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 2005  dicembre 20 Martedì calendario

Contu Efisio, di anni 76. Sardo, pensionato, quattro figli, viveva con la moglie invalida in un modesto appartamento a Cagliari

Contu Efisio, di anni 76. Sardo, pensionato, quattro figli, viveva con la moglie invalida in un modesto appartamento a Cagliari. Da qualche tempo s’era appassionato all’alcol, che l’aiutava a dimenticare l’ictus improvviso della sua compagna e le preoccupazioni per il terzogenito Gesuino, di anni 47, disoccupato e facile alla depressione. Giovedì scorso se lo ritrovò davanti in corridoio, più agitato del solito, che voleva un po’ di soldi. Lui prese a rimproverargli d’essere un buono a nulla e come al solito finirono a litigare. Percorsi pochi metri fino alla cucina, il Gesuino non volle più starlo a sentire, prese un coltello trovato là in giro e lo affondò più volte nel corpo del padre fino a vederlo stramazzare a terra dove gli fracassò la testa con una chiave inglese. Intorno alle 12 di giovedì 1 luglio, al terzo piano di una palazzina nella periferia di Cagliari. Coppola Ciro, di anni 40. Originario di Pollena Trocchia (Napoli), contrabbandiere, spacciatore, una condanna per estorsione, presunto appartenente del clan Arlistico-Terracciano e una parentela col pregiudicato Viterbo Gustavo, camorrista, ucciso il 20 marzo. Giovedì scorso, mentre faceva una passeggiata in macchina con la moglie ventiseienne Filosa Maria, e le due bambine di anni 6 e 4, d’un tratto s’accasciò sul volante trapassato dai proiettili di probabili sicari che strisciarono pure la spalla della Filosa. Nella serata di giovedì 1 luglio, a Madonna dell’Arco, frazione di Sant’Anastasia, provincia di Napoli. Palombo Giuseppe, di anni 39. Originario di Campobasso, carabiniere da circa un ventennio, scupoloso, gran lavoratore, viveva con la moglie e due bambini (di anni 13 e 10) a Guagnano, in provincia di Lecce. Giovedì sera, il solito giro di perlustrazione assieme al collega Proto Adolfo, di anni 36, fu tirato per la giacca da due ragazzini spaventati. Erano stati picchiati da un Caputo Pierino, di anni 74, pensionato, ex contadino, che li aveva rincorsi con un bastone gridando ch’era stufo del baccano che «voi bambini fate giocando fino a tardi in strada». Il Palombo s’avviò verso casa del Caputo con l’intenzione di farlo calmare, bussò al portone, a malapena il tempo di fare qualche passo indietro e saltò col pettò squarciato dal proiettile di un fucile da caccia. Poco dopo le 22 di giovedì 1 luglio, a Carmiano, dodici chilometri da Lecce. Pillittu Massimiliano, di anni 31. Originario di Carbonia, Cagliari, dove abitava in un appartamento in via Dalmazia. Tirava avanti rubacchiando qua e là, per investire subito i suoi magri guadagni in alcolici e droghe varie. Mercoledì notte tornò a casa ubriaco e trovò sulla porta i compaesani Concas Luca di anni 26, Frau Simone di anni 20 e Foglia Emanuele di anni 18. I tre, forse vittime delle sue piraterie, cominciarono a insultarlo, quindi passarono alle spranghe di ferro per poi sfondargli il cranio con una pietra. Nella notte di mercoledì 30 giugno, a Carbonia, Cagliari. Vismara Angelo, di anni 34. Lombardo, artigiano, fama da bullo, titolare di un’impresa per la pavimentazione stradale a Bagnatica, in provincia di Bergamo. Viveva con una compagna romena e un figlio avuto da una relazione precedente. Parecchi dipendenti immigrati con regolare permesso, ultimamente s’era accanito contro un Enache Adrian, di anni 32, romeno, da un anno assente dal lavoro per via di un incidente e in debito con lui di 3.000 euro. Giovedì scorso decise di spaventarlo un po’ con uno scherzetto e si mise a fabbricare un marchingegno esplosivo