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 2005  dicembre 12 Lunedì calendario

Battaglia Ivan, di anni 23. Giovanotto robusto, faceva l’operaio in una ditta di legname a Grandola ed Uniti (Como), paesino di 1

Battaglia Ivan, di anni 23. Giovanotto robusto, faceva l’operaio in una ditta di legname a Grandola ed Uniti (Como), paesino di 1.200 anime dove abitava con la mamma Nadia, di anni 42, il padre Gianni, di anni 58, le due gemelle Patrizia e Pamela, di anni 21, e Michele di anni 6. Una passione per il pallone, da qualche tempo aveva smesso di giocare per via d’un infortunio. Passava l’intera settimana a lavorare, unico divertimento qualche cena con gli amici. Sabato sera scelse la pizzeria Millennium Bug di Porlezza (Como), posticino romantico tra boschi e mucche in riva al lago di Lugano. Nella confusione dei festeggiamenti per San Valentino, urtò una ragazzina di anni 14 o forse provò per gioco ad abbracciarla, di certo suscitò l’ira del di lei fidanzato, un P. G., di anni 16, aspirante giardiniere, padre condannato più volte per lesioni, comprese quelle alla moglie che gli aveva dato nove figli. Volarono parole grosse e spintoni fra i tavoli quindi, divisi dal proprietario del locale, i due continuarono la zuffa nel parcheggio antistante. Preso a calci dal Battaglia, il giovane innamorato ruzzolò a terra. Quando fu di nuovo in piedi aveva in mano un coltellino che affondò dritto al cuore del suo avversario. Il Battaglia s’alzò la maglietta e guardò incredulo il sangue che scorreva. Salito in ambulanza morì appena giunto all’ospedale di Menaggio. Nella stanza accanto il suo assassino, ignaro, a farsi medicare le ferite. All’una di notte tra sabato 14 e domenica 15 febbraio. Bianco Marta, di anni 45. Originaria di Castelvetrano, provincia di Trapani, una laurea in veterinaria mai utilizzata, s’era trasferita a Firenze dove viveva col marito Scaffai Giulio, di anni 55, rappresentante farmaceutico. Coppia unita e riservata, si vedevano poco in giro. Da qualche mese lo Scaffai era più cupo del solito, assai dimagrito e invecchiato. Forse era malato. Pare che avesse fatto una serie di esami alla testa. Nessun confidente se non l’adorata Marta. Mercoledì notte s’avvicinò alla moglie mentre dormiva, le puntò una 357 magnum e lasciò partire un colpo dritto al costato di lei che andò in pezzi mentre il proiettile si conficcava nel braccio. Quindi, ricomposto il cadavere, le congiunse le mani arrotolando una rosa tra le dita, le si sdraiò accanto e premette di nuovo il grilletto, canna al petto. In una lettera lasciò le istruzioni per la cremazione, dettagli accurati sul cibo per il gatto, la richiesta di non dar foto ai giornalisti. Dopo la mezzanotte di mercoledì 18 febbraio, al pianterreno d’una palazzina primo Novecento in via Pistoiese 172, Firenze. Estatico Francesco, di anni 19. Bel moro, occhi grandi, sorriso facile, alto e muscoloso, raggranellava qualche soldo facendo il garzone nella salumeria dello zio a Soccavo, periferia di Napoli. Lo stesso quartiere dove viveva con la famiglia: papà Ernesto, mamma Nunzia, i fratelli Pietro e Mirko. Bellezza prorompente, per strada faceva girare le ragazze e una volta, ospite in tv a ”Beato fra le donne”, aveva vinto con un’esibizione di danza del ventre. Ma Checco non era uno di quelli coi grilli per la testa. Frequentava la parrocchia, s’impegnava nel volontariato, faceva sport, lavorava sodo e metteva da parte i soldi per pagare le rate del suo motorino nuovo. Domenica sera chiamò l’amico Andrea per andare a svagarsi da Chiquitos, piccolo chiosco alla moda di fronte al porticciolo di Mergellina. Appena sceso dallo scooter incrociò gli occhi di una fanciulla che gli si avvicinò sorridendo. Neanche il tempo di rispondere alla lusinga che fu subito raggiunto dalla minaccia del presunto fidanzato di lei e accerchiato da un gruppo di sostenitori. L’Andrea si trovò davanti un Salzano Salvatore, di anni 18, impiegato in un negozio di elettrodomestici, che lo prese a calci e pugni. Col Francesco invece s’accanì un piccolino di anni 16, A. U., incensurato, apprendista artigiano in una bottega da vetraio. Costui, testardo nell’avere la meglio su quel tipo evidentemente più grosso di lui, cercò l’aiuto del coltellino svizzero che portava con sé. Otto colpi sferrati a caso fra braccio, polmone, gamba, addome e petto, quindi richiamò il Salzano per concludere altrove la serata. L’Estatico, coperto di sangue, si trascinò cento metri più avanti e s’accasciò a terra. Ebbe appena il tempo di arrivare in ospedale prima di morire dissanguato. Alle 21,40 di domenica 15 febbraio sul lungomare di via Caracciolo, coppiette e famiglie con bambini davanti a frullati e macedonie.