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 2005  dicembre 15 Giovedì calendario

Chinaglia Leonardo, di anni 2. Dopo la recente separazione dei genitori, viveva a Turbigo (Milano). Con lui la madre, Manzin Laura, di anni 39, originaria di Robecchetto con Induno, casalinga, depressa, sopravvissuta suo malgrado a una sfilza di tentativi di suicidio

Chinaglia Leonardo, di anni 2. Dopo la recente separazione dei genitori, viveva a Turbigo (Milano). Con lui la madre, Manzin Laura, di anni 39, originaria di Robecchetto con Induno, casalinga, depressa, sopravvissuta suo malgrado a una sfilza di tentativi di suicidio. Nell’ultima udienza per la separazione, il padre, Chinaglia Bruno, dirigente di un’azienda di abbigliamento a Gallarate, aveva chiesto al giudice di vedere il pargolo tutti i giorni, facendo innervosire non poco la ex moglie. In attesa della sentenza, andava a trovarlo quasi ogni pomeriggio. Così fece anche mercoledì. In casa, però, trovò soltanto i parenti della ex moglie, venuti in visita da Torino. Nello stesso momento la Manzin, riempito di giochi uno zaino e caricato il pargolo sulla Panda blu, si dirigeva verso la centrale idroelettrica Enel. Raggiunto il canale artificiale che la alimenta, si strinse Leonardo al petto e si lasciò andare nell’acqua. Giannone Gianni, di anni 19, torinese. Capelli dritti a forza di gel, orecchini sui due lobi, ciondoli e stringhe al collo, fama di violento. Da marzo era fidanzato con B. Alessandra, di anni 15, minuta, chioma castano chiara tenuta indietro col cerchietto, jeans a vita bassa e t-shirt. Costei, finita la scuola media, sognava un lavoro stabile e intanto guadagnava qualche soldo vendendo cipolle, carote e broccoli in un banco del mercato sotto casa, o aiutando la madre a fare le pulizie. Martedì mattina, sola, si recò a rassettare l’appartamento di due stanze preso in affitto da un Pepe Francesco, di anni 30, studente. Spazzò, riempì d’acqua il secchio con il de-tersivo, sentì suonare il campanello. Era il Giannone. Due giorni prima l’aveva lasciato, lui la ossessionava con messaggi e telefonate. Quella mattina si era persino presentato al capolinea dell’autobus. Si erano presi a botte, poi una suora li aveva divisi e lei era scappata. Sentendo che l’ex insisteva a suonare il citofono, pensò che volesse scusarsi per l’accaduto e gli aprì. Lui entrò urlando. Alessandra si rifugiò in cucina. Per tenerlo a distanza prese dall’acquaio un coltello e lo brandì. Poi come fuori di sé glielo piantò nella coscia sinistra, accanto all’inguine. Proprio in corrispondenza dell’arteria femorale. Alle 14 e 30 di martedì 9, in un appartamento al terzo piano di uno stabile un tempo elegante, tra Crocetta e Borgo San Paolo, Torino. Pippia Giuseppe, di anni 35, faceva il pastore a Bonarcado, Oristano. Nella serata del 30 novembre trafficava nel proprio ovile quando udì due colpi di pistola e due rantoli ovini. Uscì di scatto e scoprì che qualcuno gli aveva ucciso due pecore. Lo prese a male parole, poi a sberle. Ricevette una roncolata sul collo e si afflosciò. Poche ore dopo i carabinieri convocarono in caserma Sanna Gianni, di anni 45, assessore all’Agricoltura del comune di Bonarcado da due anni, allevatore. Dopo molte ore d’interrogatorio, costui fu indagato per l’omicidio. Rilasciato alle 5, vagò per la periferia del paese. Scrisse con una pietra, su un pezzo di cemento: ”Sono innocente”. Infine si sparò alla tempia (i proiettili, dello stesso tipo di quelli trovati nelle pecore). Alle 8 e 15 un ragazzo trovò il cadavere e subito avvertì il sindaco che, veterinario, stava vaccinando mucche poche centinaia di metri più in là. Spito Enzo, di anni 48. Nato a Maccarese, sul litorale romano, da una famiglia di contadini, vent’anni fa si era trasferito a Roma con la madre e la sorella perché le ferrovie gli avevano espropriato i terreni in cambio di un appartamento alla Bufalotta. Da tempo avvezzo alle droghe, ogni giorno passava al Sert di Montesacro per la dose che doveva disin-tossicarlo. Alle 12 di giovedì 11 vagava per i giardinetti prospicenti il centro di recupero quando incontrò tre tossici. Quelli lo presero a calci e schiaffi, lo pugnalarono al petto per otto volte e gli trafissero il collo con un punteruolo. Poi lo caricarono su una Audi 80 nera e lo portarono fino a un’aiuola di parco Sempione, poco distante dall’antico ponte sull’Aniene. A trovare il cadavere un pensionato che, sceso alla fermata del 60 sulla Nomentana, tornava a casa tagliando per i prati.