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 2005  dicembre 07 Mercoledì calendario

La caduta di Costantinopoli. Il Messaggero 07/12/2005. Caro Signor Gervaso, amo molto la storia, specialmente quella medievale

La caduta di Costantinopoli. Il Messaggero 07/12/2005. Caro Signor Gervaso, amo molto la storia, specialmente quella medievale. Mi appassionano in particolare le vicende dell’Impero bizantino, di cui vorrei sapere di più. Come si arrivò, da parte dei turchi, alla conquista della capitale fondata da Costantino e che conobbe stagioni felici e d i grande splendore?Quali furono le cause e chi furono i maggiori responsabili di una crisi così lenta e d i un crollo così clamoroso? Vittorio Monini - Arezzo Nel 1204, sull’Impero romano d’Oriente si abbatté l’ondata devastatrice della quarta crociata, che sbalzò dal t rono l’inetto basileus Isacco Angelo, mandò in frantumi il suo regno, edificò, su quelle ceneri, u n nuovo Impero. Un Impero chiamato latino e che lasciò pessimi ricordi. Ma non ebbe vita lunga:non durò nemmeno sessant’anni. Quanti bastarono per spezzare la già fragile unità del Paese. Nel 1261 l’Impero latino si dissolse per autocombustione e Michele Paleologo restaurò quello bizantino. La splendida, superba, opulenta Costantinopoli dell’undicesimo secolo, con il suo milione e mezzo di abitanti, i palazzi da ”Mille e una notte”, le fastose ville sul Bosforo, i lussureggianti boulevard, i salotti cosmopoliti, i night alla moda, le celebri cortigiane era degradata a squallida e desolata bidonville. L’imperatore, in balia delle fazioni di corte e dei volubili umori dei generali, era il simbolo fatiscente e screditato di una tradizione anacronistica e d i un potere cui era no venuti a mancare i naturali puntelli. Quello economico aveva ceduto sotto il peso delle crociate, specialmente la quarta, mentre gli effimeri principati, frutto della sua divisione, erano stati, dal punto di vista amministrativo, un’autentica catastrofe. L’instabilità politica, la precarietà dei confini, la mancanza di fondi, la rarefazione degli investimenti, l’arretratezza tecnica, l’insicurezza dei contadini e i l conseguente esodo dalle campagne avevano precipitato l’agricoltura, pilastro dell’economia bizantina, nel caos. Sorte non migliore aveva avuto il commercio a causa delle grandi difficoltà di comunicazioni. Anche il puntello militare era venuto meno. Non c’era più un esercito, ma una miriade di milizie turbolenti e rapaci, refrattarie a ogni ideale di nazione e d i patria, animate esclusivamente all’uzzolo del saccheggio. Quando, nel 1261, dopo cinq uantasette anni di totale anarchia, i Paleologhi cercarono di restituire all’Impero l’antica completezza e potenza, i germi della disgregazione l’avevano già roso alle radici. Nei due secoli successivi, esso non fece che indebolirsi e sfilacciarsi. Alla vigilia del crollo, non era che una larva. Nel 1453, per i t urchi, sarà un gioco spazzarla via. Originari dell’Asia centrale, essi avevano abbandonato gli altipiani dell’Anatolia. Erano cavalieri fo rmidabili, possedevano scarse nozioni di agricoltura, vivevano in rozze capanne. Le loro principali fonti di sussistenza erano la pastorizia e la caccia. Al momento dell’insediamento nell’Asia Minore erano pagani. Invano i missionari greci avevano cercato di convertirli al Cristianesimo. Quando decisero di ripudiare la fede degli avi, gli ottomani abbracciarono quella maomettana, tanto più congeniale al loro temperamento e a i loro costumi. In pochi decenni, con prodigiosa rapidità, seppero darsi un’organizzazione politica e militare e d a tribù assurgere a nazione. L’artefice di questo miracolo fu il sultano Murad. I suoi successori non lo fecero rimpiangere. Amministrarono anche loro con lungimiranza e sagacia, allargando i confini dell’Impero in Asia e nei Balcani. Un’espansione epica che ebbe appunto il suo suggello nella conquista di Bisanzio. Le cause di questo evento epocale sono state acutamente analizzate da Steven Runciman nella ”Caduta di Costantinopoli”. Runciman è uno specialista di civiltà bizantina e del grande storico ha la sintesi, la capacità di cogliere le implicazioni e i nessi politici, economici, morali di un avvenimento o d i u n processo storico, e quella d’inquadrarli e d i renderli vivi. La sua penna asciutta, scorrevole, imparziale indulge sapientemente all’aneddoto, alla nota umana, al dettaglio descrittivo. Con Edwin Pears è i l migliore rievocatore della caduta di Bisanzio e i l più sagace interprete dei suoi antefatti e dei suoi effetti. Per l’Europa, questi furono disastrosi perché fecero del Mediterraneo orientale un immenso lago turco, mettendo alla mercè del Sultano le flotte veneziane, genovesi, francesi, catalane e strappando alla Serenissima il primato commerciale nel Levante. A una civiltà ne subentrò un’altra, meno raffinata, ma anche meno corrotta. L’Islam scalzò il Cristianesimo e cessarono le interminabili diatribe teologiche che, per undici secoli, avevano avvelenato e insanguinato l’Impero bizantino. Roberto Gervaso