Onda n.52 15/12/2005, 15 dicembre 2005
Babbo Natale sta per perdere il posto. Sì, perché il simpatico omone barbuto non porta soltanto i regali ai bambini meritevoli, ma vigila anche sulla bontà delle persone
Babbo Natale sta per perdere il posto. Sì, perché il simpatico omone barbuto non porta soltanto i regali ai bambini meritevoli, ma vigila anche sulla bontà delle persone. E se tra coloro che deve controllare c’è qualcuno che esagera in perfidia, alla fine è proprio Babbo Natale che ci va di mezzo. Comincia così il film-tv Il mio amico Babbo Natale, girato tra Milano e Roma, in onda lunedì su Canale 5. Il cattivo è Gerry Scotti, imprenditore milanese senza scrupoli, mentre a indossare il costume rosso più amato dai bambini sarà Lino Banfi. A quest’ultimo abbiamo chiesto di spiegarci meglio la trama. è davvero cattivo il personaggio interpretato da Gerry Scotti? «è un vero fetente. Maltratta le persone, licenzia gli operai, non ha sentimenti. è la mia piaga, perché a me è stata affidata l’Italia: devo preoccuparmi se il tasso di bontà nel Paese diminuisce. E lui lo abbassa di molto. Avrò il compito non solo di farlo rinsavire, ma alla fine anche di dargli una vita, dei sentimenti, una famiglia: tutte cose che non ha». Cosa piacerà di più secondo lei? «è un film con tanti buoni sentimenti. E poi ci sono un sacco di effetti speciali costosi. C’è la slitta che vola, il mondo incantato e pieno di neve dove vive Babbo Natale, oggetti che spariscono e riappaiono». Una novità per prodotti del genere. «La novità sta anche nel fatto che è la mia prima fiction per Mediaset. Io le ho sempre fatte in Rai, fin da quando sono state inventate, quando ancora si chiamavano telefilm e non fiction. Per Mediaset, che era ancora Finivest, avevo fatto delle trasmissioni, soprattutto varietà. Ma la mia prima fiction è stata in Rai, all’inizio degli anni Novanta. Si intitolava Il vigile urbano». E perché è voluto passare a Mediaset? «Da tanto tempo con Gerry Scotti dicevamo di lavorare insieme. Lo dicevamo proprio dai tempi del Vigile urbano, dove Gerry ebbe una parte: faceva il ”ghisa”, il vigile milanese. E poi penso che si possa lavorare di qua e di là senza problemi». Quindi ha ritrovato un vecchio collega. «Con Gerry siamo amici, anche se ci vediamo poco. E soprattutto siamo ”fratelli di taglia”, come diciamo sempre. E siamo tutti e due ”itticodipendenti”, cioè vivremmo mangiando solo pesce e frutti di mare. Infatti ogni tanto ci incontriamo a Milano soprattutto nei ristoranti rinomati per il pesce.». C’è un piatto che piace a entrambi? «A lui piacciono i piatti pugliesi e secondo me ha qualche antenato delle mie parti. Conosce tutti i segreti, sa come si preparano le orecchiette. Condividiamo inoltre la passione per il pesce crudo». E lei sa cucinare? «Sì, perché ho frequentato la scuola alberghiera». Non avrà mica fatto il cuoco... «Invece sì. A diciassette anni sono andato via da casa, prima a Napoli poi a Milano dove sono rimasto per due anni e dove ho fatto tutti i mestieri immaginabili. Allora essere meridionali a Milano era come essere extracomunitari oggi. La gente era diffidente. Io non sapevo fare l’artigiano come molti che provenivano dalle mie parti e allora sono stato posteggiatore a via Broletto, vicino al Duomo, poi ho trasportato rubinetteria col triciclo. Una fatica incredibile. Quando sono andato a fare il militare avevo sempre il sogno di trasferirmi a Roma per fare l’attore. E quando stavo lì mi dicevano: ”Fai la scuola alberghiera, diventa cuoco, prendi le mance e guadagni”». Ha sempre voluto fare l’attore, dunque. «Eh sì, già da quando ero in seminario...». Pure il seminario? «Volevo studiare e nelle famiglie povere come la mia era l’unico modo. Se volevi ”nobilitare la razza” dovevi diventare o notaio o prete». Invece lei si è accorto che voleva recitare. «Nelle rappresentazioni sacre mi accorgevo che avevo il dono di far ridere le persone. Il direttore si arrabbiava e io mi giustificavo: ”Ho detto quello che c’è scritto”. Però in effetti facevo certe espressioni...». Le piace fare fiction? «Sì. Il mio sogno era quello di far vedere che so far ridere e anche piangere. E penso di esserci riuscito con questi lavori, che fanno sorridere ma che sanno anche commuovere». Vorrebbe tornare a fare il varietà? «Oggi meglio di noi anziani lo sanno fare i giovani». Cosa guarda in tv? «Mi piacciono i gialli, le fiction. Anche per vedere cosa fanno i colleghi». Il suo programma preferito? «Non ce l’ho. Lo devo ancora trovare». Fa anche teatro? «Non ho tempo, anche se Pietro Garinei me lo chiede spesso e mi onora. Però per fare bene il teatro devi avere tempo. Ora il ferro della tv è caldo e quindi devo batterlo. Ho in preparazione un’altra serie del Medico in famiglia e insieme a mia figlia Rosanna sto finendo di scrivere un film intitolato Piccoli padri». Ormai i bambini di Un medico in famiglia sono come dei nipoti. «Con Annuccia ci facciamo delle telefonate d’amore. Mi dice sempre che ha passato più tempo con me che con i nonni veri». Sì è mai vestito da Babbo Natale nella vita reale? «No, l’ho sempre fatto fare ad altri, perché in famiglia, data la mia stazza, se ne sarebbero accorti, mica sono scemi. Invece mio figlio con un vicino di casa si scambiano il favore e il vestito: uno va a casa dell’altro a fare Babbo Natale e viceversa». Da bambino credeva a Babbo Natale? «Dalle mie parti non c’era. Si credeva alla Befana, che riempiva la calza, e anche ai morti. Pensavamo che il 2 novembre ci portassero i regali». Come festeggia? «Le tradizioni delle mie zone vogliono che il giorno più importante delle feste sia la Vigilia di Natale. Per il 24 ci riuniamo da me, che sono il patriarca, il più anziano. Mi tocca benedire la tavola e cucinare. Naturalmente tutto a base di pesce: antipasto, primo, secondo. Pure il dolce, se si potesse fare. In cucina mi aiuta mia figlia Rosanna». Cosa chiede a Babbo Natale? «Altri dieci anni di buona salute. Ora che l’ho impersonato sullo schermo magari mi accontenta davvero». Pasquale zagaria, in arte Lino Banfi, è nato ad Andria l’11 luglio 1936. Come attore di teatro ha cambiato inizialmente il proprio nome in Pasquale Zaga. Fu Totò a consigliarli di cambiare ancora: «Mi disse: ”I diminutivi dei nomi portano bene, quelli dei cognomi no”. Così diventai Lino Banfi». Presto raggiunse la notorietà e si accorsero di lui anche i produttori cinematografici: i suoi primi film li gira con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Da allora ha interpretato più di cento pellicole. Sul piccolo schermo ha debuttato nel 1975 con la trasmissione musicale Senza rete, insieme ad Alberto Lupo. La prima fiction: Il vigile urbano. Seguì nel 1998 Un medico in famiglia, ormai alla quarta edizione. Visto il favore che suscita tra i bambini, nel 2001 è stato nominato ambasciatore dell’Unicef.