MACCHINA DEL TEMPO GENNAIO-FEBBRAIO 2006, 23 dicembre 2005
Alla scoperta di un universo che ci appartiene, ma di cui non possediamo alcun ricordo: il mondo della placenta, dell’utero materno, di una vita racchiusa in un sacco amniotico, senza sogni e senza ricordi
Alla scoperta di un universo che ci appartiene, ma di cui non possediamo alcun ricordo: il mondo della placenta, dell’utero materno, di una vita racchiusa in un sacco amniotico, senza sogni e senza ricordi. Forse. Ma non è detto. Perché neppure lo sguardo della scienza è ancora riuscito a penetrare fino in fondo al mistero. Anche se le tecniche di analisi sono progredite a livelli impensabili. «Prima della fine degli anni ’60», racconta il professor Augusto Ferrari, direttore della divisione di Ostetricia e Ginecologia della Fondazione Centro S. Raffaele del Monte Tabor, a Milano, «il feto era un’entità misteriosa, inaccessibile. Gli unici modi per verificarne la vitalità e il benessere erano l’auscultazione del battito cardiaco e il dosaggio di alcune sostanze prodotte dalla placenta. Gli anni ’70 hanno visto l’introduzione e lo sviluppo di una metodica che, sfruttando le caratteristiche degli ultrasuoni, consentiva di penetrare i tessuti fornendo immagini di strutture fino ad allora non valutabili, se non con procedure invasive o addirittura con interventi chirurgici: l’ecografia». E prosegue: «Nell’arco di 30 anni, l’evoluzione dell’ecografia ha avuto, per acquisizione di nuove tecnologie e di nuove applicazioni, pochi altri riscontri in medicina. Nel corso degli anni ’80, è stata perfezionata una metodica in grado di fornire informazioni sull’emodinamica (i flussi di sangue) del feto e della placenta: il doppler, continuo e pulsato, successivamente evoluto in color doppler e power doppler. E negli anni ’90 è nata l’ecografia tridimensionale». Ecco alcune incredibili immagini, commentate da Ferrari.