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 2005  dicembre 13 Martedì calendario

La Svizzera e la guerra: i peccati di un Paese virtuoso. Corriere della Sera 13/12/2005. Rispondendo alla lettera di Elia Castelli lei dipinge la Svizzera durante e dopo la seconda guerra mondiale come un Paese ospitale ove gli ospiti andarono a scuola di democrazia

La Svizzera e la guerra: i peccati di un Paese virtuoso. Corriere della Sera 13/12/2005. Rispondendo alla lettera di Elia Castelli lei dipinge la Svizzera durante e dopo la seconda guerra mondiale come un Paese ospitale ove gli ospiti andarono a scuola di democrazia. Questo mi fa piacere vivendo a Zurigo da molti anni. Come si spiega però la campagna diffamatoria contro la Svizzera riguardante i guadagni delle banche svizzere e «l’ oro degli ebrei»? certamente successo, come è accaduto che anche le banche americane abbiano fatto guadagni con il dolore degli ebrei. Ma incolpare una nazione come la Svizzera di collaborazionismo con Hitler mi sembra ingiusto. Che cosa ne pensa? Angelo Cannova Caro Cannova, nel descrivere la politica della Confederazione verso i molti italiani che trovarono rifugio in Svizzera dopo l’ 8 settembre 1943, ho tenuto conto anche di alcune testimonianze personali. Ricordo ancora la simpatia e la gratitudine con cui uno dei maggiori studiosi di letteratura italiana, Giancarlo Vigorelli, rievocava la cordiale accoglienza degli intellettuali ticinesi. E potrei ricordare i sentimenti di molte altre personalità milanesi, da Vittore Ceretti a Dante Isella e Federico Magnifico. Ma è certamente vero che nella storia della neutralità svizzera durante la guerra e in certi atteggiamenti della Confederazione dopo il conflitto vi sono molte ombre. Quasi dieci anni fa, nel 1996, la Svizzera ebbe il coraggio di istituire una Commissione indipendente di esperti. Ne affidò la presidenza a uno dei suoi migliori storici (Jean-François Bergier), le aprì i suoi archivi e le affidò il compito di indagare liberamente su uno dei periodi più delicati e difficili della storia nazionale. La commissione lavorò con scrupolosa obiettività e produsse un rapporto in cui vengono descritti episodi non particolarmente edificanti. Per continuare a lavorare nel Reich, le filiali tedesche delle ditte svizzere non esitarono a congedare i loro dipendenti ebrei e li liquidarono talvolta con indennità inferiori a quelle previste dalla legge. La banca centrale della Confederazione accettò dalla Reichs Bank, come mezzo di pagamento, i lingotti fusi con l’ oro strappato agli ebrei. Le autorità federali sostennero fino al 1942 che i profughi per motivi razziali non potevano considerarsi «politici». E nel dopoguerra infine le banche resero praticamente impossibile la restituzione agli eredi del denaro che gli ebrei avevano depositato presso i loro sportelli in conti definiti «numerici» perché contraddistinti da un numero anziché da un nome. Credo tuttavia che le attenuanti siano numerose e che di esse gli storici debbano tenere conto. La Svizzera viveva di importazioni e dipendeva pressoché interamente dai suoi vicini, fra cui soprattutto la Germania. Se fosse stata invasa dalla Wehrmacht si sarebbe difesa con coraggio nel suo ridotto montano, al centro del Paese. Ma sarebbe stata, prima o dopo, sopraffatta. possibile che nel suo atteggiamento verso gli ebrei vi fosse in alcune circostanze un po’ d’ inconfessato antisemitismo. Ma questo non impedì che il Paese desse prova in molte circostanze di grande umanità. Qualche anno fa l’ editore Dadò di Locarno ha pubblicato un libro («Anni perduti. Dal lager verso la libertà»), in cui una ebrea austriaca, Federica Spitzer, racconta la sua odissea da Vienna alla Svizzera attraverso il lager di Theresienstadt. La sua liberazione ebbe luogo nel febbraio del 1945 quando uno svizzero filonazista (la Provvidenza può essere spregiudicata) accettò la richiesta di alcuni rabbini americani e negoziò con Heinrich Himmler, capo delle SS, la vita di 1200 ebrei contro cinque milioni di franchi. Il viaggio attraverso la Germania distrutta durò tre giorni e si concluse nella stazione ferroviaria di Kreuzlingen quando Fritzi Spitzer, affacciandosi al finestrino, vide sul marciapiede una folla che guardava silenziosamente e lanciava ogni tanto qualche sorriso. Erano gli abitanti della cittadina accorsi con doni di ogni genere. Come ogni Paese la Svizzera ha molti volti. Quello era il suo volto migliore. Sergio Romano