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 2005  dicembre 23 Venerdì calendario

Vincent Van Gogh. La Repubblica 23/12/2005. New York. Per l´impossibilità di vedere qualcosa, la mostra dei disegni di Van Gogh al Metropolitan Museum di New York è stata battuta solo da quella consacrata a Vermeer nel 1995, alla National Gallery di Washington, che raccoglieva - evento che accade ogni mille anni - ben ventisette lavori del pittore olandese

Vincent Van Gogh. La Repubblica 23/12/2005. New York. Per l´impossibilità di vedere qualcosa, la mostra dei disegni di Van Gogh al Metropolitan Museum di New York è stata battuta solo da quella consacrata a Vermeer nel 1995, alla National Gallery di Washington, che raccoglieva - evento che accade ogni mille anni - ben ventisette lavori del pittore olandese. In entrambe le occasioni, in troppi si accalcavano gelosamente e sgomitavano a pochi centimetri da opere venerate che richiedevano un esame ravvicinato. Al Met, nella settimana di apertura, docili masse avanzavano in code raggrumate, il naso quasi a brucare opere d´arte minutamente tratteggiate e punteggiate, attraversando stanze che contenevano più di un centinaio di disegni a inchiostro, grafite, carboncino e acquarello, e qualche tela a olio e acquarelli. Sebbene l´immagine di Van Gogh che i posteri si sono fatta ruoti intorno alla sua fragilità mentale e al suo suicidio all´età di trentasette anni, la strabordante mostra dei suoi disegni al Metropolitan Museum ci ricorda la tremenda produttività del pittore: in soli dieci anni, dal 1881 al 1890, completò ottocento tele e oltre mille e cento disegni, per non parlare delle circa ottocento lettere che scrisse al fratello minore Theo, e che costituiscono uno dei più grandi testamenti letterari, eloquente e intimo, mai lasciato da un supremo artista. Vincent era il maggiore dei sei figli di Theodorus van Gogh, un pastore calvinista, ultimo in ordine di tempo di una dinastia di ministri del culto. Prima di dedicarsi all´arte, Vincent trovò impiego come predicatore laico nel distretto minerario in crisi di Borinage, in Belgio. Il suo fervore ispirato all´ascetismo di Francesco d´Assisi e di Tommaso da Kempis non incontrò il favore del comitato evangelico locale, e il suo contratto non venne rinnovato a causa dello zelo eccessivo del giovane predicatore. Il volgersi verso l´arte, in circostanze di umiliante bisogno, costituiva una sorta di ritorno nell´ambito familiare: quattro dei fratelli del padre commerciavano in arte, compreso un altro Vincent, suo «Zio Cent», che aveva visto la sua umile galleria crescere sino a essere incorporata nella catena dell´editore d´arte parigino Goupil. A sedici anni Vincent divenne apprendista nella branca dell´Aia di Goupil; quattro anni dopo, su raccomandazione entusiasta del direttore, venne trasferito a Londra, dove rimase un anno, tornandovi poi almeno due volte, la prima come insegnante a Isleworth. Il promettente lavoro presso Goupil prese una cattiva piega e giunse presto al suo termine, sotto la spinta, forse, della vocazione religiosa e dell´epilessia del lobo temporale di Van Gogh, se ci si attiene alla diagnosi postuma favorita della sua malattia mentale. Il volgersi incerto verso l´arte aveva dunque un aspetto pratico - conosceva un po´ il mestiere, si mise a studiare il Cours de dessin di Charles Bargue e la messe di riproduzioni meccaniche sfornate da Goupil - e uno religioso: sin quasi dall´inizio, impacciato come poteva esserlo, riusciva a conferire ai paesaggi e alle nature morte un´intensità particolare, manifestando, come ebbe a dire in un suo sermone, che «Dio usa le cose di tutti i giorni per istruirci nelle verità superiori, che la vita è un pellegrinaggio e che siamo stranieri su questa terra». Nei suoi dipinti, i girasoli, le scarpe logore del lavoratore, la famosa