19 dicembre 2005
Cirillo Carlo, di anni 43. Campano, alto, capelli castani ancora folti, sorriso mite, impiegato in una società farmaceutica di Torre Annunziata (Napoli) e agente immobiliare per arrotondare lo stipendio nel tempo libero
Cirillo Carlo, di anni 43. Campano, alto, capelli castani ancora folti, sorriso mite, impiegato in una società farmaceutica di Torre Annunziata (Napoli) e agente immobiliare per arrotondare lo stipendio nel tempo libero. Viveva a Pompei assieme alla moglie Cascata Elena, di anni 41, casalinga, una bambina di anni 7 e un maschio di 11. Una vita dedicata alla famiglia, ultimamente s’era concesso, unico lusso, una bella Bmw 525 nuova di zecca. E quasi per gioco, annoiato da un lavoro di poche soddisfazioni, aveva accettato di candidarsi alle prossime elezioni comunali nella lista civica ”Federazione Democratica”. Lunedì scorso, come d’abitudine, uscì di casa alle 7. Ma circa un’ora dopo avvertì i suoi colleghi che avrebbe tardato e tornò indietro. La moglie lo vide rientrare a casa pensoso in cerca di alcuni documenti che aveva dimenticato. La lasciò per andare a incontrare un tizio sconosciuto che lo decapitò con un’ascia portandosi via la testa, l’auto e il cellulare. Fu ritrovato giovedì 27 maggio sul raccordo Nola-Villa Literno, in provincia di Caserta. Dutu Mariusz, di anni 24. Romeno, clandestino, abitava in casolare abbandonato a ridosso della ferrovia Roma-Lido vivacchiando con lavoretti occasionali. Due lunedì fa, qualcuno lo raggiunse nella notte per trascinarlo in strada a piedi scalzi, indosso jeans, maglietta e giubbotto. D’un tratto, chissà perché, cominciò a colpirlo aiutandosi con un oggetto pesante raccolto lì in giro fino a lasciarlo con la schiena spezzata in una scarpata dietro il parcheggio dell’Ipermercato ”Gs” di via Fosso del Torrino, a Roma. Gedro Igor, di anni 30. Ucraino, immigrato a Roma in cerca di lavoro, s’arrangiava con espedienti e furtarelli. Espulso a marzo dopo una condanna per rapina, non era mai partito, consumava i pasti nei centri d’accoglienza del quartiere Flaminio e dormiva sull’erba dietro una cortina di siepi e rovi a villa Borghese. Due domeniche fa, s’incontrò con un gruppo d’immigrati affezionati del luogo che pensarono di sgraffignargli qualche soldo. Quando si resero conto che non ne avrebbero ricavato un bel niente, presero il Gedro a calci e pugni, prima di fracassargli la testa a bastonate. Nel tardo pomeriggio di domenica 16 maggio, in via Madama Letizia, a Roma. Pezzano Silvano, di anni 54. Originario di Carife (Avellino), operaio, trent’anni di lavoro in America dove aveva lasciato una moglie per tornarsene al paese d’origine la scorsa primavera assieme al figlio Eugenio, di anni 24. Da qualche tempo era preoccupato per quel suo ragazzo troppo emotivo, che parlava poco l’italiano e non s’adattava alla nuova vita. Circa una settimana fa, se lo trovò davanti carico di rancore per averlo convinto a lasciare gli Stati Uniti. Provò a farlo ragionare ma l’Eugenio s’indispettì tanto che gli spaccò il viso con la sua mazza da baseball. Aspettò giovedì scorso per annunciare la scomparsa del padre ai parenti, che trovarono il Pezzana in decomposizione nella camera da letto della sua abitazione in via Belvedere, a Carife.