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 2005  dicembre 15 Giovedì calendario

Caiaffa Daniele, di anni 23. Originario di Lecce, tranquillo e gioviale, studiava per diventare avvocato come il papà Giangaetano e il fratello Giancarlo

Caiaffa Daniele, di anni 23. Originario di Lecce, tranquillo e gioviale, studiava per diventare avvocato come il papà Giangaetano e il fratello Giancarlo. Da febbraio si trovava in Romania con una borsa di studio Erasmus e ogni giorno chiamava la mamma per dirle che stava bene. Appassionato di calcio, era tutto contento perché domenica scorsa il Lecce aveva battuto la Juventus. Il giorno dopo s’organizzò con un compagno spagnolo e due amiche per andare a far baldoria in discoteca. Una nottata a scatenarsi sulla pista, uscirono ancora frastornati dalla musica e forse da qualche birra di troppo. Per strada due romeni si misero a importunare le ragazze, il Caiaffa ne prese le difese e d’un tratto si ritrovò un coltello nella pancia. Nella notte di lunedì 26 aprile, all’uscita di un locale di Cluj-Napoca, vicino Timisoara, in Romania. Destratis Joseph, di anni 17. Nato a New York da emigranti italiani, robusto, capelli corti, mite e generoso, da qualche anno viveva col padre Lino e la zia Maria Luisa a Oria, in provincia di Brindisi. La madre Anna s’era separata dal marito quattro anni fa ed era rimasta negli Stati Uniti. Lui s’era lasciato affascinare da racconti nostalgici sulla sua terra d’origine e s’era trasferito con la sensazione del sopravvissuto nel cuore: l’11 settembre 2001 passeggiava col papà vicino alle Torri Gemelle e ne respirò il polverone. Ultimamente non faceva che pensare a un Fullone Francesco di anni 61, falegname, pregiudicato, moglie e tre rampolli, una passione per le ragazzine compresa una Simona dagli occhi neri, amica della figlia, che aveva violentato non ancora diciottene un anno e mezzo fa, e che continuava a perseguitare. Simona era pure amica del Destratis e lui s’era messo in testa di convincere il Fullone a lasciarla stare. Due martedì fa accettò d’incontrarlo in un luogo appartato per chiacchierare e salì sulla di lui Fiat Uno dove c’erano pure Mattarelli Ivan, di anni 27, e Caffa Luigi, di anni 20. Arrivati in spiaggia fu costretto a telefonare alla ragazza per dirle «non posso fare niente per te». Poi si ritrovò col fil di ferro intorno ai polsi e il corpo bloccato da mani pesanti. Vide alzarsi un martello e stramazzò a terra col cranio fracassato da più e più colpi. Poco prima del tramonto di martedì 20 aprile, sulla spiaggia ionica di Manduria, provincia di Taranto. Melandri Bruna, di anni 53. Due figli già grandi, trent’anni di matrimonio con un Valtorta Giancarlo, di anni 54, operaio, da un paio di mesi accudiva giorno e notte un medico novantenne e aveva lasciato la casa di famiglia acquistata con fatica e col mutuo ancora da pagare a Garbagnate. Negli ultimi tempi non andava più d’accordo col marito e aveva deciso di lasciarlo. Lui avrebbe preferito vivere da separati in casa, pur di restare con lei, e se n’era fatto una malattia. Martedì scorso, il suo accudito momentaneamente in ospedale, la Melandri fu svegliata intorno all’una da una telefonata del Valtorta che diventò subito violenta discussione. Un’ora dopo se lo vide arrivare di persona in cerca di un chiarimento. Ormai esasperata gli urlò in faccia che aveva un altro uomo e ne ebbe in cambio venti coltellate su tutto il corpo. Lei rantolante che si dissanguava sul pavimento, il Valtorta fece un giretto in macchina, svuotò la bottiglia di vino che s’era portata dietro insieme a una valigetta con pochi vestiti e telefonò ai carabinieri. Intorno alle 2 di martedì 27 aprile, in un appartamento di via San Francesco d’Assisi, zona Porta Romana, al centro di Milano. Turchi Halitogullari Nuran, di anni 14. Originaria di Van, Iran, graziosa e piena di vita, abitava a Istanbul coi genitori che l’avevano costretta a lasciare la scuola in terza elementare. Picchiata dal padre ogni volta che si rifiutava di portare il velo in testa, poteva uscire solo con la madre. Nonostante le difficoltà s’era fidanzata con un Sevnic Mevlut, di anni 20, e progettavano di sposarsi. La mattina del 30 marzo uscì di casa in pantofole per andare al mercato. Non si sa se fu una fuga per un matrimonio riparatore o un rapimento, fatto sta che passò quattro giorni nella casa del ragazzo e ne fu ripetutamente violentata. Forse se ne pentì e alla prima occasione scappò dalla finestra. Al suo ritorno, mercoledì 7 aprile, fu accompagnata dal padre Hanifi e dal fratello diciassettenne Alaattin in casa di una sorella sposata, dove l’Hanifi, sordo alla preghiera di lei, «non uccidermi», le strinse al collo un cavo elettrico per lavare l’onore della famiglia. Chiusa in sacco e sepolta sotto una catasta di legna in una fattoria del quartiere Poloneskoy, fu trovata dalla polizia qualche giorno fa.