sedia (La sedia di Vincent con la sua pipa, 1888), sembrano effettivamente discesi da un altro mondo, presenti con freschezza e vivacità, come l´angelo dell´annunciazione, ripieni delle loro novelle. Vi è un certo vantaggio artistico a sentirsi straniero sulla terra. Un bellissimo sentimento di solitudine scaturisce da Strada di campagna (1882), uno dei numerosi studi di prospettiva e di paesaggio del suo autoimposto apprendistato, avendo deciso, come recita una lettera a Theo, di preferire un´«attiva melancolia» al «soccombere alla disperazione». Il primo piano dell´altrimenti pacato Vivaio sullo Schenkweg (1882), rappresenta il ciglio erboso pieno di canne di un fossato con l´energia calligrafica, la violenza appena soppressa che diventeranno i segni distintivi del suo stile maturo. Le sue lotte con la figura umana cominciano a produrre immagini anatomicamente persuasive, dalla cui irregolare corposità contadina emanavano un pathos e una grazia privi di ogni forzatura. Fu abbastanza soddisfatto della Bambina con grembiule (1882-1883) da dipingerle intorno una cornice di inchiostro nero; questo studio di una bambina silenziosa, dai capelli arruffati (probabilmente la figlia dell´interesse romantico di Van Gogh a quel tempo, Sien Hoornick) eseguito con penna e pennello, matita litografica, grafite, inchiostro e acquarello, mostra una sottigliezza e una facilità per lui eccezionali. Il gesso e il pastello, strumenti più spessi, lo liberarono dal creare una forte sensazione di volume in due studi di figure che posano lo sguardo su pugni chiusi - Contadino presso il focolare (Worn Out) del 1882 e Donna seduta su una cesta con i pugni chiusi (1883) - mentre i suoi tentativi con penna e acquarello per dar vita ad alcuni tessitori al lavoro mostrano una imbarazzante goffaggine. Le sue simpatie per le classi lavoratrici trovano l´espressione più memorabile nella spesso riprodotta Testa di una contadina (1884-1885), un profilo di brutale ripugnanza, eseguito a grandezza doppia del naturale per gli studi di ritratto che chiamava «teste del popolo». Il soggetto, senza dubbio più giovane di quanto la sua bruttezza non ci permetta di indovinare, distoglie timidamente lo sguardo dall´artista, al pari dell´affascinante bambina col grembiule. A partire dal 1884 Van Gogh abbandonò la speranza di diventare un illustratore in bianco e nero all´altezza di Daumier o di Doré, e diresse la maggior parte delle sue energie verso la pittura. I disegni divennero allora una sorta di genere subordinato - studi preliminari per delle tele, o, a beneficio di un circolo ristretto di specialisti, copie di dipinti già eseguiti. A volte, quando la povertà o la reclusione gli impedivano di accedere al materiale per dipingere, il disegno tornava a essere il principale canale creativo. Dalle sotterranee facce scure e nodose dei Mangiatori di patate (1885), appena meno monocromatica di un disegno, passò al colore, proprio come, fisicamente, lasciò l´Olanda. Il padre era morto nel marzo del 1885, e il freddo benvenuto a Neunen si fece gelido quando, più tardi quell´anno, il prete cattolico del villaggio impedì ai fedeli di posare per lui. Van Gogh si recò ad Anversa, frequentò brevemente la scuola di Belle Arti della città, poi raggiunse Parigi e finalmente il Sud della Francia. Ad Anversa scoprì Rubens: l´ex ammiratore delle tristi scene campestri alla Millet scriveva a Theo: «Che colore c´è in un dipinto, che entusiasmo nella vita, in altre parole non è cosa da poco se uno cerca di tenercisi attaccato». A Parigi l´incontro con gli impressionisti, i puntillisti, e le stampe giapponesi: conobbe Pissarro, Seurat, Signac, Toulouse-Lautrec e Gauguin. Dovette far fronte a quella che, nel suo saggio per il catalogo, Sjraar van Heugten chiama «la sconcertante scoperta che lo stile pittorico che aveva