La Repubblica 31/12/2005, pag.56-57 Alberto Arbasino, 31 dicembre 2005
Marlene volpi d’argento. La Repubblica 31/12/2005. Claude Debussy. Anni o decenni fa, da scolaretti ammaestrati con Senza famiglia e Il birichino di papà da mademoiselles più nubili che le macchine di Duchamp, si trascorrevano tristi domeniche («Sombre dimanche!» gemevano le Radio-Phonola più fini) diligentemente chiedendoci a chi andassero addebitate le noiosità del Pelléas et Mélisande: alle esecuzioni intimidatorie, o a noi poveri piccoli clienti? La solfa andò avanti in sedi eccelse
Marlene volpi d’argento. La Repubblica 31/12/2005. Claude Debussy. Anni o decenni fa, da scolaretti ammaestrati con Senza famiglia e Il birichino di papà da mademoiselles più nubili che le macchine di Duchamp, si trascorrevano tristi domeniche («Sombre dimanche!» gemevano le Radio-Phonola più fini) diligentemente chiedendoci a chi andassero addebitate le noiosità del Pelléas et Mélisande: alle esecuzioni intimidatorie, o a noi poveri piccoli clienti? La solfa andò avanti in sedi eccelse. Colpa dell´Impressionismo? Del Simbolismo? O di quei tentacolari crepuscolarismi di massa che dai «porti delle nebbie» intorno a Bruges reclutavano i nostri Corazzini e Gozzano e Moretti in una lobby multinazionale di beghine e nazarene e pinzochere stralunate e cagionevoli, ma implacabili come le prozie e le badesse di Voghera? (Mezzo secolo dopo, fra un whisky e un altro, Leonard Bernstein tagliò corto: «Debussy è il Seurat della musica». Ma alla Scala degli «anni d´apprendistato», con De Sabata al suo e nostro meglio, non appena la petulante Géori Boué ciguettava «Ne me touchez pas», pareva di ritrovare la «Mam´zelle Nitouche» delle vecchie educatrici. Mentre quando ancora con De Sabata era subentrata Elisabeth Schwarzkopf, una Melisande così "tetesca" sembrava una specialità da Sacher Hotel. Seguirono decenni di evanescenze, inconsistenze, vaghezze, aure e atmosfere malaticce, squisite soprattutto negli allestimenti di Giancarlo Menotti. Ma sempre con l´inciampo molesto dello smorfioso «Petit Yniold» che continua a pigolare «petit père, petit père»: il più intollerabile «Pierino la Peste» in tutta la musica occidentale. (Sente piangere perfino i montoni. E lì anche i cuoricini più d´oro sviluppano il famoso «complesso di Erode» così apprezzato nella pittura barocca). Benché sia un´opera dove si piange tantissimo (ma si piangeva parecchio anche nella poesia di Pascoli e al café-chantant, allora: «Come pioveva, così piangeva», la zia), Peter Stein con Pierre Boulez la presentava in un medievalismo solido e giocattolaio da teatrino della Fiaba. Come si apprezzava nella Cenerentola di Sergio Tofano e nel Barbe-bleue di Walter Felsenstein. Poi subentrò la voga di Vestivamo alla marinara. Ma il più savio moderno apparve Peter Sellars: tutti quelli che dicono «j´ai mal», subito a letto; un´ala del castello, trasformata in ambulatorio, con madame Geneviève capo-infermiera. Termometri e clisteri. E Golaud, incontrando una sbandata tipo «Who am I? Where am I?» alla stazione, prima di proporre «voulez-vous venir avec moi?», sempre più prudentemente le chiede «quel âge avez vous?». Alla Scala, adesso, all´ultima performance di Georges Prêtre, dopo la lettura del comunicato contro i tagli allo spettacolo, come ormai dappertutto s´apre il sipario su uno spettacolo "global" e intercambiabile di vecchie liquidazioni di falsi-Prada per bidelli e becchini in lutto multiuso. Altro che aure e suggestioni di foreste brumose, per chi non ha fatto studi speciali e vorrebbe capire se siamo in un antico aeroporto o in un duomo nuovo. Il povero Golaud («ma chi era costui?», si chiede una platea di Don Abbondi), vestito e camuffato da Debussy, siede in poltrona Frau davanti alla gigantografia bianco-nera di una caccia fiamminga uso Snyders; e nei passaggi orchestrali compulsa pubblicazioni e sorseggia drinks. Il solito "abbassamento" alla misura piccolo-borghese. E benché i personaggi discorrano soprattutto di boschi e foreste inospitali e cieli bigissimi, le locazioni interne/esterne paiono tinelli polivalenti, e come "trovata" si produce una gigantesca testa di Madonna uso Lourdes, porcellanosa, adibita a podio anche nella scena del balcone, sempre imbarazzante perché la chioma spropositata di lei dovrebbe scendere di vari metri. E infatti i due protagonisti si lagnano perché si impiglia nei rami degli alberi. Qui invece si risolve come se Romeo e Giulietta senza balcone flirtassero sul testone rotto di un Colleoni o Gattamelata abbattuto. Ora, è vero che normalmente anche i letti di Violetta e Desdemona vengono sostituiti da una moto sfasciata o da una latrina di metrò. Mentre non si approfitta ancora dell´«arancione chic» sfoggiato da mondezzari e scopatori di strada. Ma se dopo tanti proclamati miglioramenti esecutivi prevale tra i fruitori e utenti un crescente feeling di «tristezza e noia» (come suggerisce il Leopardi), riecco l´annoso e scomodo problema: di chi la colpa? Chi deve chiedere scusa? Lungo l´ascolto si riflette sulle incongruenze atmosferiche. Mélisande infatti si lamenta spesso giacché il cielo plumbeo è invisibile; però quando lei e Pelléas scendono di notte nella grotta per cercare l´anello, non portano lumi e si aspettano che la luna esca da una nuvola. E mentre Pelléas annuncia una burrasca prossima con pericoli per i naviganti, l´orchestra per riferirsi a graziose marine alla Paul Signac: sicché quando lei canticchia «Saint Michel e Saint Raphaël» sembra sognare località di vacanze. Basta però che riappaia il piccolo Yniold, e si ricade ahimè in «Erode & il suo Complesso». arbasino