Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  dicembre 16 Venerdì calendario

NICCOLAI

Giulia. Nata a Milano nel 1934. Poeta. «[...] ha dato vita, insieme ad Adriano Spatola, alla rivista ”Tam Tam” [...] All’inizio degli Anni Cinquanta è stata una fotoreporter, una delle più brave. Ha lavorato per ”Epoca” diretta da Biagi, per ”Settimogiorno”, ”L’Illustrazione italiana”. Era nel gruppo del Jamaica, con Mulas e Dondero. Ma nel 1963 ha lasciato la fotografia. Perché? ”Pensavo che fotografare mi permettesse di vedere i retroscena della vita. Nel 1960 sono andata in America e ho fatto un reportage. Poi mi sono accorta che i giornali manipolavano le mie foto, le usavano in un modo scorretto eliminando tutto quello che disturbava. Allora ho smesso”. ”Como è trieste Venezia...” è il suo verso più famoso, ma anche ”Forse che sì/forse Queneau” non è da meno. Giulia Niccolai è una delle voci poetiche più originali del dopoguerra. Due soli libri, Harry’s Bar e altre poesie 1969-1980, pubblicato da Feltrinelli con prefazione di Giorgio Manganelli, e Frisbees (poesie da lanciare), uscito da Campanotto Editore nel 1994, divertente, leggero ma anche sommamente elaborato e complesso, come la lingua dei sogni da cui sembra provenire. Un libro ”molto Snoopy”, le ha detto un amico. A pubblicarlo ha fatto fatica, ma è stato accolto con grande entusiasmo da chi ha avuto la fortuna di leggerlo. Come è stato possibile che da fotografa diventasse una poetessa? ”Volevo sempre scrivere. Le due cose insieme: fotografare e scrivere. Nel 1964 sono andata a Reggio Emilia, al secondo incontro del Gruppo 63. Mi avevano invitato come fotografa. Poi ho scritto un romanzo, Il grande angolo, uscito nel 1966 da Feltrinelli grazie a Balestrini. Da quel momento in poi ho continuato solo a scrivere”. La Niccolai è stata molto amica di Manganelli che le ha dedicato un bellissimo testo di presentazione in cui la paragona a una Shérézade in preda alla glossolalia. ”L’ho conosciuto a Reggio e mi è parso subito simpaticissimo. Non si dava come altri grandi arie; era un mesto professore con la vita che gli pesava sulle spalle, ma in compenso era spiritosissimo. Gli ho mandato un racconto e gli ho chiesto: Posso fare la scrittrice? Puoi, puoi, mi ha risposto. In quel periodo sono andata a vivere a Roma. Avevo grandi angosce e ne ho parlato con lui. Mi ha consigliato di fare l’analisi. Ho trovato un freudiano, Bellanova, che era stato pilota nella prima guerra mondiale; aveva scritto un libro futurista sul volo. Ma intanto cominciavo a vedere con assiduità Giorgio; mi faceva da secondo analista. Sei mesi dopo ho incontrato Adriano Spatola ed è cominciata una storia d’amore. In breve, ho lasciato l’analisi. Nel frattempo c’è stato il Sessantotto. La neoavanguradia era stata travolta dalla politica. Aveva chiuso ’Quindici’ la rivista. Allora con Spatola ci siamo detti: ’Noi vogliamo continuare a occuparci di poesia, non di politica!’ Così abbiamo deciso di spostarci a Mulino di Bazzano, in provincia di Parma, nella casa di Corrado Costa, il poeta che faceva l’avvocato. Era il 1970-71. Lì abbiamo cominciato a stampare ’Tam Tam’”. C’è rimasta nove anni, durante i quali la sua casa è stata il punto di riferimento della neoavanguardia italiana e straniera. Ha curato con Spatola una piccola casa editrice che ha tenuto vivo il lavoro poetico attraverso tutti gli Anni Settanta, almeno fino a Castelporziano, al grande raduno di poeti che ha segnato la fine dell’epoca clandestina, il ritorno alla letteratura, dopo la piccola glaciazione del decennio.
