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 2005  dicembre 18 Domenica calendario

WANG XIAOSHUAI Shanghai (Cina) 22 maggio 1966. Regista. Studia cinema a Pechino. Il suo film d’esordio, The Days, gli attira le ire della censura

WANG XIAOSHUAI Shanghai (Cina) 22 maggio 1966. Regista. Studia cinema a Pechino. Il suo film d’esordio, The Days, gli attira le ire della censura. Per girare il secondo, Frozen, deve ricorrere a uno pseudonimo, Wu Ming. Quindi il successo internazionale a Berlino con Biciclette a Pechino e a Cannes con Shanghai Dreams • «[...] Lo avevano messo all’indice. ”Ero nella lista nera. Alle imprese del settore cinematografico era stato imposto di non finanziare e di non produrre le mie opere”. Guai a parlare di lui e con lui. ”Nella redazione della televisione di Stato c’era un cartello: oscurare Wang”. Poi si sono un po’ ricreduti. Anche in Cina nonostante la stretta autoritaria il tempo non passa invano. Adesso prima di allacciargli il bavaglio ci pensano due o tre volte. un osso duro. Uomo semplice e tenace. Colto e sensibile. Volto rotondo, capelli cortissimi, occhiali di forma rettangolare, lineamenti che lo rendono ancora più giovane di quello che è. Un intellettuale classe 1966, regista stimato in Europa. Ha vinto un Orso d’argento al Festival di Berlino con Biciclette a Pechino, mai distribuito in Cina. ”Quando rientrai in patria il premio che ricevetti dalle autorità fu una decisione assurda: ti è vietato girare qualsiasi film”. Ha vinto pure a Cannes [...] per Shanghai Dreams [...] L’unica pellicola di Wang Xiaoshuai che ha ottenuto il via libera nella Repubblica Popolare. Grande la risposta del pubblico cinese. Storia di marginalità. Storia di coraggio. E il coraggio di ribellarsi al Potere è il filo che unisce la vita al lavoro di Wang Xiaoshuai.
Il papà era soldato ma nell’esercito si occupava d’arte e di musica. La mamma lavorava in una fabbrica che fu trasferita quando lui aveva appena due mesi. La famiglia lasciò Shanghai e si fermò in un distretto povero della provincia Guizhou. ”Ognuno di noi inseguiva il sogno di fuggire dalla fame”. Condizionato dalla passione del padre per la pittura e per le canzoni, Wang Xiaoshuai coltivò il suo di sogno. Che era quello di andare a studiare all’Accademia di Pechino. Ci riuscì. E da lì, dai corsi di cinematografia, cominciò a realizzare che con la macchina da presa si poteva sfidare l’ordine del silenzio che annulla ogni diritto. ”Molto più efficace di inutili discorsi”. Il 4 giugno 1989 è una data che la Cina ufficiale ha cancellato. Eppure tanti ex ragazzi scampati alla repressione li ritrovi oggi nella società con le loro idee che non sono affatto cambiate. Professori nelle università, giornalisti con posti di responsabilità in settimanali e tv. E registi. Le contraddizioni di questo Far West del terzo millennio. ”La sera del 4 giugno ero per le strade. E quelle immagini sono ancora nei miei occhi. troppo presto per pensare alla possibilità di girare un film sugli eventi di piazza Tienanmen ma credo che l’occasione ci sarà. Contro la censura dobbiamo usare la testa. Poco alla volta si conquistano spazi importanti. Certo, a volte, serve anche una discreta dose di incoscienza per sconfiggere l’angoscia di sentirti braccato e impedito nell’arte che ami”. All’indomani delle manifestazioni degli studenti, Wang ormai laureato all’Accademia fu trattato come un pericolo pubblico. Eppure lui al cinema non rinunciò. ”Mi disinteressai di ciò che il Potere mi aveva imposto. E avviai clandestinamente le riprese del primo film, The Days, nel 1993. Come del resto per quelli successivi. Io riprendevo nelle strade. Se mi fermavano dicevo che stavo esercitandomi, che stavo facendo i compiti di studente dell’Accademia”. E così è andata. Per Frozen firmato con uno pseudonimo nel 1995 e per Biciclette a Pechino nel 2001. Un bel giorno nel novembre 2003 la commissione centrale per i film convoca i giovani registi della Cina. ”Azzeriamo il passato”. Un passo avanti, non c’è che dire. Salvo comunque l’obbligo di presentare un riassunto della sceneggiatura in un migliaio di parole e di aspettare l’autorizzazione al primo ciak. Nacque Shanghai Dreams. Ma non poteva filare tutto liscio. Perché la censura sollecitò Wang Xiaoshuai a ritoccare la trama. Alla fine del film ci sono sei colpi di pistola e sei morti. Per l’autorità quei colpi di pistola rappresentavano un’immagine distorta della Cina. Troppo violenta. Gli hanno chiesto di ridurli a tre. ”Ho accettato. Ciò che contava non era il numero dei colpi di pistola ma la metafora. La Cina che archivia una fase della sua storia”. [...]» (Fabio Cavalera, ”Corriere della Sera” 18/12/2005).