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 2005  dicembre 13 Martedì calendario

Catuna Gheorge, di anni 47, e Sava, di anni 42. Romeni, sposati, quattro figli grandi, abitavano un appartamentino di Ilvamare, Pordenone

Catuna Gheorge, di anni 47, e Sava, di anni 42. Romeni, sposati, quattro figli grandi, abitavano un appartamentino di Ilvamare, Pordenone. Consumato l’amore, negli ultimi tempi non facevano altro che litigare e prendersi a botte. Due domeniche fa partirono insieme per Milano, diretti al capolinea dei pulmini che portano persone e cibarie su e giù dalla Romania. Passarono tutto il tempo a discutere finché, sfinito dai rimproveri della moglie, il Catuna d’un tratto perse la pazienza e le sferrò venti coltellate alla schiena. A seguire si tagliò la gola. Intorno alle 7.30 di lunedì 8 marzo, in un angolo di via Salomone, tra un benzinaio e un cortile, periferia est di Milano. Coli Ausonio, di anni 42, commercialista. Viveva a Grosseto con la moglie Silvana e le due figlie: Angela, di anni 20, e Gemma, 5. Appassionato del suo lavoro, aveva per le mani un caso che lo tormentava: I. F., 42enne imprenditore, cercava di escludere dal fallimento della società paterna una sostanziosa eredità. Ma il Coli non era tipo da gabbar la legge. Lunedì scorso, il cliente si presentò in studio con una lettera del tribunale a chiedergli complicità. Quando capì che non c’era niente da fare, andò su tutte le furie e gli scaricò addosso il caricatore della sua 38 special. Alle 14.30 circa di lunedì 8 marzo, in via Gramsci, Grosseto. Ortolani Marco, di anni 29. Romano, gestiva il circolo culturale ”Pitbull” di Torre Vecchia col fratello Miro, di anni 28, precedenti per piccoli reati. Il padre, noto alla polizia come spacciatore e giocatore clandestino, proprietario d’un negozio di fiori. Mercoledì sera, non sapendo cosa fare, i due fratelli raggiunsero la casa di un Punzo Mario di anni 26, impiegato nello studio di un commercialista. Costui aveva chiesto il loro aiuto per le pratiche di un incidente in motorino e aveva intascato, dall’assicurazione, 3.800 euro. Loro, per il disturbo, ne pretendevano 4.000. I tre presero a discutere in mezzo alla strada finché il Punzo, stufo di starli a sentire, infilò nello stomaco dell’Ortolani Marco la lama di un coltello da cucina. Verso le 22 di mercoledì 10 marzo, in via dell’Acquedotto Paolo, Primavalle, Roma. Porcari Stefania, di anni 60. Sposata da quaranta a Rossi Gianfranco di anni 71, una figlia trentacinquenne di nome Sara, lavorava col marito in un grosso negozio di ottica di Roma. Lei da qualche tempo lo assillava per liberarsi della bottega e comprar casa. Lui, gentile, onesto, sempre accomodante, di questa storia non ne voleva sapere. Di recente aveva realizzato il suo sogno di vendere pure cannocchiali e appena poteva correva al Gianicolo a guardar le stelle. Di qui litigi, punzecchiature, malumori. All’alba di martedì il Rossi si preparò il caffè, si fece la barba, raggiunse la Porcari che dormiva beata nel letto matrimoniale, la coprì con cuscini e piumino e le sparò addosso due colpi di pistola: uno alla testa, uno al cuore. Subito dopo montò sull’Opel Corsa blu, raggiunse il commissariato di Tor Carbone e disse ai poliziotti d’andare a recuperare il corpo della consorte. Alle 7.50 di martedì 9 marzo in un’elegante palazzina di via Casalinuovo, Grottaperfetta, Roma. Torcellini Cecilia, di anni 36. Bella donna, sposata a uno Sgreccia Arduino, di anni 46, imprenditore edile, due figli ancora piccoli: Erika, di anni 11, e Alessandro, di anni 7. Passava il tempo dietro ai lavori di casa e ai compiti dei bambini. Ogni tanto dava una mano alla suocera che viveva poco lontano. Unica preoccupazione, quel marito facile alla depressione che la Torcellini cercava di sostenere senza perdersi d’animo. Lui, un po’ geloso, era pieno d’attenzioni: regalini, fiori e dolci per San Valentino. Venerdì sera rimasero a chiacchierare in cucina fino a tardi. Poi lo Sgreccia, che forse aveva smesso da tempo d’ascoltarla, prese il fucile da caccia e la freddò con un colpo, raggiunse la camera dei ragazzi e continuò a sparare. L’ultimo proiettile per sé, finì in coma all’ospedale di Senigallia. Verso le 3 di sabato 13 marzo, in una villetta mansardata a San Pietro, frazione di Arcevia, Ancona. Trajkovic Dragan, di anni 45. Slavo, operatore culturale per il comune di Roma, viveva con la compagna Monica in un palazzo dell’Esquilino. Un passato di piccola delinquenza, tutto contento dell’attuale lavoro, aveva preso a cuore un Saitovic Redzdep, di anni 38, agli arresti domiciliari nel campo nomadi di Tor di Quinto. Costui, una volta libero, si fece venir l’idea che il Trajkovic gli avesse molestato la figlia adolescente e prese a perseguitarlo: talvolta lo minacciava, talaltra gli tagliava le gomme della macchina, un giorno gli incendiò la porta di casa. Mercoledì mattina, la moglie a braccetto, lo pedinò finché non l’ebbe davanti. Allora tirò fuori un coltello dalla manica del cappotto e gli infilò la lama, più e più volte, nel torace. Quindi si presentò ai carabinieri di Ponte Milvio, i tendini recisi nell’estrazione dell’arma. Alle 11.15 di mercoledì 10 marzo, davanti alla biglietteria della stazione Termini, Roma.