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 2005  dicembre 22 Giovedì calendario

La collezionista di ossa. Vanity Fair 22/12/2005. L’ufficio sembra uguale a tanti altri. Computer, scartoffie, armadi grigi, qualche libro, fotografie appese ai muri, disordine del tipo "trovo tutto lo stesso"

La collezionista di ossa. Vanity Fair 22/12/2005. L’ufficio sembra uguale a tanti altri. Computer, scartoffie, armadi grigi, qualche libro, fotografie appese ai muri, disordine del tipo "trovo tutto lo stesso". Solo un foglietto di carta a quadretti, appiccicato su una vetrina, fa la differenza. Sopra c’è scritto con la biro: "Turni autopsie". Nell’ufficio lavora Cristina Cattaneo, 40 anni che paiono 30. Quando è di turno, scende nel sotterraneo, entra nello spogliatoio delle femmine, indossa un camice blu di carta plastificata, infila i guanti di gomma, e aspetta il beep beep del carrello arancione che porta i cadaveri dalle celle frigorifere al tavolo anatomico. Cristina Cattaneo fa il mestiere di Kay Scarpetta (nei romanzi firmati Patricia Cornwell), di Tempe Brennan (nei romanzi firmati Kathy Reichs), degli specialisti all’opera nella serie televisiva CSI. Esamina corpi senza nome, per identificarli. A Milano, sono una cinquantina all’anno: vittime di incidenti, di delitti, di circostanze sempre tragiche e a volte grottesche. Il celebre architetto Louis Kahn morì nel 1974 per un attacco di cuore nei bagni della Pennsylvania Station di New York. Senza documenti, diviso tra una famiglia legittima e una clandestina, fu riconosciuto solo quando il New York Times pubblicò una sua foto, con la didascalia "chi è?". In Morti senza nome (Mondadori), Cristina Cattaneo racconta una decina di indagini. Qualcuna risolta, qualche altra no. Per singolare coincidenza, esce in libreria assieme a Stecchiti, il best seller di Mary Roach rimasto nella classifica del New York Times per un anno. Sottotitolo: Le vite curiose dei cadaveri. Sulla copertina, due piedi nudi che sbucano da un lenzuolo, con un cartellino appeso all’alluce: "Avevano proposto la stessa immagine anche a me, non l’ho voluta. Noi usiamo il braccialetto". Da dieci anni Cristina Cattaneo dirige il Labanof, Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense dell’Università Statale di Milano. Un mestiere poco adatto a una donna, per rubare la frase alla giallista P. D. James. "I miei sono emigrati da Casale Monferrato al Canada quando avevo sei mesi. Tornavano solo per le vacanze. Mi hanno iscritta a un liceo classico italiano: non mi piaceva e faticavo con la lingua. A diciotto anni, di nuovo in Canada, ho studiato biologia. Poi mi sono innamorata dell’antropologia. Scavavo nelle necropoli, esaminavo resti umani vecchi di secoli. Ho preso una laurea in medicina, saltando i primi tre anni. Il mio professore ha fondato questo laboratorio. Ed eccomi qua".  vero che da piccola, quando le dicevano che qualcuno era morto, chiedeva sempre "di che cosa"? "Vero. Ero terrorizzata. E mia madre rispondeva: ”Ha smesso di respirare”". Quando le chiedono che mestiere fa, che cosa risponde? "Antropologo o medico legale, con le persone appena conosciute. Ma sono tutti curiosissimi, quando cominciano a capire". Nel laboratorio, vicino alla sala delle autopsie, c’è una gabbietta con due criceti. Vivi. Li ha lasciati in affidamento una collega in vacanza. "Si chiama Monica Maldarella. Tocca a lei la parte naturalistica". Alle pareti, campioni di foglie secche. Sulla scrivania, scatoline con insetti. Impossibile non pensare al Silenzio degli innocenti, e alla farfalla con il teschio che campeggia sul manifesto (e sulla bocca di Jodie Foster): "Sono indizi importantissimi, per l’identificazione e la datazione. Segnalano se la morte è avvenuta nel luogo del ritrovamento. O se il corpo è stato spostato". Viene in mente – era in un romanzo di Kathy Reichs anche la bollitura delle ossa, per ripulirle ed esaminarle in mancanza di altri indizi. "Leggerle", dice Cristina Cattaneo quando fa lezione agli studenti e alle studentesse che frequentano il laboratorio (invitandoli poi a consultare la "biblioteca di ossa" in bell’ordine sugli scaffali). Più impressionante ancora è la serie di scatoline, con fotografia, che contengono i materiali relativi ai casi irrisolti. Resta da visitare la stanzetta delle ricostruzioni facciali, regno del collega Davide Porta. Con stuzzicadenti, plastilina l’ultimo strato di colore rosa per aumentare l’effetto verità da un teschio ricostruisce un volto. Un identikit a tre dimensioni, da far circolare il più possibile, anche attraverso Chi l’ha visto? I morti insegnano ai vivi. Sta scritto nelle sale di anatomia. Spauracchio delle matricole iscritte a medicina. Terrore puro per chi sviene alla vista del sangue. "La prima volta è dura per tutti. Poi diventa un lavoro come un altro. Nelle pause si fanno le solite chiacchiere tra colleghi. Per me sono peggio i sopralluoghi. Si vedono gli oggetti personali, gli abiti ancora nell’armadio, la pentola ancora sul fornello. Molto più strazianti di un cadavere". Lei che cos’ha imparato? "Ho capito con che facilità la gente uccide. Ho capito che attorno ai morti c’è la disperazione, ma spesso anche l’indifferenza dei parenti". Guarda mai CSI? Le piace? "Poco, mi sembrerebbe di non staccare dalla routine. Trovo insopportabili i capelli sempre in ordine e il trucco perfetto. La parte tecnica è resa bene. Manca la zona grigia del nostro lavoro. Nella realtà, i tasselli del puzzle non combaciano mai. Preferisco Six Feet Under. I morti sono credibili". Quando non lavora? "Faccio le cose che fanno tutti. Ascolto musica classica, leggo, vado al cinema. Mi occupo dei cani abbandonati. Esco con il mio fidanzato". Mariarosa Mancuso