Giovanni Moro, Raffaele Panizza, Gianfranco Raffaelli Gulliver, aprile 2004, 14 dicembre 2005
L’allegra tribù dei trasvolatori da diporto che ridisegna l’Europa, Gulliver, aprile 2004 Narra la leggenda di una tranquilla signora della provincia inglese che - a ogni cambio di stagione - sale sul primo volo disponibile, atterra a Bergamo, scende dall’aereo, imbocca il sottopasso pedonale dell’autostrada A4, risale in superficie e si rinchiude per l’intera giornata nell’Orio Center, il mega centro commerciale che si affaccia sulle piste dell’aeroporto di Orio al Serio
L’allegra tribù dei trasvolatori da diporto che ridisegna l’Europa, Gulliver, aprile 2004 Narra la leggenda di una tranquilla signora della provincia inglese che - a ogni cambio di stagione - sale sul primo volo disponibile, atterra a Bergamo, scende dall’aereo, imbocca il sottopasso pedonale dell’autostrada A4, risale in superficie e si rinchiude per l’intera giornata nell’Orio Center, il mega centro commerciale che si affaccia sulle piste dell’aeroporto di Orio al Serio. Perversioni del consumismo? Macché! Sani principi di economia domestica applicati all’aviazione civile. La leggendaria signora, fatti due conti in tasca, deve aver scoperto che, con le tariffe stracciate delle compagnie low cost, le conviene venire direttamente in Italia per rifornire il guardaroba di vestiti e scarpe made in Italy: a Londra gli stessi capi costano tre volte tanto o giù di lì. E a prezzi di saldo, invece del tailleur, ci compra il volo aereo. Ma non c’è solo lei. Maurizio e Nadia, da Lonate Pozzolo, provincia di Varese, sono un’affiatata coppia di quarantenni che si è messa a girare l’Europa prenotando sistematicamente tutti i voli low cost in partenza dall’aeroporto di Bergamo. «Ci siamo imbarcati ieri, abbiamo passato una notte a Lubecca, siamo andati a cena, e adesso torniamo a casa», raccontano tenendosi per mano su un volo Amburgo-Milano (che a esser rigorosi si dovrebbe definire Lubecca-Orio al Serio). Ma aggiungono che più di una volta gli è capitato di partire la mattina, magari per fare due passi a Piccadilly Circus, e ritornare a casa la sera, confusi e felici. Insomma: è bastato che una manciata di compagnie aeree come Ryanair, Volareweb, Easyjet, Basiq Air, Air Berlin, Hapag Lloyd Express e via enumerando, abbattesse le tariffe con la scure, per trasformare la vecchia gita fuori porta in un’occasione per varcare i confini nazionali. E per dar vita a una nuova specie di homo volans: il daytripper, il trasvolatore da diporto, che per piacere o per convenienza (e quasi mai per business) parte la mattina (o il venerdì) e torna a casa la sera (o la domenica). Una colorata tribù composta da centinaia di migliaia di neopasseggeri che fino a pochi mesi fa consideravano i voli un lusso per pochi privilegiati (e se ne restavano a casa). Viaggiatori compulsivi che oggi smanettano sui siti delle compagnie low cost alla ricerca della tariffa più stracciata, dell’occasione imperdibile per andarsene in giro per l’Europa con una manciata di euro. Gente, insomma, in piena sindrome da torpedone volante, che ha imparato a considerare l’aereo come un grande autobus con le ali. Ma cosa trovano all’arrivo, quando l’aereo tocca terra? Non certo megastrutture piazzate a pochi chilometri dal centro delle metropoli. Molto più spesso, microaeroporti. Talvolta situati a svariate decine di miglia dalle città principali e collegati alla bell’e meglio. E organizzati, quanto a strutture e servizi, piuttosto alla buona. Una realtà molto variegata, in ogni caso: si va da quell’hub-bonsai, che è ormai oggi l’aeroporto di Bergamo, alle tensostrutture della sala imbarchi simil Festa dell’Unità di Parigi Beauvais e Amburgo Lubecca, fino a quella specie di container Ikea style che è Stoccolma Skavsta. Per raccontarvi questo arcipelago parallelo (e darvi qualche dritta per non restare spiazzati), abbiamo sguinzagliato i nostri inviati in giro per le principali città europee e italiane, perché sottoponessero al «collaudo Gulliver» i piccoli scali di provincia utilizzati dalle compagnie low cost. In quattro shakeratissimi giorni abbiamo toccato Roma Ciampino, Bergamo Orio al Serio, Treviso, Brindisi. E poi, Lubecca, Berlino, Stoccolma, Francoforte, Barcellona, Glasgow, Parigi, Londra e Bruxelles. Be’, diciamolo subito: la gara l’ha vinta l’aeroporto di Bergamo. Nell’ultimo anno ha più che raddoppiato il numero di viaggiatori in transito ed è arrivato alla cifra record di quasi tre milioni l’anno (+127 per cento rispetto al 2002). E ha cambiato faccia: ogni metro quadro disponibile è ormai occupato (preso in affitto a peso d’oro) da bar, wine bar, gelaterie, postazioni per il noleggio auto, Internet point, mini factory outlet, disposti ad accontentarsi di spazi della dimensione di un loculo pur di