praticato negli ultimi tre anni era irrimediabilmente antiquato». Nel corso del suo rinnovamento artistico, i disegni acquistarono sicurezza e verve. Il mulino di Blute-Fin (1887) è audace nella sua applicazione di una grafite tenera sulla carta; i rapidi tratti orizzontali paralleli delle scale e gli analoghi tratti verticali del basso edificio accanto alle scale invitano l´osservatore ad apprezzare la virtuosità dell´artista. Vincent e il fratello Theo, diventato nel frattempo un mercante d´arte per Goupil, vivevano non lontano dall´edificio, a Montmartre, 54 rue Lepic. Gli istinti socialisti di Van Gogh si concentravano a Parigi sui luoghi del tempo libero della classe operaia - balere e caffè all´aperto - e sul passeggio popolare sui bastioni di Parigi, non ancora demoliti. Toulouse-Lautrec e Renoir avevano già ritratto i piaceri proletari prima di lui, come del resto gli incisori giapponesi che avevano rappresentato le strade di Edo: Hiroshige, ad esempio, la cui influenza si fa sentire in modo particolare nel dipinto Mura di città con vettura a cavalli e gente che cammina (1887). Nella stessa serie policroma, Capanna a Montmartre con girasoli tocca un soggetto che Van Gogh legherà al suo nome, e Veduta di Parigi da Montmartre tratteggia un frizzante e gioioso panorama della città curato nei dettagli, e corredato di una cornice a inchiostro che sta a indicare la speranza (delusa) di poter vendere il lavoro. Quando, nel febbraio del 1888, esattamente due anni dopo il suo arrivo nella capitale, Van Gogh lasciava Parigi per Arles, nella Provenza occidentale, Theo scriveva alla sorella lamentandone la partenza: «Non è facile riempire il posto di un uomo come Vincent. Le sue conoscenze sono vaste, e ha una visione molto chiara del mondo. Sono convinto che se avrà ancora qualche anno si farà un nome». E solo qualche anno in effetti gli fu concesso (come a Theo, del resto, che sopravvisse al fratello per soli sei mesi), ma furono anni di trionfo per la sua arte, anche se tragici per la sua vita. I disegni di Arles, prima del suo internamento volontario nell´ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Remy (venti chilometri a Nord di Arles), nel maggio del 1889, non solo accompagnano le vigorose falcate in avanti della sua pittura ma, grazie alla nuova energia e alle sfumature consentitegli dall´uso di penne tratte da canne - tipiche del Sud della Francia, tagliate e appuntite come penne d´oca - costituiscono delle opere d´arte a se stanti. Sentiero attraverso i campi con salici (1888), uno dei primi disegni a penna e inchiostro spediti per posta a Theo da Arles, e copiato in una tela a olio il mese seguente, mostra esitazioni ma anche determinazione nell´uso della penna di canna solo per punteggiature spruzzate sul terreno erboso. Giardino pubblico di fronte alla casa gialla, eseguito nello stesso mese di marzo, che ha per soggetto i giardini piuttosto selvatici posti dinanzi alla casa che il pittore occupava ad Arles, e Frutteto con Arles sullo sfondo posseggono ormai un repertorio quasi completo di gesti calligrafici - rapidi tratteggi e segni a zigzag, piccoli cerchi e macchiette - che evolve assieme ai resti della sua pedante maniera olandese, visibili nella resa attenta dei rami degli alberi in primo piano. Delle sue penne di canna scriveva a Theo: «E un metodo che avevo già provato in Olanda, tempo fa, ma non avevo canne della qualità che trovo qui». La penna di canna era più flessibile delle punte metalliche e trattenevano relativamente poco inchiostro, il che si sposava bene con i brevi tratti enfaticamente usati da Van Gogh. I disegni, nel tipo di attacco e struttura, aspirano alla condizione di dipinti. Alcuni divennero in effetti tele: Veduta di Arles con iris in primo piano (1888), e due disegni eseguiti durante un soggiorno di una settimana a