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 2005  dicembre 22 Giovedì calendario

Matrubhoomi, un mondo senza donne

Si intitola Matrubhoomi: un mondo senza donne, ed è un film indiano presentato all’ultima mostra di Venezia. La storia, ambientata in un villaggio indiano, è molto semplice: un padre di cinque figli maschi cerca una sposa per ciascuno di loro. Ed è proprio questo il cuore narrativo del film: perché le spose non ci sono e non ci sono giovani donne libere nel villaggio. Disperato, l’uomo scoprirà che il suo vicino ha tenuto nascosta una figlia, giusto in età da matrimonio, e che solerte è disposto a vendergliela. La soluzione, proposta dall’avido genitore, è addirittura di far sposare tutti e cinque i figli con la medesima ragazza. Detto, fatto. La giovane si vedrà costretta a concedersi ai suoi cinque mariti a turno durante la settimana e, per non sprecare i due giorni ”vuoti” del week-end, anche il padre dei cinque fratelli si infilerà nel letto della nuora. Alla fine, il colpo di scena: la sposa, rimasta incinta, mette al mondo una bambina. Una piccola grande speranza per contrastare un fenomeno reale che da un po’ di tempo colpisce come una sorta di ”tsunami demografico” all’incontrario (o, se preferite, come una terribile carestia) gran parte dell’Est asiatico. Detto in parole semplici, la realtà è questa: in Cina e in India mancano 66 milioni di donne. Dove sono finite? Non nascono, o, brutalmente, non vengono fatte nascere, di proposito. La Cina e l’India da sole rappresentano il 38 per cento della popolazione mondiale e stanno drasticamente cambiando la ripartizione tra i sessi dei loro 2,4 miliardi di abitanti. Si chiama ”sex-ratio”, e misura il numero di nascite maschili ogni 100 nascite femminili. Ora la ”sex-ratio” naturale dovrebbe oscillare da 103 a 106 maschi ogni 100 femmine. Così è in tutto il mondo, e così è sempre stato nella storia. Una costante che ha ragioni complesse, biologiche e genetiche, e che si spiega, in buona sostanza, con una maggiore mortalità infantile maschile. Ma in Cina si è passati da 111 maschi nati ogni 100 femmine nel 1989 al dato allarmante di 117 nel 2000. Così pure in India, dove il fenomeno è forse globalmente di minor intensità: da 106 maschi nel 1991 a 108 nel 2001. Se si considerano poi, più in dettaglio, le regioni del Punjab e dell’Haryana, Stati del Nord dell’India, i dati sono di 125 e 122, mentre in Henan, provincia a sud di Pechino (Cina) il dato giunge all’allarmante soglia di 132 maschi per 100 femmine. Il risultato di questo processo è che in India il numero di uomini è inferiore al numero delle donne di 30 milioni (566 milioni gli uomini; 536 milioni le donne) e in Cina il disavanzo arriva a 36 milioni di donne in meno (676 milioni di uomini; 640 milioni di donne). Sommando, si tratta di un ”ammanco” di 66 milioni di donne, più dell’intera popolazione italiana! Perché si è arrivati a questo? La ragione principale è che, in questi due Paesi, non avere un figlio maschio è vissuto come un dramma. Solo i figli perpetuano la linea familiare, conservano i beni e le terre degli avi e ne proseguono il culto. In India una figlia costa molto: non solo non produce per la famiglia, ma si consacrerà alla gestione dei beni e della casa dello sposo a cui la famiglia della sposa dovrà dare una cospicua dote. Un vecchio proverbio indiano dice infatti: «Allevare una figlia è come innaffiare il giardino del vicino». Nella Cina comunista (anche se risulta davvero difficile definire così l’attuale regime di Pechino) la situazione è ancora più drammatica a conseguenza di una feroce politica demografica che da anni spinge le famiglie a fare un solo figlio (e naturalmente maschio) con strumenti che vanno dall’aborto all’eliminazione fisica (soprattutto nelle campagne) dei neonati di sesso femminile. Se a questo si aggiunge la caduta del tasso di fecondità (in tutto il mondo, ma anche in Cina e in India) e i problemi economici, si capisce perché molti studiosi comincino a preoccuparsi di questo scarto demografico tra donne e uomini a livello planetario. Considerato che, per il ricambio generazionale, il numero medio di figli per donna deve essere di 2,1, in questi paesi che vedono una progressiva riduzione delle nascite femminili, la quota dovrebbe aumentare fino a 2,25. Ma questo è impossibile, visto che il tasso di fecondità cinese e indiano non cessa di diminuire al pari di quello mondiale. In Cina questo tasso è addirittura già sotto la soglia: 1,8 figli in media per donna. Come combattere questo fenomeno è all’ordine del giorno del governo di Pechino, e due sono state le iniziative prese finora, con l’obiettivo di riportare la ”sex ratio” al tasso naturale entro il 2010. La prima è una massiccia campagna mediatica per riabilitare l’immagine della donna, un esperimento già fatto in Corea del Sud e che ha dato risultati incoraggianti. La seconda è quella di proibire l’aborto selettivo e la comunicazione del sesso del nascituro tramite ecografia, provvedimento quest’ultimo comune anche all’India ma considerato dai più risibile, dato il suo facile aggiramento. Sarà l’implosione demografica a mettere in pericolo l’equilibrio tra le Grandi Potenze?