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 2005  dicembre 21 Mercoledì calendario

Nei secoli la fortuna è stata variamente concepita nella letteratura e nell’arte. Dante, per esempio, nel cielo VII dell’Inferno, l’immaginò come un’«intellegenza celeste ordinata da Dio quale general ministra e duce dei beni mondani, beata nel cielo dove con l’altre prime creature lieta Volpe sua spera

Nei secoli la fortuna è stata variamente concepita nella letteratura e nell’arte. Dante, per esempio, nel cielo VII dell’Inferno, l’immaginò come un’«intellegenza celeste ordinata da Dio quale general ministra e duce dei beni mondani, beata nel cielo dove con l’altre prime creature lieta Volpe sua spera. Il Machiavelli, invece, la riportò sulla terra, sottomettendola, ma come potenza astratta, alla volontà dell’uomo: «La fortuna è donna: ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla» (capitolo XXV del Principe). Nella pittura molti artisti sono rimasti incantati dal concetto di fortuna. Qui accanto vediamo tre belle immagini del passato, scelte fra moltissime per il loro potere evocativo. Nella prima, dal titolo Zingara che legge la mano a un passante (1594 circa), il Caravaggio recupera e rielabora un’iconografia che da sempre aveva accompagnato la figura della zingara: la predizione della buona ventura, attività di immediato e quasi imperituro successo. Le altre due immagini sono entrambe intitolate Allegoria della fortuna: la prima è di Balthasar Nebot (1730-1765), la seconda di Andrea Previtali (circa 1470-1528). Nebot rappresenta la fortuna come una creatura capricciosa (l’instabilità è simboleggiata dai piedi poggiati su una sfera che ruota), che distribuisce favori, ori e onori a casaccio: sono gli uomini che devono afferrare i suoi doni! La dea di Previtali è ancora più instabile (due piedi su due sfere!) e anche bendata, come da sempre la immagina la fantasia popolare.