Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  dicembre 19 Lunedì calendario

Culjaj Vitore, di anni 53. Originaria dell’ex Jugoslavia, robusta, volto indurito, sguardo triste, madre di tre ragazzi non ancora maggiorenni, tirava avanti lavorando come donna delle pulizie a Roma

Culjaj Vitore, di anni 53. Originaria dell’ex Jugoslavia, robusta, volto indurito, sguardo triste, madre di tre ragazzi non ancora maggiorenni, tirava avanti lavorando come donna delle pulizie a Roma. Al quarto piano di via Castellaneta 12, lotto 10 del Quarticciolo, borgata creata dal fascismo in mezzo alla campagna coi palazzi a forma di fascio littorio, era arrivata circa 14 anni fa assieme al marito Mihil Culjaj, di anni 54, montenegrino, immigrato con regolare permesso di soggiorno, custode in un cantiere edile, una passione per l’alcol e facile alla violenza. Stanca di botte, continui litigi, reciproche denunce per maltrattamenti e abbandono del tetto coniugale, da qualche mese la Vitore s’era trasferita da un’amica nell’appartamento accanto al suo. Il Culjaj non era per niente d’accordo. La notte invocava il nome dei figli, di giorno tirava pugni sulla porta e urlava minacce. Martedì scorso s’incontrarono sul pianerottolo e decisero una tregua. C’erano le bollette da pagare, la casa da intestare a nome di lei. S’allontanarono insieme sulla di lui Ape, ma dopo pochi metri già s’accapigliavano. D’un tratto il Culjaj perse la pazienza e imboccò una stradina isolata dove si liberò della moglie con un coltello che affondò più volte sulla gola fin quasi a staccarle la testa. Quindi la ricompose, la sistemò sulla motoretta avvolta da una coperta e puntò dritto al commissariato. Dopo le 10 di martedì 1 giugno, in via Papiria Vecchia, zona Tuscolana, a Roma. Maisto Giuseppe, di anni 17. Originario di Casal di Principe, provincia di Caserta, s’era avviato verso un futuro da malvivente con orgoglioso atteggiamento da bullo. Figlio del collaboratore di giustizia Giacomo, e nipote di un Canterino Sebastiano, prima alleato e poi nemico del clan dei Casalesi, nell’agosto scorso si ritrovò con l’amico caro Pellegrino Romeo, diciassettenne pure lui, in una rissa che concluse lui stesso a colpi di mitraglietta. Finiti entrambi in carcere per tentato omicidio, i due ragazzi non mancarono altre occasioni per mettersi in mostra. Due venerdì fa uscirono insieme, nel cuore della notte, per un appuntamento non si sa con chi, forse con qualcuno dei Casalesi che cercavano di frenarne gli entusiasmi per non destare l’attenzione della polizia. La testa spappolata da un colpo di pistola, furono ritrovati sabato 29 maggio nelle campagne di Castelvolturno, Caserta.