13 dicembre 2005
Riva Giuseppe, di anni 71. Operaio in pensione, abitava a Vesalla, frazione di Brione (Brescia), insieme col fratello Angelo, invalido civile
Riva Giuseppe, di anni 71. Operaio in pensione, abitava a Vesalla, frazione di Brione (Brescia), insieme col fratello Angelo, invalido civile. Solito trascorrere il suo tempo tra la passione per l’agricoltura e le chiacchiere con l’oste del paese, negli ultimi tempi si lamentava di continui litigi coi parenti. Pare che discutesse col fratello maggiore Battista, di anni 75, per via di quel settecentesco Palazzo Bailo, proprietà di famiglia dal 1950 ed eredità condivisa dai tre maschi, che lui occupava con diritto d’usufrutto. Domenica 22 febbraio, approfittando della Fiera di San Faustino, Giuseppe passò lietamente la giornata nella vicina Sarezzo. Al suo ritorno, l’animo rasserenato dall’alcol, trovò ad aspettarlo la nipote Antonella, di anni 28, piccola e robusta, studentessa in legge con scarsa vocazione per i tribunali e il sogno d’aprire un agriturismo. La giovane lo accusò d’aver ucciso due pecore di proprietà del padre Battista e averne ferita una terza. Il Riva se ne indignò e cominciò a urlare. Quella reagì afferrando l’ascia in un angolo della cucina e piantandola sulla fronte dello zio. Lui si trascinò fino al portico dove ebbe il cranio fracassato da altri sette colpi. Testaquadra Marianne, di anni 12. Siciliana, disabile, viveva a Caltanissetta circondata dalle cure della famiglia: la madre Semmler Cristin, di anni 44, origini tedesche, insegnante in un liceo; il padre Sergio Raimondo, di anni 42, biologo, impiegato in un centro per operatori sanitari; un fratello e una sorella. Legatissima al padre, ogni giorno seguiva la riabilitazione accompagnata da lui. Il Testaquadra era ossessionato dall’idea che la piccola vivesse senz’amore e che prima o poi non ci sarebbe stato più lui a vegliarla. Per questo non andava più d’accordo con la moglie, alla quale rimproverava scarse attenzioni verso Marianne. L’ennesimo litigio con la Semmler, e un sabato mattina prese con sé la figlia per andare a pesca. Puntò verso Lido di Rossello. Scese sulla battigia e spinse via la carrozzella. Sollevò il corpo dell’adolescente e la legò stretta a sé con i tiranti che s’era portato dietro, poi cominciò a camminare verso il mare. Lei annegò in pochi minuti, lui desistette. Tornato a riva cercò di tagliarsi le vene, ma riportò solo qualche graffietto. Trascinò la ragazzina fasciata nei vestiti bagnati fino alla sua Renault e tentò di lanciarsi da un viadotto, ma non ne ebbe il coraggio. Allora si ricordò della sua villetta in campagna e cambiò direzione. Entrò sfondando il cancello, provò di nuovo a recidersi i polsi, quindi mandò giù un flacone d’insetticida. Non vedendolo tornare a pranzo, la moglie diede l’allarme. Fu trovato dagli agenti accasciato sul pavimento. Riprese i sensi all’ospedale di Sant’Elia. Sabato 21 febbraio, località Realmonte, a 50 chilometri da Caltanissetta.