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 2005  dicembre 31 Sabato calendario

Marlene volpi d’argento. La Repubblica 31/12/2005. Luca Doninelli. Caro collega e amico, autore del Crollo delle aspettative (Garzanti), che magnifico libro sull´attuale Milano senza testa né coda né parametri, in attesa di angeli sterminatori (alla Testori) o di baüscia modaioli smangiati da nevrosi fighette e coatte, fra paninoteche rock-sushi alternative e coca-Angst da happy hour in etnoslow-winebar di provocazione e tendenza

Marlene volpi d’argento. La Repubblica 31/12/2005. Luca Doninelli. Caro collega e amico, autore del Crollo delle aspettative (Garzanti), che magnifico libro sull´attuale Milano senza testa né coda né parametri, in attesa di angeli sterminatori (alla Testori) o di baüscia modaioli smangiati da nevrosi fighette e coatte, fra paninoteche rock-sushi alternative e coca-Angst da happy hour in etnoslow-winebar di provocazione e tendenza. In scarpe color cacchina. «Tutto bene?». Generazionalmente, è come se un´alluvione della memoria abbia rimosso la città dove abitavano praticamente vicini Soldati e Buzzati, Bacchelli e Montanelli, Montale, Quasimodo, Bo, Anceschi, Vittorini, Ottieri, Testori, Soavi, Sereni, e altri letterati e poeti, con editori molto «personali» e «individualissimi» come Valentino Bompiani e Livio Garzanti e Leo Longanesi e Giangiacomo Feltrinelli. E architetti memorabili. E teatri con stagioni ricchissime: il Nuovo, l´Odeon, il Piccolo, l´indimenticabile Lirico; e perfino l´Olimpia e l´Excelsior. E cartelloni della Scala con decine di novità e riprese e artisti eccelsi. Qui basta rivedere le vecchie pagine cittadine degli spettacoli, con mentalità obiettiva e statistica. E non franare nell´elegia, fra Via Senato e via Spiga dove si abitò (come pure a Roma, tra via Mario de´ Fiori e via Frattina), sulla scomparsa delle camicerie e librerie e cartolerie e salumerie, nelle strade ora piene di scarpe e valigie identiche in tutti i più sinistri aeroporti. (Avendo gli armadi pieni di griffes «assolutamente vintage», sarà piuttosto il caso di fare un´asta di modernariato storico?). Forse si sente di più l´estinzione di un´arguzia dialettale, popolare e aristocratica insieme, paragonabile soltanto all´analogo sense of humour napoletano e veneziano. Niente di simile, tra i sarcasmi fiorentini duri, o romani grevi, o emiliani triviali. Mentre a Milano corrispondeva anche un certo gusto, tradizionalmente interclassista, nel mangiare, nel vestirsi, nella musica. Portinaie, pizzaioli, gondolieri, fruttivendole, conti e marchese, ciaparatt e balabiott, Mercerie, Sancarlino, Verzee. L´Italia etnica, fra Goldoni e Porta e Tessa e i De Filippo. «Dìmel dimàn», quando il cameriere annuncia la morte del fratello. «E inscì, anca incoeu, fra una robba e l´altra, emm fatt mesdì», dopo un funerale di mariti o mogli. «Dopo ci daràn la Corsica!», sotto i bombardamenti, in cantina. E le barzellette sull´offellee, e il cervelee, e «menà i ciapp» piuttosto che non «battes i ciapp» o «andà à dà via i ciapp»... L´intraducibilità del dialetto è più ardua che altrove, però. Neanche il Varon milanes - primo (1606) lessico vernacolare locale, riportato da Dante Isella in Lombardia stravagante (Einaudi) - tenta di spiegare al forestiero la differenza fra «ciapp» (chiappe) e «ciappà» (prendere). Come si orienterà un viaggiatore fra «ciàppel» (acchiappalo) e «ciappèll» (coccetto) e «ciappètt» (chiappette)? Nell´Italia di ieri, i De Filippo e le compagnie venete erano facilmente comprensibili anche a Roma e a Milano. Ma a Roma anche gli spettatori più volonterosi non capivano i popolarissimi Legnanesi né le canzoni di Enzo Jannacci. E oggi, reciprocamente, certe famiglie abitanti a Milano protestano perché nelle scuole vengono forniti prontuari di idiomi e cibi e costumi locali simili a quelli per i turisti giapponesi nella cultura ambrosiana e meneghina impegnata nel prêt-à-porter. Così, l´integrazione "multi-culti" finisce o incomincia coi rimpianti dei Celentano e degli Zavattini per quei verdi pascoli con erba e pallone, dove poi hanno costruito i "casermoni", però i centri sociali protestano perché non bastano mai per dare alloggi ai baraccati vecchi e nuovi... Guardando poi le mappe, e contando i diametri a passi: le «mura spagnole» milanesi non erano e sono circonvallazioni più ampie del Ring a Vienna? E paragonando le facciate arcigne ai cortili ariosi: non si vedono anche a Parigi o a Pechino, i prospetti ostili su strada a cui corrispondono corti e giardini all´interno? Basta controllare le abitazioni signorili a Roma, del resto. Facciate decorose e ridipinte, fuori. Ma affacciandosi dalle cucine: balconi carichi di rottami e rifiuti, cortili come discariche di relitti. (Un tipico tema per Gadda: il vero volto zotico del condominio «distinto», ignaro che in Francia i cortili sono giardini interni e i bimbi non strappano i rami come nei nostri parchi pubblici...). Però le tristi mostre attuali sugli epigoni caravaggeschi e sui conformismi dei cardinali Borromeo - con quelle pubblicità devozionali «da toccarsi le palle» - non solo ci testimoniano che la Milano "spagnola" e dei Promessi sposi riuscì lungamente ad essere una città fra le più noiose d´Europa: chance sempre lì lì per riproporsi. Inoltre ci rammentano che nessuna grossa città europea (con o senza lotte intestine da reprimere) passò tanti secoli come colonia sotto governatori stranieri. Francesi, a partire da Luigi XII nel tardo Quattrocento, poi Napoleone ed Eugenio Beauharnais, e finalmente Piazza Affari e la Scala e i salottini. Spagnoli, con editti e precetti su religione e famiglia, da Filippo II a Zapatero. Austro-tedeschi, da Radetzky a Hitler, sempre sul territorio e nelle banche e assicurazioni, con carceri ove sia il caso. Inglesi, imperialisti efficaci di lontano, con la «Voce di Londra» e i bombardamenti di Churchill e gli attuali giornali della City, indiscussi come già i Vangeli. Così i bambini domandano: ma intanto, a Torino e a Novara, chi comandava e incassava, rispetto a Monza? arbasino