Varie, 27 dicembre 2005
MARESCO Franco
MARESCO Franco Palermo 1958. Regista. In coppia con Daniele Ciprì • «[...] “[...] Le 49 puntate di Cinico tv sono del ’92 ma siamo stati su Raitre dal ’90 al ’94. [...]La nostra idea di tv l’avevamo messa a punto [...] a Palermo in una piccola tv locale. I nostri riferimenti erano cinematografici, dai Fratelli Marx a Stanlio e Ollio. Facevamo già un Fuori orario in piccolo, una critica per immagini. Quando ci fu data la possibilità di Cinico tv la tv non era ancora il cesso che è oggi. L’idea era antitelevisiva: le pause, il bianconero. Alle otto di sera. Per la prima volta una Sicilia non più passiva parodia da cabaret, la negazione della comicità meridionalista alla Arbore”. [...] accusati di strumentalizzare un’umanità di “brutti sporchi e cattivi”. “Sempre. Dopo si è aggiunta anche la blasfemia. Ma il gesuita Virgilio Fantuzzi (critico cinematografico) ha riconosciuto e difeso la nostra morale. Il nostro rapporto con la città, con i nostri personaggi. Bisogna conoscerci: siamo talmente anomali che è difficile credere che esistiamo realmente [...] Il nostro orrido ha intanto uno spessore estetico, e non ha alcuna parentela con l’orrore del reality, con la televisione del dolore. Gli sciacalli sono altri, è Costanzo il padre fondatore. Il Circo Massimo dell’esposizione dei mostri. Il cinismo vero è suo e della sua signora [...] Noi facciamo come nei cartoni animati mai belli ma sempre disgraziati, o come Stanlio e Ollio: disperati, tragici e brutti. Alle otto di sera presentiamo una realtà cruda, contro la plastica televisiva, e senza ripararci dietro Pasolini. La rappresentazione dell’orrido è uno sguardo sul mondo, in contrasto con un mondo che rimuove la morte, la corporalità, la vecchiaia, la puzza. Una visione apocalittica. Una volta, eravamo più ingenui, ci appellavamo a quanto dicevano certi preti sui pazzi, i poveri e i mendicanti. Ma non c’è compiacimento. Siamo anomali nel cinema italiano della nostra generazione che racconta sciattamente le miserie della portineria o il finto impegno civile. Nel cinema, nel teatro e nella tv nostri, senza distinzione, c’è il destino disperato dell’uomo attraverso la lente deformante del grottesco. E dentro la tv non ci siamo mai trasformati. Anche ad Avanzi arrivavamo da un altro mondo e da un altro tempo [...] Noi siamo solo due che vorrebbero lavorare perché ne hanno bisogno. Avremmo potuto scegliere De Laurentiis, ma non eravamo disposti a farci dire quello che dovevamo fare. E non è stata una vita facile [...] In Italia c’è l’idea da parte di chi detiene il potere, vedi la Rai, che il pubblico sia irreversibilmente deficiente. Non siamo bravi a venderci ma abbiamo riconosciute capacità comiche. Forse facciamo anche un po’ pensare, attività di questi tempi poco gradita. Non tenere conto che c’è anche un’altra Italia che si è rotta i coglioni [...] Il pubblico è narcotizzato, la medietà si è molto abbassata. Che emozione è, interrotta da cinquanta spot? Come si fa a vedere lo stesso attore che un minuto prima è Falcone e il minuto dopo fa pubblicità? [...]» (Paolo D’Agostini, “la Repubblica” 21/12/2005).