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 2005  dicembre 31 Sabato calendario

Sorpresa, in Rai vince il merito. Corriere della Sera 31/12/2005. Il consiglio di amministrazione della Rai, volendo incentivare nel 2006 il pensionamento dei propri dipendenti, ha però escluso per la prima volta il ricorso alla «staffetta generazionale», grazie alla quale si otteneva che un lavoratore andasse in pensione in cambio dell’assunzione del figlio (con uno stipendio, ovviamente, inferiore)

Sorpresa, in Rai vince il merito. Corriere della Sera 31/12/2005. Il consiglio di amministrazione della Rai, volendo incentivare nel 2006 il pensionamento dei propri dipendenti, ha però escluso per la prima volta il ricorso alla «staffetta generazionale», grazie alla quale si otteneva che un lavoratore andasse in pensione in cambio dell’assunzione del figlio (con uno stipendio, ovviamente, inferiore). La notizia, confinata nelle pagine economiche di qualche giornale, ha in realtà un significato più generale, che riguarda la cultura profonda del nostro Paese. Poche cose, infatti, come l’anzidetta «staffetta» (in vigore per anni non solo alla Rai) sembrano sintetizzare una diffusa meritofobia italiana, per la quale valutare le persone sulla base delle loro capacità, dunque del loro merito, continua ad apparire quasi una discriminazione, assai più che assumerle sulla base del lavoro (o anzi della rinuncia al lavoro) del proprio genitore. Come se, invece, non fosse proprio la valutazione del merito a rendere possibili due caratteristiche essenziali di una democrazia moderna. In primo luogo, l’allocazione efficiente delle risorse umane (ci sarà o no un rapporto tra certe morti sospette avvenute nei nostri ospedali e la meritofobia italiana, che induce a scegliere un chirurgo senza farsi «condizionare» dalle sue capacità?). In secondo luogo, il ricorso al merito è uno strumento indispensabile di mobilità sociale per gli appartenenti ai ceti svantaggiati; da questo punto di vista, appare davvero paradossale che proprio la sinistra abbia avallato per anni la deriva antimeritocratica che si è affermata nel nostro Paese. Speriamo che adesso la decisione della Rai segni almeno una prima, timida inversione di tendenza. Giovanni Belardelli