23 dicembre 2005
Liberati Francesco, di anni 18. Romano, studente, alto, castano, discreto, colto, brillante, buoni voti, tanti amici e amori occasionali
Liberati Francesco, di anni 18. Romano, studente, alto, castano, discreto, colto, brillante, buoni voti, tanti amici e amori occasionali. Frequentava il quarto liceo scientifico dalle suore Pallottine a Ostia, dove viveva con la mamma Maria, ostetrica, il padre Umberto, tassista, e la sorella Laura quattordicenne. Appassionato d’armi, la licenza per il tiro sportivo presa lo scorso aprile, era tutto contento perché la mamma s’era decisa a comprargli una bella Magnum Python 357, a poco meno di 2.000 euro. Martedì mattina s’alzò di buon’ora, la sorellina in Spagna dai nonni materni, aspettò che i genitori uscissero e si mise a raccogliere in un pacco le sue collezioni d’automobiline, accendini a benzina Zippo e coltelli. Aggiunse un video e uscì per andare da un Gabriele amico suo lasciandogli il fagotto nell’androne delle scale. Tornato a casa chiuse la porta blindata dall’interno, serrò le finestre, chiamò al telefono l’amico perché recuperasse il regalo e raggiunse la sua cameretta. Bucò l’armadio, fece passare per il foro la canna nera della sua pistola sistemata su un asse di legno inchiodato all’interno e attaccò una cordicella al grilletto. Prese posto su una sedia, indossò un paio di occhiali di plastica per la visione tridimensionale e si fece saltare il cervello con un colpo alla nuca. Nel frattempo il Gabriele leggeva il testamento del Liberati filmato con la piccola telecamera digitale che si portava sempre dietro: venti minuti, tre motivi per il suicidio («uno è un segreto; due voglio smettere di soffrire; tre prima o poi tutti se ne vanno»); scartati il balcone («potrebbe non funzionare») e il cianuro («difficile da reperire»); una dissertazione su Eros e Thanatos. Intorno alle 11.30 di martedì 20 luglio, al quarto piano di una palazzina di viale della Libertà, un nido d’infanzia al pianterreno, a Ostia, litorale romano.