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 2005  dicembre 21 Mercoledì calendario

La fortuna? Non è altro che la causa sconosciuta di un evento piacevole e apparentemente casuale»

La fortuna? Non è altro che la causa sconosciuta di un evento piacevole e apparentemente casuale». Risponde così a chi gli chiede se esiste la dea bendata Piergiorgio Odifreddi (nella foto a destra), docente di logica all’ateneo di Torino e al dipartimento di matematica dell’università di Cornell, a New York, e autore di Il matematico impertinente (Longanesi & C. 2005). «In questo senso la sfortuna esiste», ammette Odifreddi, «perché ogni evento, anche uno apparentemente casuale, ha sempre una o più cause naturali». La matematica, con il calcolo delle probabilità, ci può aiutare a essere più fortunati? «Non si può certamente andare contro le leggi della natura, che governano anche ciò che per ignoranza noi chiamiamo caso. Una teoria scientifica della fortuna che permetta di vincere alla roulette o ai giochi d’azzardo, non esiste, ma se cerchiamo strumenti per descrivere fenomeni apparentemente casuali, possiamo fare appello alla cosiddetta ”teoria del caos”. Questa teoria usa non solo la probabilità e la statistica, ma anche i sistemi dinamici e le simulazioni computerizzate». I numeri sono numeri, ma il 13 e il 17 nella nostra società sono qualcosa di più... «Questo è un retaggio del pitagorismo, che assegnava a ciascun numero caratteristiche speciali, alcune positive e altre negative. Ad esempio, i pari e i dispari corrispondevano al maschio e alla femmina, al bene e al male, e così via. Naturalmente, si tratta soltanto di convenzioni. Per averne la riprova basta pensare al fatto che in Europa il 13 è considerato un numero fortunato, ma negli Stati Uniti è esattamente il contrario: addirittura, molti ascensori passano direttamente dal 12esimo al 14esimo piano, come se questo impedisse al 13esimo piano di esistere!». Il nostro mondo è tecnologicamente avanzato, ma ancora superstizioso? «Alla superstizione non c’è limite. Quella numerica è probabilmente un sintomo del disagio che l’uomo contemporaneo sente nei confronti di un linguaggio matematico che domina il mondo tecnologico in cui esso vive, ma che egli non comprende, per l’analfabetismo scientifico imperante».