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 2004  luglio 16 Venerdì calendario

Un napoletano a Tokyo, il Giornale, 16/07/2004 «Quando hanno visto il caciocavallo filare sulla piastra, non ci volevano credere, sono scattati tutti in piedi, chi fotografava e chi applaudiva»

Un napoletano a Tokyo, il Giornale, 16/07/2004 «Quando hanno visto il caciocavallo filare sulla piastra, non ci volevano credere, sono scattati tutti in piedi, chi fotografava e chi applaudiva». Ecco cosa mancava, il tifo da curva per il caciocavallo. Mai dire banzai. I giapponesi. Quelli presenti nello studio televisivo mentre il cuoco (il cuoco?) brandiva la fetta di formaggio come fosse un tizzone ardente. Un miracolo. Possibile, possibilissimo, se di mezzo c’è lui, Girolamo san, al secolo Girolamo Panzetta, la superstar italiana in Giappone. Così famoso che quando torna a Roma e incrocia una comitiva con gli occhi a mandorla viene sommerso dai flash, roba che nemmeno la Fontana di Trevi. Cuoco, traduttore,telecronista, entertainer, editore, stilista: ricco. Girolamo Panzetta è tutto questo. Quarantadue anni, napoletano, una vita sull’ottovolante: «Io studiavo architettura a Napoli, mio padre aveva una ditta di costruzioni, lavorava nelle autostrade, ha partecipato alla ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto». Il Giappone? Solo sull’atlante. Millenovecentoottantotto, segnatevi l’anno. «Un amico giapponese di papà doveva scrivere un libro e per le sue ricerche voleva tornare nel suo Paese. Mi chiese di accompagnarlo, io non ne avevo proprio voglia. Stavo specializzandomi nel recupero di vecchi edifici, cosa avrei fatto da quelle parti?». E in effetti non fece proprio niente. Tanto che tornò praticamente subito, ma sul volo di rientro la ruota della fortuna aveva già cominciato a girare. «Piacere Girolamo», «Piacere Kikko». Sono diventati marito e moglie. Lei studiava Arte all’università statale di Tokyo, stava venendo in Italia per una full immersion sulle porcellane di Capodimonte. E che doveva fare, Girolamo, farsi scappare l’occasione? Infatti: «Ci siamo sposati subito, abbiamo vissuto due anni a Faenza - il Klondike delle ceramiche -, siamo tornati a Napoli e poi abbiamo deciso di saltare dall’altra parte del mondo: Giappone». Da Napoli non era proprio un balzo da niente. Per dire: qualche anno più tardi Salvatore Schillaci, gli occhi di Italia ’90, avrebbe fatto lo stesso percorso, ma ai suoi piedi c’era un pallone e una cascata di yen (e comunque Totò non ci capì niente almeno per un paio di stagioni). Panzetta, invece, doveva inventarsi tutto: «Per un sacco di tempo i miei genitori mi hanno considerato uno stupido. Gli amici poi, ”tanto torna”, dicevano. Non mi hanno mai preso sul serio. Hanno cambiato idea solo quando si sono resi conto del successo che ho quaggiù». Calma. Al successo mancano ancora un paio di anni. Quando Girolamo piomba in Giappone non distingue un ideogramma da un’impronta di gallina, allora studia in una scuola di missionari francescani e poi si iscrive all’università di Tokyo, economia e commercio. Secondo strattone alla ruota. Alla tv giapponese, canale di educazione, fanno un corso di lingua italiana, cercano «insegnanti». Trascinato da un amico, il siciliano Salvatore, Girolamo si presenta. Ovviamente scelgono lui e Salvatore resta al palo. Due lezioni alla settimana, centomila lire a puntata, ma ormai il treno è lanciato. Perché gli propongono di scrivere un libro e lui non si tira indietro. Anzi, ha pronto il modello cui ispirarsi, Luciano De Crescenzo, e il titolo, Il paradiso degli Italiani. «Dove parlo dei cercatori di tartufi, dei viticoltori, di come si vive nel nostro Paese. Ho venduto quasi un milione di copie. Io scrivevo in italiano, poi traducevo, ma la stesura finale era di mia moglie. Lei adattava la nostra lingua al giapponese, levigava le frasi, le modellava, ci aggiungeva le sfumature». Di libri ne ha scritti diciassette: cucina, storia, luoghi di infanzia. Senza mai perdere di vista il cliente: «Non posso sbagliare; un turista ha voluto visitare i posti che ho descritto. Un romanzo te lo puoi inventare, ma sui particolari non c’è niente da scherzare, qui non ti perdonano». Passare dalle lezioni di italiano a quelle di cucina per Girolamo è stato uno scherzo. Perché prima che noi ci facessimo infinocchiare dal sushi, loro avevano perso la testa per gli spaghetti. Piatto ricco per un italiano di Napoli che parla giapponese. Soba ramen udon, è la pasta al dente: da mettersi le mani nei capelli, ma Panzetta ci ha costruito sopra la fortuna. «Quattro anni di trasmissione. ”Bella due” il nome, visto che ho due ragazze al mio fianco in studio. I giapponesi si sono raffinati, vogliono sentire il profumo delle cose. Pesce e pomodoro, cucinano semplice». Un patrimonio di oltre cinque miliardi, Panzetta è diventato con gli anni guru dello stile giapponese. Ha fondato un settimanale maschile, ”Leon” e uno femminile ”Nikita”; scritto libri di turismo, l’ultimo sui sigari cubani dopo un lungo soggiorno nella terra di Fidel; partecipato ad una serie infinita di spot per le multinazionali che in lui vedono una faccia vincente; organizzato tour eno- «cultural»-gastronomici in Campania per giapponesi. In tutto questo non poteva ovviamente mancare il calcio: Panzetta conduce il ”90° minuto” giapponese commentando le partite del campionato italiano. Dall’arte di arrangiarsi ai miliardi senza mai sbagliare una mossa. O quasi: «Quando in un servizio sui bagni termali, mi sono fatto praticamente riprendere nudo. Ho ricevuto molte proteste, avevo urtato la sensibilità dei giapponesi». Che ci vedono, a sentire lui, in «modo un po’ folkloristico, mai che ci prendano sul serio. Ma al di là delle apparenze, ci sono molte similitudini tra noi e loro. Per conquistarli, li devi far sentire importanti, devi arrivargli al cuore». Questa è la storia di Girolamo Panzetta. Uno di noi che dal cilindro ha estratto una vita e ora la cavalca come se non ne avesse mai avuta una diversa. «Qui non mi manca niente, questo Paese è fatto per me». Sarà. Quello, però, era un caciocavallo made in Japan. Similplastica, ma in tv la differenza si notava appena. Paolo Brusorio