13 dicembre 2005
Arcidiacono Giuseppe, di anni 62. Siciliano, insegnante di scuola media, mai sposato e senza figli, viveva solo in un appartamento al centro di Paternò, provincia di Catania
Arcidiacono Giuseppe, di anni 62. Siciliano, insegnante di scuola media, mai sposato e senza figli, viveva solo in un appartamento al centro di Paternò, provincia di Catania. Negli ultimi tempi era infastidito da un Nicola Pergolizzi di anni 42, pregiudicato, alle spalle un anno e mezzo di carcere per rapina. A denunciarlo era stato proprio l’Arcidiacono, che lui aveva continuato a importunare una volta libero ricevendone in cambio una nuova querela. Giovedì sera il Pergolizzi raggiunse il professore nel suo appartamento per convincerlo a ritirare le accuse contro di lui. La conversazione si fece subito violento litigio e, persa la pazienza, il malvivente usò il coltello a serramanico che aveva con sé per bucare testa, collo e torace dell’interlocutore. Giovedì 4 marzo, in un’abitazione al primo piano di via Giovan Battista Nicolosi, Paternò (Catania). Bouzikar Jamila, di anni 25. Marocchina, viveva da qualche mese a Idro (Brescia), dove raggranellava i soldi per tirare avanti lavorando contemporaneamente come operaia e cameriera d’albergo. Legata a un Laklai Rachid, di anni 23, muratore disoccupato, divideva con lui un appartamentino in un residence di periferia. L’idillio fra i due era finito da tempo e litigavano sempre più spesso. Lui non era contento di farsi mantenere da una donna e per di più non si rassegnava al declinar della passione. Lei minacciava di lasciarlo. Due martedì fa, una discussione più violenta del solito, la Bouzikar corse via di casa urlando come per cercar riparo altrove. Appena varcata la porta fu raggiunta da due coltellate che le squarciarono la schiena. Alle 23 di martedì 24 febbraio sul pianerottolo di una palazzina in località Tre Capitelli, Idro, comune dell’alta Valsabbia (Brescia). Lo Presti Francesco, di anni 64. Originario di Enna, bracciante agricolo in pensione, scontava 14 anni e otto mesi nell’isola penitenziario di Gorgona per aver freddato a colpi di pistola un Puzzanghera Salvatore, di anni 60, venditore ambulante reo di non avergli saldato un debito di 700 mila lire. Il Lo Presti, detenuto con programma speciale, trascorreva le sue giornate zappettando l’orto e dormiva in una casetta fuori dal braccio centrale. Lunedì scorso lo raggiunse sui campi Pischedda Pietro, di anni 36, dentro per omicidio anche lui. Apparentemente senza motivo, il Pischedda cambiò direzione al martello che stava utilizzando e lo lasciò precipitare più volte sul cranio del Lo Presti. Quando costui provò a reagire, lo azzittì con un taglio alla gola. Intorno alle 11.30 di lunedì 1 marzo, in un capannone di cemento e lamiera pieno di attrezzi nel carcere di Gorgona, Sassari. Nielsen Peter, di anni 36. Danese, una moglie e tre figli, s’era trasferito in Svizzera per un lavoro all’aeroporto di Zurigo sette anni fa. Negli ultimi due, però, non aveva avuto più la testa per affaccendarsi alla torre di controllo e sbrigava pratiche dietro una scrivania. Il sonno turbato da incubi notturni, nonostante l’aiuto dello psicologo continuava a vedere se stesso unico uomo radar in servizio una sera del luglio 2002, quando un Tupolev russo incrociò un Boeing della Dhl nel cielo di Uberlingen, Germania del sud: 71 morti compresi 52 fra bambini e adolescenti diretti in Spagna per una vacanza premio. Due martedì fa, una tranquilla serata in famiglia, il Nielsen uscì in balcone a prender aria e si trovò davanti un tipo sulla cinquantina alto e robusto, capelli brizzolati, barba rada, tedesco stentato con accento dell’Europa dell’est. La moglie li osservò discutere animatamente. Poi vide il Nielsen che s’accasciava a terra mentre quindici centimetri di lama entravano ed uscivano da cuore, polmoni e altri organi lì intorno. Qualche giorno dopo la polizia interrogava un Vitaly Kaloyev, russo, anni 48, scoprendo che aveva perso la moglie (di anni 42) e i due figli Kostantin (12) e Diana (4) nel disastro aereo di Uberlingen. Intorno alle 17.45 di martedì 24 febbraio, sul terrazzo di una villetta dipinta di rosso, al numero 26 di via Rebweg, Kloten, periferia di Zurigo. Signorelli Diego, di anni 32. Originario di Seriate (Bergamo), ragazzo timido, esile, capelli chiari, viveva insieme con la sua donna e un figlio di sette mesi in uno dei palazzoni popolari di via Di Vittorio 6, duemila inquilini circa, a Lissone (Milano). Precedenti penali per furto, licenza media presa durante un soggiorno in carcere, s’arrangiava con lavoretti saltuari cedendo alla droga e all’alcol quando l’assaliva la disperazione di non riuscire a mantenere la famiglia. Domenica scorsa, in compagnia dell’amico Di Rosa Torregrossa Sergio, di anni 31, pregiudicato, sfilò una Y10 a una coppietta e si lanciò in una corsa notturna. I carabinieri tentarono di fermarlo a un posto di blocco, poi l’inseguirono per due chilometri di curve secche e rettilinei. Quando furono fianco a fianco, la Y10 urtò la pattuglia in servizio. Partirono tre colpi di pistola, diretti ai pneumatici, si disse. Uno si conficcò sulla nuca del Signorelli, altezza vertebra cervicale. L’auto si fermò duecento metri più in là contro un muretto. Lui fu sbalzato sull’asfalto, dove morì dissanguato. Intorno all’una nella notte di lunedì 1 marzo, tra viale della Repubblica di Lissone e via Paralda di Vedano.