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 2004  luglio 14 Mercoledì calendario

Celentano e la Mori sono sposati da quarant’anni, evviva gli sposi. Quando si conobbero l’Italia era un paese ragazzo come loro, in pieno boom economico, che era riuscito a dimenticare molto in fretta i crateri dei bombardamenti e la fame contadina

Celentano e la Mori sono sposati da quarant’anni, evviva gli sposi. Quando si conobbero l’Italia era un paese ragazzo come loro, in pieno boom economico, che era riuscito a dimenticare molto in fretta i crateri dei bombardamenti e la fame contadina. Le ciminiere delle fabbriche segnavano il profilo delle grandi città industriali, la vita notturna iniziava a pulsare, il primo benessere di massa cominciava a sobillare dolcemente mente e corpo del popolo, i giovani scoprivano di esserlo e diventavano quasi un nuovo grande ceto sociale, con le loro musiche, i loro vestiti, la loro allegra scostumatezza. Lui era figlio di piccoli commercianti meridionali immigrati a Milano, non poveri, ma soprattutto non ricchi, cresciuto davvero (anche) in via Gluck, tra la ferrovia e le case di ringhiera. Lei figlia di un muratore comunista romano, quartiere Testaccio, «morto di troppo lavoro», racconta. Popolana e bellissima. Le veniva attribuito un flirt con il calciatore oriundo Lojacono, che lei rivendica, ridendo, anche oggi, «un fusto pazzesco». Adriano già divo incontrastato del rock all’italiana, Claudia attrice leggera in ascesa. Nessuno dei due timido. Il loro incontro fece faville, un amore intenso e burrascoso, da cinema. A suo modo, Celentano inventò (tra le mille altre cose) anche il primo reality-show, senza bisogno di televisione. I suoi amici diventarono «il clan», lui e Claudia «la coppia più bella del mondo», la vita privata elaborata in saga canora, in spettacolo popolare. Con l’ingenuità (e l’eleganza) di quegli anni, però, come in un gioco per giornali e riviste rosa, non era la privacy a essere ostentata, allora, erano le ombre colorate della fama, erano i nomi in cartellone, le parti vissute per divertimento o anche per beffa, una foto all’uscita di un locale, un’intervista pepata, una canzone. Se poi la vita privata, quella vera, conosceva anche giorni scuri e dolore, ad occuparsene era solo la volgarità del gossip. Le star di allora, essendo vere star, non erano mai i mandanti del pettegolezzo. Erano le vittime. Se il sodalizio delle due vite ha retto, comunque, grande parte deve avere avuto la simbiosi professionale, che è indistruttibile. Lei governa le vicende artistiche del marito con un vigore impressionante: dicono che sia impicciona ma non è vero, è molto peggio, è una cosa a metà tra Stalin e un avvocato americano di quelli capaci di fregare anche gli avvocati americani, durissima nel trattare le condizioni di lavoro, feroce con chi si mette di traverso, capace di rovesciare non solo una scaletta televisiva, ma un intero palinsesto se ha l’impressione che questo giovi ad Adriano.  insieme manager, produttore artistico, autrice, gorilla e cuoco, autista e centralinista, boss e segretaria. Sarebbe insopportabile se non per un dettaglio decisivo, non sempre tenuto nel debito conto negli ambienti di lavoro (tutti): è molto intelligente, e di conseguenza capace di ascoltare gli altri, curiosa di quanto accade intorno, capace di far filtrare fino al marito gli umori e le persone utili, soffocando nel sangue (si fa per dire) gli scocciatori e i dannosi. Dentro la bolla d’acciaio che Claudia gli ha costruito intorno, Celentano ha il tempo di rimuginare sulle sue cose, con i suoi tempi imperscrutabili, la sua vaghezza inquietante, i suoi pensieri astrali. Apparentemente in ostaggio della moglie, quando si arriva al dunque riesce sempre a imporre il suo punto di vista, che essendo quello di un genio istintivo non è sempre quello più conveniente, e a volte neanche quello migliore. Ma è il suo, è quello dell’artista, e la moglie sa perfettamente che impedire (se mai fosse possibile) a Celentano i suoi sermoni più avventurosi e scardinati, significherebbe tarparne anche l’estro inimitabile, l’unicità misteriosa, metà da Re Scimmione metà da incantatore di folle. Ecco, se c’è qualcosa che unisce davvero i due, nel lavoro, nella visione delle cose, è l’idea magari infantile - ma magari stragiusta - che il punto di vista dell’artista sia il solo scopo possibile, che la libertà dell’artista vada difesa a qualunque costo e a qualunque prezzo, specie nel bel mezzo dello spettacolo popolare dei nostri tempi, che tende terribilmente al piatto, allo scontato, al seriale, all’addomesticato. Vedendo i due che disputano (e disputano parecchio) con la Rai o altri committenti, la prima impressione è di una bizzosa megalomania, la seconda - quella che conta - è che vogliano creare, sempre e comunque, le condizioni per lavorare in assoluta libertà, anche a costo di sembrare bizzosamente megalomani. Che questa libertà sia stata usata bene o male, fin qui, da Celentano, resta opinione di ciascuno. Sta di fatto che l’errore o la stonatura o l’inciampo, nella lunga storia della coppia, sono comunque farina del loro sacco, mentre non si contano i casi nei quali altri artisti hanno sbagliato per poco coraggio, o conformismo, o remissività. Gli eccessi di orgoglio, per gli artisti, sono peccati veniali. Il peccato mortale è la paura di sbagliare. Celentano e la Mori lo sanno, per questo preferiscono eccedere piuttosto che spegnersi. Michele Serra