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 2004  luglio 01 Giovedì calendario

Il generale Wiranto: Timor Est e l’Onu lo vogliono in galera; lui vuole la presidenza dell’Indonesia e intanto parla del tempo con Suharto, Corriere della Sera magazine, 01/07/2004 La politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi

Il generale Wiranto: Timor Est e l’Onu lo vogliono in galera; lui vuole la presidenza dell’Indonesia e intanto parla del tempo con Suharto, Corriere della Sera magazine, 01/07/2004 La politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Come i talk show, le canzoni d’amore, i cd. Basta crederci: una comparsata in tv con la bandiera sulle spalle, un comizio nell’isola che magari ha di recente patito l’ennesima, cruenta resa dei conti fra indigeni e immigrati, cristiani e musulmani. Basta crederci. E il generale Wiranto ci ha creduto. Parecchio. Era l’uomo che negli ultimi anni del governo autocratico di Suharto teneva i fili delle forze armate, muovendosi con spavalda sicurezza nei poteri dell’Indonesia. Adesso può ignorare, o fingere di ignorare, un mandato di arresto che una corte di Timor Est ha spiccato nei suoi confronti con l’avallo dell’Onu per «crimini contro l’umanità» e concentrarsi sulle elezioni presidenziali del 5 luglio, le prime a scrutinio diretto del più popoloso Paese musulmano. La meticolosità è stata da campagna militare, i metodi - appunto - da campagna elettorale all’asiatica. Grazie a questi, l’ex generale ed ex ministro, 57 anni, è riuscito a ritornare sulla scena dopo essere caduto in disgrazia, poi a conquistare la nomination del partito Golkar, il maggiore dell’Indonesia. I mesi scorsi, i sondaggi lo hanno inchiodato a percentuali a una cifra. La presidente uscente Megawati, figlia del padre della patria Sukarno, gli è stata sempre davanti, anche se il suo partito è tutto un sobbollire di faide. Ancora meglio piazzato è stato un altro ex generale, già suo protegé, Susilo Bambang Yudhoyono. Tuttavia Wiranto alla convention del Golkar il 20 aprile - a sorpresa - ha beffato il blindatissimo leader del partito, Akbar Tarijung, e ha incoronato come candidato presidenziale proprio Wiranto: 315 voti contro 227. Viaggi e comizi in ogni provincia dell’arcipelago, dall’ultraislamica Aceh fino all’insofferente, non asiatica Papua. E un messaggio semplice semplice: si stava meglio con Suharto, dopo la sua caduta la democrazia ha portato insicurezza e povertà, io, Wiranto, posso darvi ordine nella libertà. Il timore più che fondato degli osservatori è che, con lui al potere, rientrerebbe in circolo a pieno regime tutto il sistema di interessi, clan, legami e maneggi che almeno fino al 1998 era il potere di Suharto. Wiranto? Il cavallo di Troia del vecchio regime, annotava lo scorso anno la ”Far Eastern Economic Review”. Wiranto è originario di Giava. Questo, nella sua carriera, ha contato più delle umili origini, del padre maestro e senza un soldo. Giava è la matrice dell’«indonesianità» e la culla delle élite postcoloniali. La sua città, poi, è Yogyakarta, e da quelle parti viene anche Suharto, l’ottantatreenne dittatore che nel 1965 strappò l’Indonesia a Sukarno con un colpo di Stato e pogrom da un milione di morti almeno. Diplomato nel 1968 all’accademia militare, sempre nell’esercito, nel 1981 Wiranto venne impegnato a Timor Est, annessa all’Indonesia solo 5 anni prima, teatro di una sanguinosa guerriglia e di abusi su una popolazione favorevole all’indipendenza. L’avvicinamento alle sfere del potere proseguì con speditezza, tra il 1989 e il 1993 Wiranto fu consigliere di Suharto, al contempo conquistandosi anche all’estero una credibilità come esponente moderato e ragionevole della potentissima casta militare e del Golkar. Il credito aumentò nelle convulse giornate della caduta del presidente. Era maggio: ora Wiranto racconta con orgoglio di come seppe tenere a bada i generali che avrebbero preferito una soluzione «cinese» o «birmana» ai moti di piazza, con un frontale ricorso alla forza. Suharto gli offrì di cedergli tutti i poteri, lui disse no: «Sono contento di non aver colto quell’occasione», racconta, «perché ne sarebbe uscito un bagno di sangue. Speravo che se a prendere in mano la situazione fosse stato qualcun altro, le cose sarebbero andate meglio». Così lasciò che a Suharto succedesse il vice Habibie. Gennaio 1999, anno cruciale. Habibie concede a Timor Est la possibilità di decidere, con un referendum, sull’indipendenza e c’è chi ricorda come tra i più stretti consiglieri del presidente c’è proprio lui, Wiranto. Nei mesi che precedono la consultazione organizzata dall’Onu, Wiranto fa la spola tra Giakarta - dove si ritaglia sempre più prerogative istituzionali e assume peso nella cerchia di Habibie - e Timor. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, Wiranto pianifica l’attività delle milizie pro-indonesiane. Lui si difende parlando di un’attività tesa a prevenir massacri peggiori di quelli che si verificarono dopo il voto: 2 mila morti, mezzo milione di sfollati. Ma il sangue di Timor lo bracca. Nel febbraio 2000 Abdurrahman Wahid, islamico moderato da pochi mesi presidente, lo solleva dall’incarico di ministro della Sicurezza, e Wiranto si ritrova a doversi difendere e a reinventarsi un profilo pubblico. Le accuse di «crimini contro l’umanità» a Timor, l’inserimento da parte degli Usa del suo nome nella lista degli indesiderati, ora il mandato di arresto non lo turbano. Australiani e americani lo considerano impresentabile, Brad Adams di Human Rights Watch sottolinea che «il Golkar dovrebbe sentirsi in imbarazzo a farsi rappresentare da un uomo con certe accuse». Lui risponde: «Ingerenze». E in effetti l’impatto che il mandato d’arresto può avere sull’elettorato indonesiano è quasi unanimemente considerato irrisorio. Tuttavia - se il 5 luglio o al ballottaggio del 20 settembre viene eletto Wiranto - la prospettiva di un presidente che rischia d’essere arrestato alla prima visita all’estero non fa piacere. Ma l’ex generale è convinto che anche la verginità si possa conquistare. Il suo candidato alla vicepresidenza è Solahuddin Wahid, fratello minore del presidente che lo esautorò. Professione: attivista per i diritti umani. E Suharto? malato, Wiranto lo va ancora a trovare. «Parliamo di uccelli, del tempo. Come tra padre e figlio». Marco Del Corona