. Quando lasciò la direzione del Giornale nel 1994, Montanelli gli rese omaggio dando al suo nuovo quotidiano il nome della rivista fondata a Firenze nel 1908, e pubblicò nella nuova Voce una conversazione immaginaria con l’amico scomparso. Prezzolini disse di non credere che il giornale sarebbe sopravvissuto «senza un padrino né un patrono» e aggiunse: «Ma allora, povero ragazzo, vuol dire che Prezzolini non ti ha insegnato nulla (...)». Credo che la risposta di Montanelli meriti di essere riprodotta interamente: «Sì, una cosa me l’ha insegnata, e io credo averla, almeno quella, ben capita. Mi ha insegnato che il cinismo è l’esatto contrario dell’oro: è buono solo quando è falso, come quello tuo (...) No, Prezzo, non arrabbiarti. Lo so che il peggiore dispetto che ti si possa fare è di dirti che sei irreparabilmente migliore di come ti piace apparire». Ho letto la conversazione più volte, caro Maiali, e le confesso di avere provato un certo disorientamento. Non riuscivo a capire se certe battute fossero di Montanelli o di Prezzolini. Sergio Romano