’Spatola temeva che l’avanguardia si fermasse, per questo facemmo Tam Tam, tanti numeri e più di cento libri. Ma aveva torto. L’avanguardia è una corrente di rottura, esprime un bisogno di apertura. Poi finisce. E così è stato. L’avanguardia era terminata e restavano solo gli epigoni. Nel 1979 ho lasciato tutto e sono tornata a Milano, anche i negativi delle mie foto”. Molte poesie sono in inglese. ”Sono figlia di un’americana. Fino a sei anni parlavo italiano, avevo paura a rispondere a mia madre in inglese, poi di colpo mi sono sentita sicura. Sono stati i giochi di parole nelle due lingue a liberarmi la fantasia”. Manganelli, che l3ha battezzata poetessa, ha scritto del suo debito con Lewis Carroll, con Alice. Da cosa si è liberata? ”Dalla patina costante di non spontaneità, dalla retorica, dalla maschera. I giochi di parole sono trasgressivi”. Nella personalità di Giulia Niccolai si percepisce qualcosa di trasgressivo, che esorbita dalle norme: le trapassa, senza tuttavia accedere alla sfera dell’aggressività. Semmai la sua poesia rivolge l’aggressività verso di sé, la patisce, e ce la restituisce sotto forma di humor; è il suo modo di essere spiritosa. [...] ”Se ho fatto uno sbaglio in quegli anni, in cui andavo continuamente in giro a fare letture di poesia, è stato credere di tenere lontana la sofferenza con la poesia”. I suoi Frisbees sono umoristici e insieme tragici. Nel 1980 Giulia ha avuto un ictus. ”Ci ho messo 4-5 anni a riprendermi. Se leggo ad alta voce, faccio ancora degli errori. Quando sono uscita dall’ospedale dovevo consegnare una traduzione all’Archinto. Mi ero mantenuta così in quegli anni, traducendo la Stein, libri quasi intraducibili anche per me. Le ho fatto sapere che non ci sarei riuscita attraverso una persona. Questa, una donna, mi dice, siamo nel giugno del 1985: Vado a sentire una conferenza di un Lama tibetano. Vuoi venire? Piglio un appuntamento alla fermata del metrò, ma lei non viene. Vado ugualmente; entro nella sala e mi siedo in fondo. Il Lama parlava della ruota del tempo e mentre esponeva provavo la sensazione che stesse rispondendo a ciascuna delle domande formulate da me un attimo prima. Ho avuto l’impressione che leggesse il pensiero. Sono tornata a casa dopo una permanenza nella Legione straniera durata 50 anni”. Giulia si è fatta buddista, e nel 1990 ha preso i voti: è monaca; l’hanno ordinata in India. Cosa significa? ”Che ho degli obblighi maggiori degli altri verso i Lama. Medito tre o quattro ore al giorno”. E poesia continua a scriverne? ”Certo. Con i Frisbees ho sentito di aver raccontato qualcosa di me stessa, in modo profondo. Fino al 1983 avvertivo che il gioco della poesia era invidia: invidiare ed essere invidiati. Quando ho capito questo, ho provato un profondo disgusto. Facevo le letture pubbliche ed era una specie di galera. La poesia ora mi aiuta a capire. E mi fa anche compagnia”. La sua casa assomiglia all’atelier di un pittore. Cose abbandonate negli angoli, forse da decenni: una corda d’alpinista su una porta, mucchi di libri, antichi schizzi di caffé sul muro vicino alla cucina. [...] ricorda la casa di Giacometti, lo studio di Bacon. [...] Nella poesia di Giulia Niccolai l’esperienza è tutto. Attribuisce grande importanza alle coincidenze. Nel corso della conversazione ne enumera numerose. Sono queste ad avere deciso della sua vita: ricorrenze di numeri, incontri casuali, corrispondenze, illuminazioni improvvise. Sulla copertina di Esoterico bigliardo c’è il Pensatore di Rodin. ”Un giorno meditavo e mi sono chiesta: perché uno che pensa è nudo? Era un pensiero che avevo fatto a 5 anni, e me n’ero dimenticata. Di colpo mi sono trovata proiettata in quel momento, sono tornata indietro, ai miei 5 anni. Un’esperienza incredibile”. [...]» (Marco Belpoliti, ”La Stampa” 16/12/2005).