Saintes-Maries-de-la-Mer (30 maggio - 5 giugno 1888), a esempio. Il disegno appena abbozzato Strada a Saintes-Maries-de-la-Mer fu la base per il fondamentale quadro che porta lo stesso nome, e che costituisce l´esperimento più audace sino ad allora tentato da Van Gogh nell´utilizzare colori surreali, con il suo cielo giallo e i tetti di paglia viola, le sue strade rosa senza traccia d´ombre: «Sto aggiungendo a proposito, esagerando il colore - l´Africa non è così lontana», scrisse a Theo. Era contento della svolta, tanto da spedire al collega pittore mile Bernard un abbozzo della tela con accurate indicazioni dei colori usati, e ripeteva analoghe annotazioni post factum in disegni inviati al fratello. La settimana passata in riva al mare fu un punto di svolta per Van Gogh. Dipinse un olio violento, spesso e selvaggio nell´impasto come un Soutine, dal titolo Barche a mare, Saintes-Maries-de-la-Mer. Le tre copie vergate con la penna di canna mentre l´olio si stava asciugando mostrano, nei sinuosi arabeschi paralleli in primo piano, una sottomissione quasi allarmante al turbinio delle acque. Gli scuri cipressi come fiamme, i contorti ulivi, gli accecanti soli giganteschi, le montagne convulse, i vortici ribollenti di stelle non sono lontani dalla pazzia visionaria dell´ultimo Van Gogh. Ma prima vennero i gloriosi panorami della piena estate provenzale: «Dovunque si vede vecchio oro, bronzo, rame, e tutto ciò col verde azzurro del cielo sbiancato dal calore: un colore delizioso, eccezionalmente armonioso, con i toni miscelati di Delacroix», scriveva nel giugno a Theo. Due mesi passati con Gauguin nella casa gialla, nella vana speranza di inaugurare una comune per artisti in Provenza, minarono la fiducia di Van Gogh e fecero scappare Gauguin, spaventato dalla pazzia del collega. La notte in cui Gauguin partì, Van Gogh si recise il lobo di un orecchio e lo donò a una giovane donna che viveva nel bordello locale. Ci viene da chiederci, leggendo di queste dispute e strani comportamenti, quanta parte vi abbia avuto il disturbo mentale e quanta l´abuso di alcolici. Anche prima dell´arrivo di Gauguin, Van Gogh aveva avuto sotto gli occhi un rapporto clinico che sottolineava il problema. «Lo ammetto», scriveva a Theo, «ma per arrivare a quella nobile gradazione di giallo che ho ottenuta l´estate scorsa mi sono dovuto semplicemente concedere una bella bevuta». Le sue fortune artistiche prosperavano. Un articolo elogiativo era apparso sul Mercure de France, e Toulouse-Lautrec aveva sfidato a duello un collega pittore che aveva mancato di rispetto verso l´opera di Van Gogh. A Bruxelles aveva venduto il suo primo quadro, per quattrocento franchi, Il vigneto rosso (1888). Vincent e Theo si trovarono d´accordo nel ritenere che vivere in mezzo ai malati di mente non era cosa salubre, e il pittore venne trasferito in un villaggio a Nord di Parigi, Auvers-sur-Oise, dove un medico simpatetico, Paul-Ferdinand Gachet, avrebbe vegliato su di lui. Come ci informa il catalogo, «lavorò duro e rapidamente, producendo circa settantacinque dipinti nei settanta giorni che gli restavano da vivere». A giudicare tuttavia dalle tre opere eseguite a Auvers esposte al Metropolitan, le risorse tecniche conquistate a caro prezzo e la sua naturale intensità mostravano segni di stanchezza. Paesaggio con ponte sull´Oise (1890) si adagia su tratti bianchi e verdi così approssimativi da rivelare la fibra della carta sottostante; mentre le linee spennellate di blu e nero nel Paesaggio con case e in Vecchio vigneto con una contadina - non una sola linea retta in essi - mi sembrano un completo guazzabuglio. Ma non bisogna mai sottostimare l´attrattiva postuma di Van Gogh per il pubblico delle mostre: poco lontano da me, una signora che guardava i due disegni bluastri ha esclamato: «Mi piacciono proprio!» John Updike