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 2005  dicembre 14 Mercoledì calendario

TUENI Gebran (Libano) 15 settembre 1957, Beirut (Libano) 12 dicembre 2005 (assassinato con un’autobomba)

TUENI Gebran (Libano) 15 settembre 1957, Beirut (Libano) 12 dicembre 2005 (assassinato con un’autobomba). Giornalista. Politico. «[...] giocava a scacchi con la morte nei coraggiosi editoriali che pubblicava sul suo autorevole quotidiano, incurante delle convenienze e delle conseguenze. Con giovanile furore, prima si era scagliato contro l’occupazione siriana, poi contro gli intrighi, tessuti a Damasco, che avevano portato all’assassinio dell’ex premier Rafic Hariri. Era il suo modo irruento di manifestare l’orgoglio d’essere la voce di un Libano ”libero”, e di non tradire l’ingombrante nome che portava, Tueni appunto, al quale è legata la storia del Paese dai giorni dell’indipendenza nazionale. Gebran sapeva d’essere fra i primi obiettivi della lista. Ne era consapevole al punto d’essere stato costretto, per ragioni di sicurezza, a tornare [...] a Parigi, dove era stato in esilio all’inizio degli anni ’90. Era rientrato [...] a Beirut per riprendere il suo posto di deputato, e il suo ruolo di editore e direttore del giornale liberale An Nahar, fondato dal nonno (che si chiamava come lui) e reso celebre dal padre Ghassan, che [...] è il più grande intellettuale vivente del Paese. [...] E’ una storia grande e tragica quella dei Tueni. Se non fossero stati penalizzati dall’appartenenza religiosa (greco-ortodossa), quindi esclusi dalle tre più alte cariche dello Stato, che per prassi costituzionale spettano a un cristiano-maronita, a un sunnita e a uno sciita, sarebbero stati spinti ai vertici della Repubblica e del governo: per capacità, carisma, prestigio, visione. Ma dei Kennedy libanesi hanno conosciuto soprattutto le tragedie. Ghassan, editore, direttore, ministro, ambasciatore all’Onu, infranse per primo un pesante tabù religioso, provocando scandalo fra i benpensanti e raccogliendo il plauso dei progressisti. Sposò per amore una musulmana drusa, la bellissima Nadia Hammadi, che regalò pagine memorabili alla poesia libanese e, alla fine della guerra civile, fu stroncata da un tumore maligno. Dei loro figli, una morì di cancro, un altro in un incidente stradale. Il terzo Gebran, intelligente, grintoso e appassionato, era quindi l’unico che poteva raccogliere la difficile eredità paterna. Si schierò con il generale Michel Aoun, nella fase finale del conflitto, convinto che il condottiero maronita avrebbe potuto vincere la sua ”guerra contro tutti”. Fu costretto all’esilio, assieme ad Aoun, e tornò a Beirut nel 1995, pronto a cominciare la sua missione di giornalista libero. Prima al fianco del padre, poi al suo posto. Molto diversi, in quanto a carattere, padre e figlio. Tuttavia li accomunavano coraggio e dignità. Ghassan, durante la guerra civile, aveva denunciato l’integralismo islamico dell’Hezbollah filo-iraniano, sostenendo che il problema del Libano era che ciascuno si alleava con i suoi nemici, e rivelando le complicità dei suoi connazionali. Gebran, nel 2000, scrisse una lettera aperta al colonnello Bashar el Assad, che stava preparandosi a succedere al padre Hafez, chiedendogli già allora il ritiro dei soldati siriani perché ”la nostra gente vuole sovranità e indipendenza”. [...] dopo l’assassinio di Hariri, decise di presentarsi alle elezioni nella lista presentata dal figlio dell’ex premier. Oltre la convinzione, lo spingevano due fatti: uno dei suoi giornalisti più bravi, Samir Kassir, era stato ucciso in un attentato. In un altro attentato era stato ferito suo zio, il fratello della madre Nadia, Marwan Hammadi, numero due del leader druso Walid Jumblatt. Gebran non aveva dubbi: la mano era la stessa» (Antonio Ferrari, ”Corriere della Sera” 13/12/2005). «[...] un uomo che aveva 48 anni, quattro figlie, un giornale indipendente e la ferma convinzione che il regime siriano dovesse tornare a fare danni nei suoi confini. Muore sul colpo alle nove di un lunedì mattina, il corpo straziato nell´auto blindata che vola in cielo e ricade sulla collina in fiamme. Nella strada di montagna restano un cratere simile a quello in cui la Cupola seppellì l´ex premier Hariri la mattina di San Valentino, i cadaveri di tre guardie del corpo, le carcasse di altre dieci auto, le tracce delle ambulanze che portano via trenta feriti, le gocce di vetro piovute da centinaia di finestre [...] Gebran Tueni è tornato a casa da pochi giorni. Ha trascorso gli ultimi mesi a Parigi. Dopo l´omicidio del suo collaboratore Samir Kassir ha sentito la minaccia trasformarsi da ombra a carne e sangue. Ha presto scoperto di non avere torto. La commissione Onu che indaga sull´omicidio Hariri ricostruisce una lista dei prossimi bersagli della Cupola e la consegna agli interessati. In un´intervista radiofonica dalla Francia, Tueni dice: ”Il mio nome è in cima”. Esiste anche un calendario preciso: le esecuzioni avvengono alla vigilia dei passaggi chiave dell´inchiesta internazionale. Quando, a ottobre, viene consegnato il primo rapporto, tutti i nomi sulla lista sono all´estero. Ma domenica Tueni è in Libano e scrive su An Nahar, il giornale di cui è editore e direttore, l´ennesimo fondo anti-siriano. Accusa il regime di Damasco di voler deragliare l´inchiesta, colpire il Libano, ne chiede l´incriminazione per crimini contro l´umanità. Conclude: ” tempo di superare le nostre paure, mettere da parte la mitezza e affrontare le menzogne dei siriani chiedendoci: quand´è che lo capiranno?”. La risposta la stanno preparando sulla strada che, da casa sua, nel quartiere residenziale di Mkalles, conduce al centro della città, dove ha sede il giornale. La risposta è fatta di tritolo. Tradotta: non capiranno mai. [...]» (Gabriele Romagnoli, ”la Repubblica” 13/12/2005).