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 2005  dicembre 16 Venerdì calendario

Freschi Elisa, di anni 18. Disabile dalla nascita, allegra e fiduciosa, viveva in una casetta a schiera a San Polo d’Enza, Reggio Emilia, col papà Amos, agricoltore, mamma Giuliana, casalinga, un fratello di anni 26 e una sorella quattordicenne

Freschi Elisa, di anni 18. Disabile dalla nascita, allegra e fiduciosa, viveva in una casetta a schiera a San Polo d’Enza, Reggio Emilia, col papà Amos, agricoltore, mamma Giuliana, casalinga, un fratello di anni 26 e una sorella quattordicenne. Qualche anno fa un incidente d’auto aveva peggiorato le sue condizioni. Camminava con difficoltà, ma poteva leggere, scrivere, passava ore a guardare la tv, usciva di tanto in tanto a fare la spesa e frequentava con impegno la quarta ragioneria nella vicina Montecchio. Unico rimpianto, non esser bella come le sue amiche e non avere un fidanzato. Due sabati fa arrivò a scuola intorno alle 8, ma nel giro di un paio d’ore accusò mal di pancia e chiese di tornarsene a casa. S’offrì d’andarla a prendere nonno ”Cucco”, un Bertozzi Francesco, di anni 76, pensionato, separato dalla moglie Carmen e legatissimo a quella nipote sfortunata. Entrata in macchina, la Freschi ebbe una delle sue solite crisi improvvise e cominciò a urlare. Il Bertozzi pensò di fermarsi in un parcheggio poco distante dalla scuola per farla calmare e tentò di metterla a tacere premendole due dita sulla gola. Chissà perché d’un tratto cambiò idea, realizzò che avrebbe potuto metter fine alle sofferenze della ragazza e strinse più forte finché non la vide accasciarsi sul sedile reclinato della sua Seat blu. Poi telefonò alla moglie: «Elisa è morta, ora m’ammazzò anch’io». Vagò per due giorni prima di consegnarsi alla polizia, barba rasata di fresco, giacca blu, cravatta e gilet rosso, quattromila euro nella tasca dei pantaloni. Intorno alle 10.30 di sabato 8 maggio, a Montecchio, Reggio Emilia. Previato Anna, di anni 60. Originaria del ferrarese, capelli chiari raccolti a crocchia su un volto appesantito dall’età, sguardo rassegnato, un marito perso in un incidente di camion che la lasciò vedova con tre maschi e due femmine a carico. Aveva poi avuto un altro amore e un figlio ancora. Da circa un anno viveva con due dei suoi ragazzi in un casolare modesto e isolato a Castelnovo Sotto, nella Bassa reggiana. Abituata alle difficoltà economiche, si preoccupava piuttosto per il suo ultimogenito, uno Schiavi Christian, di anni 20, disoccupato dal carattere ribelle, piccoli precedenti e lunghi periodi lontano da casa. Una sera di dieci giorni fa lo sorprese in camera da letto che frugava nel comò cercando soldi, già in tasca due cellulari e un orologio. Lei ne fu amareggiata al punto da restare senza fiato. Lui forse se ne vergognò, di certo fu preso dalla rabbia e reagì squarciandole pancia e cuore con un coltello da cucina. La mamma riversa sul letto a dissanguarsi, lo Schiavi appoggiò una scala a una finestra del primo piano, gettò all’aria carte e stoviglie, svuotò cassetti. Poi salì sul motorino per liberarsi degli abiti sporchi e dell’arma, e inventò una serata di baldoria a Parma. L’alibi crollò la mattina dopo, al primo interrogatorio. Intorno alle 23 di venerdì 7 maggio, in una casa colonica fatiscente a Castelnovo Sotto, Reggio Emilia. Emigranti Di Luciano Giuseppina, di anni 21. Nata a Fürth in Baviera, sempre sorridente, lavorava come aiutante nella cucina di una mensa aziendale della sua città dove viveva assieme alla madre Ulrike e al padre Renato, siciliano. Svago preferito il computer, passava il tempo libero nelle chat-line. Qui aveva conosciuto un R. Marco, di anni 31, e tre mercoledì fa uscì per andare a prendere la metro, direzione Norimberga, dove l’avrebbe incontrato. Lui passò subito al sodo e cercò di costringerla a fare l’amore. Lei si rifiutò. Allora quello, in libertà da cinque mesi dopo aver scontato una condanna per atti osceni, la finì con colpi di lama al viso e al torace prima di gettarla nel fiume Pegnitz. Fu ritrovata cinque giorni dopo, su indicazioni del ragazzo. Mercoledì 28 aprile a Norimberga.