Corriere della Sera 16/12/2005, pag.9 Dino Messina, 16 dicembre 2005
Miriam Mafai: ai tempi del Pci non ci si arricchiva così. Il Corriere della Sera 16/12/2005. «Per carità non fatemi parlare di barche, vestiti di Dolce & Gabbana o di scarpe fatte a mano»
Miriam Mafai: ai tempi del Pci non ci si arricchiva così. Il Corriere della Sera 16/12/2005. «Per carità non fatemi parlare di barche, vestiti di Dolce & Gabbana o di scarpe fatte a mano». Miriam Mafai, scrittrice e giornalista, ex dirigente del Pci, storica firma del quotidiano «la Repubblica», non vuol parlare di Giovanni Consorte, «che non conosco personalmente e di cui ho appena appreso che è iscritto nel registro degli indagati», né del presidente dei Ds Massimo D’Alema, al quale Bruno Tabacci ha attribuito la responsabilità di aver coperto politicamente gli scalatori della Bnl. Più disponibile, l’autrice di «Pane nero», «Dimenticare Berlinguer» e «Botteghe Oscure addio», è a raccontare lo speciale rapporto che la sinistra di una volta, il Pci in particolare, aveva con i soldi. «Che io non considero, come certi moralisti, sterco del diavolo, ma un mezzo per vivere dignitosamente». Questo speciale rapporto, secondo la Mafai, è riassumibile in una parola, «frugalità, dal dopoguerra a oggi mai passata di moda. E con questo non intendo affatto fare la figura della bacchettona: so bene che dagli anni Cinquanta il livello di vita materiale del Paese è migliorato notevolmente, eppure quello stile, quell’etica rimangono sempre validi». L’apprendistato alla sobrietà di Miriam Mafai non ha niente a che fare con la politica, comincia in una famiglia di artisti, dove il padre Mario, pittore tra i fondatori della scuola romana, e la madre Maria Antonietta Raphäel, scultrice, insegnano ai figli che ci sono valori più importanti del danaro. «Così - dice Miriam Mafai - mi sono trovata a mio agio nel clima austero che si respirava nel Pci nell’immediato dopoguerra, non ho avuto molta difficoltà ad abituarmi alle ristrettezze economiche cui mi costringeva il mio ruolo di funzionario comunista in Abruzzo negli anni Cinquanta. Dal punto di vista materiale eravamo dei poveracci». Separata con due figli, agli inizi degli anni Sessanta Miriam Mafai incontrò Giancarlo Pajetta. «Con lui ho vissuto trent’anni e gli rispondevo male quando da Savonarola mi prendeva in giro: non ti vergogni di vivere in una casa così grande? Grande la mia casa di centoventi metri quadrati?». Dipende dai punti di vista. «Quando Pajetta morì nel 1990 vennero a salutarci tanti amici e una serie di personalità. Notai nei loro occhi una punta di meraviglia: come, un alto dirigente del Pci come Pajetta viveva in una casa così modesta? Franco Carraro non si trattenne e mi manifestò lo stupore». Eppure al Pci arrivavano cospicui finanziamenti dall’Unione Sovietica. Come si ponevano i militanti verso questo flusso continuo di denaro? «Non ne sapevamo niente - risponde la scrittrice, che oggi è iscritta nei Ds - . Quando anni dopo ne siamo venuti a conoscenza ci siamo chiesti perché mai il partito non utilizzasse parte di quei finanziamenti per farci vivere un po’ meglio». Lo stile della frugalità accomunava tutti, militanti di base e funzionari, «e anche i parlamentari. So che Pajetta dava al partito sino al cinquanta per cento dello stipendio, e gli stessi imprenditori vicini al Pci. Un editore come Amerigo Terenzi, che di soldi ne maneggiava parecchi, viveva in assoluta sobrietà. Aveva una sola debolezza, per le stampe antiche, peraltro non molto costosa». La frugalità ha le sue stagioni. Con Enrico Berlinguer diventa un distintivo, il suo Pci si identifica con una sorta di diversità etica. «Una posizione - dice la Mafai - che non ho mai condiviso perché porta ad alimentare posizioni semplicemente antipolitiche». Poi arriva tangentopoli, che scopre anche i finanziamenti illeciti al Pci. Primo Greganti, «il compagno G.», va in carcere senza parlare. « un uomo che rispetto - dice la Mafai - perché a quanto mi risulta non ha mai preso soldi per sé ma soltanto per il partito». E oggi? ancora proponibile il rigore al quale è stata temprata la generazione di Miriam Mafai? «Conosco dirigenti del vecchio partito comunista, da Napolitano a Reichlin, che vivono nell’assoluta sobrietà. Lo stesso stile caratterizza il segretario dei Ds Piero Fassino, ma anche tanti dirigenti politici e sindacali ai più vari livelli. E poi non facciamone una questione di destra e sinistra. Sono convinta che anche nello schieramento opposto al mio ci siano tantissime persone perbene che non accetterebbero mai di farsi corrompere. E quando penso al rapporto tra etica e politica, tra stile di vita e impegno pubblico, mi vengono in mente i nomi di Aldo Moro e Ugo La Malfa». Dino Messina