essere presenti nello scalo lombardo. Oggi, brulica di passeggeri, piloti, hostess, tecnici: e pensare che solo fino a un paio di anni fa pareva mestamente abbandonato a un triste e irreversibile destino di rumoroso scalo commerciale. Ma da questa spaventosa ondata di passeggeri, bisogna dirlo, molti aeroporti sono stati colti decisamente impreparati. A Treviso (Venezia), ad esempio, l’unico bar aperto non ha neppure i tavolini per sedersi, mentre a Francoforte Hahn è tanto difficile trovare un taxi da rendere consigliabile la prenotazione un paio di giorni prima dell’arrivo. Per non parlare di certe stranezze in cui capita di imbattersi, impensabili negli aeroporti maggiori: negli enormi spazi inutilizzati di Barcellona Girona c’è gente che nell’attesa di imbarcarsi improvvisa partitoni di calcetto indoor coi carrelli bagagli utilizzati come porte. E che dire di quell’anonimo frammento di Inghilterra alla Ken Loach, perduto nella brughiera, che è lo scalo di Londra Luton? E di quell’atmosfera da presidio militare dell’aeroporto di Ciampino? Qui i bagni per portatori di handicap non hanno nemmeno la serratura per chiudere le porte, così che bisogna segnalare la propria presenza a suon di urla. Ma più che di incuria, l’impressione è che si tratti di disagi da lavori in corso: sono tutti in espansione rapida, gli aeroporti low cost. E in tutti, infatti, c’è il maxi poster che raffigura il modellino dell’aeroporto come «presto» diventerà. Perché tutti stanno investendo sul proprio sviluppo. Ma per ora, non è tutto rose e fiori. Provate per esempio ad atterrare o a partire da Stoccolma Skavsta. Quello che vi attende qui, tra tormente di neve e aurore boreali, è qualcosa che un comune viaggiatore non si azzarderebbe nemmeno a definire ”autostazione pullman”: una specie di grande scatolone metallico sperduto in una landa gelata (almeno d’inverno, quando ci siamo stati noi), dove gli aerei toccano il suolo su un tappeto di neve di 10 centimetri. Qui, tanto per capirci, si riciclano anche le carte di imbarco (che sono plastificate e si consegnano all’imbarco), il cartello che segnala il Gate 5 è appoggiato su una seggiola di plastica. E il negozietto agli imbarchi è poco più di una bancarella da mercatino. Ma tant’è: c’è gente che atterra da queste parti solo per andare a pescare salmoni nel mar Baltico e nella capitale nemmeno ci mette piede. Ecco, appunto, le distanze: Charleroi è a 60 chilometri da Bruxelles, ma viene venduto dalle compagnie come scalo della capitale belga, Beauvais è a 90 chilometri da Parigi, Hahn addirittura a 120 da Francoforte! Ma in linea di principio, l’assioma è questo: il tempo che si perde per raggiungere l’aerostazione, lo si guadagna grazie a code praticamente nulle ai check-in e passeggiate di pochi metri per raggiungere l’imbarco. Senza contare che i velivoli sono quasi sempre parcheggiati come un torpedone proprio davanti al gate, tanto che capita spesso -quando gli aerei pronti a partire sono più di uno - di dover vincere la tentazione di chiedere alla hostess: «Mi scusi, ferma in Scozia questo?». Nel computo totale per stilare un giudizio definitivo (e decidere mouse alla mano se quella pazzesca offerta online è il caso di afferrarla al volo a colpi di clic o declinarla) vanno ancora aggiunti, all’arrivo, un’attesa bagagli brevissima, pullman con partenze coordinate sugli arrivi, e possibilità nulle di smarrire i bagagli. I microaeroporti rappresentano, poi, un’opportunità irripetibile per certe località periferiche, che iniziano a svilupparsi alla velocità della luce allorché una compagnia low cost inizia ad atterrare in zona. E i viaggiatori si ritrovano a visitare luoghi che difficilmente avrebbero mai raggiunto. Come Nyköping (si pronuncia niusciopping, nel caso vi servisse), a due passi dall’aeroporto di Skavsta, l’isola di Arran di fronte a Glasgow Prestwick, Baden Baden, cittadina termale sul confine franco-tedesco, o Girona, borgo medievale nel cuore della Catalogna. E pensare che i detrattori (leggi: le compagnie aeree tradizionali) dicono che con le linee low cost si vola from nowhere to nowhere (da nessun posto a nessun posto), alludendo al fatto che spesso gli aeroporti sono fuori mano. Ma a vederla positiva, si può anche dire che si vola from newhere to newhere: uno scalo a Beauvais diventa l’occasione per una visita nella regione dell’Oise. E quello a Schönefeld, il trampolino verso i laghi che circondano Potsdam. E con la loro dimensione quasi familiare, questi miniscali di provincia restituiscono finalmente dignità di ”luogo” a quegli spazi che, secondo il sociologo Marc Augé, sono la rappresentazione perfetta del concetto di «non luogo», aree di passaggio alienanti e vagamente inumane. Almeno per ora. E scusate se è poco. Giovanni Moro, Raffaele Panizza, Gianfranco Raffaelli