simile a un razzo pirotecnico per piazzarlo dentro la di lui Bmw. Uscì tutto contento della sua trovata, raggiunse l’abitazione dell’Enache a pochi chilometri di distanza, e si fermò non appena vide l’auto parcheggiata. Nella mano destra un prisma di cemento per rompere il vetro del finestrino, la bomba da lanciare nella sinistra, la miccia troppo corta non gli concesse il tempo di allontanarsi ed esplose pure lui in mille pezzi. Verso le 3.30 di giovedì 1 luglio, in via Foscolo, a Cenate Sotto, duemila abitanti tra Bergamo e il lago d’Iseo. Zdraila Dumitru Alin, di anni 24. Romeno, capelli corti, sguardo malinconico, labbra tornite, orecchie a sventola, immigrato con regolare permesso di soggiorno, faceva il muratore a Roma dove s’era trasferito da un anno e mezzo assieme al fratello Claudio, di anni 20. Padre poliziotto, madre cardiopatica, una sorella tredicenne, i due avevano lasciato Tirgu Jiu, un paese di miniere di carbone a duecento chilometri da Bucarest, per cercare fortuna altrove. I primi tempi a dormire dove capita e lavoretti saltuari, da un anno avevano preso in affitto un monolocale insieme con due connazionali, 125 euro al mese a persona. Da qualche giorno lui aveva trovato pure un posto fisso da giardiniere, e sognava di tornare a casa per sposare in agosto la fidanzata Alina. Due sabati fa, la cena pronta in tavola, arrivò un Popa Dumitru, di anni 30, operaio, fisico da gigante, tatuaggio tribale sul braccio, ospitato da una settimana in attesa di una sistemazione. Il Popa già alticcio, cominciarono a discutere perché l’Alin sospettava che lui avesse preso una radio avuta da un amico a risarcimento di un prestito. In risposta ebbe una scarica di pugni in faccia. Scappò in giardino per essere rincorso e sentire scricchiolare sotto i calci del tatuato diverse tra costole e ossa del cranio. Cinque persone a ringraziarlo per aver avuto reni, polmoni, cornee e fegato suoi, amici e compagni a far la colletta per pagargli il funerale. Intorno alle 22 di sabato 26 giugno, schizzi di sangue su gradini, selciato e pareti, tra le scale del primo piano e il cortile di una palazzina fatiscente, in un complesso di 36 miniappartamenti all’angolo tra via Gaspare Scuderi e via Andrea Lotti, quartiere Infernetto, periferia sud di Roma. casualità Della Sala Riccardo, di anni 24. Figlio unico, capelli a spazzola, sorriso timido, faceva il direttore responsabile in un centro commerciale Giotto di Fiano Romano e abitava coi genitori a Labaro, un quartiere residenziale sulla Cassia, a Roma. Una passione per il suo lavoro, si concedeva ben pochi divertimenti: la musica e i concerti di Renato Zero (l’ultimo giovedì scorso). Due venerdì fa si lasciò convincere dagli amici e uscì per andare a festeggiare l’inizio dell’estate. Circa trecento ragazzi a ballare e svuotare bottiglie sul bordo di una piscina in mezzo al verde, d’un tratto il Della Sala si ritrovò in acqua senza saper nuotare. Qualche bollicina d’aria in superficie e il suo corpo restò lì a galleggiare. Intorno alle 2 di venerdì 26 giugno, nella piscina condominiale del Castello di Scorano a Capena, in provincia di Roma. Sausa Maria Pia, di anni 48. Palermitana, casalinga, un marito e tre figli. Un tranquillo sabato sera in famiglia, tonno fresco e altre leccornie in tavola, s’accorse all’improvviso di non sentirsi troppo bene. Corse a prendere lo spray contro l’asma sempre a portata di mano fin da quand’era ragazzina, ma non riuscì a trovare nessun sollievo. Pochi minuti e finì in ospedale dove ebbe appena il tempo di render nota la sua allergia ai frutti di mare prima di chiudere gli occhi per non riaprirli. La sera di sabato 12 giugno, nella sala rianimazione dell’Ospedale civico di Palermo.