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 2005  dicembre 21 Mercoledì calendario

E’ proprio vero che «la fortuna è cieca ma la jella ci vede benissimo»? possibile spiegare su base scientifica la sindrome di Paperino? Secondo il professor Peter McGuffin, psichiatra della Division of Psychological Medicine all’University of Wales College of Medicine di Cardiff, quello che potrebbe essere definito il ”gene di Fantozzi” consisterebbe nella «tendenza ereditaria a condurre esistenze caotiche o rischiose: nel 1980 facemmo uno studio sui disordini depressivi e ci accorgemmo che non solo la depressione è un fattore ereditario all’interno delle famiglie ma anche la cattiva sorte o comunque il ricorrere di eventi spiacevoli e fortunati»

E’ proprio vero che «la fortuna è cieca ma la jella ci vede benissimo»? possibile spiegare su base scientifica la sindrome di Paperino? Secondo il professor Peter McGuffin, psichiatra della Division of Psychological Medicine all’University of Wales College of Medicine di Cardiff, quello che potrebbe essere definito il ”gene di Fantozzi” consisterebbe nella «tendenza ereditaria a condurre esistenze caotiche o rischiose: nel 1980 facemmo uno studio sui disordini depressivi e ci accorgemmo che non solo la depressione è un fattore ereditario all’interno delle famiglie ma anche la cattiva sorte o comunque il ricorrere di eventi spiacevoli e fortunati». «Credere alla sfortuna spesso può bastare perché si finisca per sentirsi sfortunati», conferma Massimo Polidoro, membro del CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, http://www.csicop.org). «Questo tipo di credenza, come quella nel malocchio per esempio, può determinare una suggestione così intensa da ingenerare in chi vi crede una sorta di predisposizione a cercare occasioni negative e a farsi vittima di disgrazie, secondo ben note tendenze autolesionistiche. In altre parole, credere al malocchio porta male». Un esempio concreto? «Un collega psichiatra del CICAP mi ha raccontato di una paziente che credeva di essere vittima di un malocchio e si era rivolta a un mago», racconta sempre Polidoro, «L’abilissimo mago capì immediatamente la sua debolezza psicologica e ne fece tesoro per il suo lavoro confermando la fantasia della donna attraverso l’utilizzo di alcuni rituali. Alla fine delle sedute (sempre angoscianti e negative, oltre che molto costose), la già provata salute mentale della ragazza si era aggravata. A lungo termine, infatti, la convinzione di essere stata vittima di un evento sovrannaturale e incontrollabile l’aveva portata a interpretare ogni evento, anche il più banale, da un punto di vista paranormale. Si era allontanata sempre di più dal piano della realtà e in lei era aumentato il timore di essere colpita in ogni istante da eventi fuori dal suo controllo e la dipendenza da individui privi di scrupoli».